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Le mie ricerche e studi sulla storia dell’uomo

LA SITULA DELL’ALPAGO

Storia e significato di uno straordinario oggetto di età venetica

Fin dall’inizio (la situla è stata rinvenuta nel 2002) il ritrovamento di questo straordinario recipiente in lamina bronzea decorata a sbalzo di età venetica ha provocato qualche clamoroso fraintendimento, e questo non solo riguardo all’interpretazione della particolarissima sequenza delle scene sbalzate sulla sua parete, ma anche sulle circostanze e le modalità del suo rinvenimento e persino sul nome della località in cui il prezioso reperto è venuto alla luce.

[Scarica l’opuscolo “La situla dell’Alpago]  (PDF  3,7 MByte)

POPOLI VENETI IN EUROPA – Le loro origini e la Storia

L’origine dei Popoli Veneti sparsi per l’Europa è del tutto ignorata dagli Studiosi che hanno pubblicato e tuttora pubblicano i loro studi sugli antichi Veneti;  dunque era necessario colmare la grave lacuna correggendo, con l’occasione, le fuorvianti informazioni legate alla tradizione greco-romana.
Il presente studio deriva da una serie di miei articoli sull’origine degli antichi Popoli Veneti presenti storicamente sul Continente europeo: pubblicati sul BOLLETTINO FAAV (l’organo ufficiale della Federazione delle Associazione di Archeologia del Veneto), essi costituirono poi la base per il mio contributo al IX Convegno delle stesse Associazioni Archeologiche Venete tenutosi a Villadose (RO) il 2 e 3 settembre 2006.

 

[Scarica l’opuscolo “Popoli Veneti in Europa]  (PDF  2,0 MByte)

Sacerdoti guerrieri dell’età del ferro?

(Articolo pubblicato su IL GIORNALE DI VICENZA  del 28 giugno 1991)

Sacerdoti
Contrariamente a quanto si potrebbe credere, le scoperte in campo archeologico avvengono in genere ad opera di semplici Cittadini più che dagli Addetti ai lavori. Ciò appare naturale se si pensa all’esiguità del personale delle Soprintendenze ed al fatto che i musei, al pari dei penitenziari, dispongono praticamente solo di personale amministrativo e di custodia!…

Ecco dunque, motivata l’insostituibile funzione dei semplici Cittadini di buona volontà, a cui merito vanno ascritte scoperte innumerevoli e a volte di eccezionale importanza.  Alcune di queste si sono verificate anche nel territorio vicentino, come ad esempio, nel 1959, la scoperta e il provvidenziale recupero delle ormai famosissime “laminette paleovenete” finite in una discarica col materiale di scavo proveniente da un cantiere edile situato in pieno centro a Vicenza: si tratta di un centinaio di laminette in bronzo (ma alcune sembra che siano in argento) tutte decorate a sbalzo con figure di vario soggetto.

Processione
Una delle più curiose di tali laminette è certamente quella che reca sbalzate le figurine di tre personaggi in movimento verso destra, i quali, nel catalogo pubblicato all’uopo nel 1963, sono visti come “alti dignitari o sacerdoti nello svolgimento di un rituale” .

A parte il loro abbigliamento, che è abbastanza comune presso i popoli italici di epoca preromana, quello che salta agli occhi è il tipo di acconciatura dei capelli nei tre personaggi: il loro capo, infatti, appare rasato solo in parte (mentre presso gli antichi Veneti la rasatura era generalmente completa) risparmiando una fascia longitudinale, i cui capelli formano una vistosa cresta (forse raccolta a treccia) che scende fin sulle spalle.

Bassorilievo Anatolico
Questa strana acconciatura sembra non avere finora riscontri in Italia[1] ed è quindi di difficile interpretazione; tuttavia, poiché in altre laminette appaiono delle creste, le quali tuttavia sono formate da pennacchi posti sul capo di danzatori riferibili al culto dei morti, potrebbe forse essere possibile ipotizzare un rapporto con tale culto anche per i nostri tre personaggi. Il capofila di questi, però, porta un copricapo che sembrerebbe escludere tale ipotesi, poiché appare anche sul capo di una fila di guerrieri sbalzati sulla celebre Situla della Certosa, un grande vaso in lamina bronzea rinvenuto nei pressi di Bologna; tali guerrieri, però, non hanno la cresta ma sono totalmente rasati! E allora sorge la domanda: i personaggi della nostra laminetta sono sacerdoti o guerrieri?

L’una ipotesi non esclude l’altra: abbiamo testimonianze sicure che attestano come spesso, nell’antichità, i sacerdoti potessero essere anche guerrieri, come l’eroe germanico Erminio, ad empio, il quale, nei primi anni del primo secolo dopo Cristo,  portando le insegne sacerdotali di un culto tribale  guidò  l’imboscata che,nella selva di Teutoburgo, portò alla totale disfatta delle legioni romane condotte da Varo.

Sfilata guerrieri
Del resto, l’idea del sacerdote guerriero doveva essere ben radicata in Europa anche in piena età cristiana, tanto che, nel medioevo, poterono sorgere ordini di monaci guerrieri come i Templari, i Cavalieri di Malta ed i Cavalieri Teutonici.


Note

[1] Un’acconciatura simile, però, appare in un bassorilievo anatolico di epoca ittita.

Ci sono analisi e analisi

 

 

 

 

 

Cosa non si fa per timore… o per danaro!
Entrambe le cose inducono a comportamenti, che in condizioni normali verrebbero giudicati assurdi… o,  peggio, riprovevoli.


Questo opuscolo costituisce la sintesi di due articoli che proposi ad un quotidiano vicentino: il primo fu consegnato nei giorni successivi all’annuncio della prossima realizzazione degli esami al carbonio 14 del tessuto della Sindone per determinarne scientificamente l’età, ed il secondo subito dopo la pubblicazione delle datazioni risultanti dai suddetti esami .

Pur se giudicati assai interessanti, i due articoli non furono mai pubblicati perché, secondo il Redattore della pagina della cultura di quel quotidiano, non avevo  “titoli” sufficenti per osare di contraddire pubblicamente i Grossi Calibri della Scienza[1].

Per rimediare a tale rifiuto, qualche anno più tardi, in seguito al ritorno d’interesse per le vicende della Sindone suscitato dall’incendio che aveva colpito il duomo di Torino (al cui interno è custodito il Sudario recante l’immagine straziata di Cristo) nel ’97 pubblicai una sintesi dei due articoli sul Bollettino FAAV (l’organo interno della Federazione delle Associazioni Archeologiche Venete) sintesi, che venne poi presentata nella collana “Appunti di Archeologia” della stessa FAAV.

QUANDO LA CONOSCENZA SI FA SCIENZA

Fg. 2. Donald Johanson (a sin.) sta ricomponendo le ossa di Lucy sotto l’occhio del fotografo.

Fg. 2. Donald Johanson (a sin.) sta ricomponendo le ossa di Lucy sotto l’occhio del fotografo.

Leggendo “Lucy”, il libro nel quale Donald Johanson parlava della scoperta, nella regione di Hadar, in Etiopia, dello scheletro di ominide che lo rese celebre in tutto il mondo come paleontologo, rimasi colpito dalla meticolosità e dalla pervicacia, di cui diedero prova gli studiosi addetti alla datazione delle rocce inglobanti il giacimento fossilifero nel quale furono trovate, appunto, le ossa della femmina di ominide che sarebbe diventata famosa col nome di Lucy.

Nella foto, Donald Johanson (a sin.) sta ricompo-nendo le ossa di Lucy sotto l’occhio del fotografo

 La cocciuta insoddisfazione degli scienziati per i risultati, che via via conseguivano con i diversi procedimenti di analisi a cui sottoponevano i campioni di roccia, aveva precise e fondate motivazioni: si trattava di stabilire senza ombra di dubbio l’età di quello, che poteva essere il più antico e completo scheletro umano fino ad allora rinvenuto, le cui caratteristiche somatiche, tuttavia, apparivano straordinariamente più moderne di quelle di altri ominidi, pure ritrovati in Africa orientale, ma notevolmente meno antichi.

«Occorrevano date assolutamente indiscutibili dal punto di vista scientifico – diceva l’Autore – prima che potessi … elaborare una solida ipotesi … su ciò che erano gli ominidi di Hadar. In questa ipotesi, la loro età era di importanza primaria

Il compito di scegliere i campioni di roccia da analizzare fu affidato allo stesso geologo, che aveva eseguito il rilevamento geologico della zona e che sapeva quindi dove mettere le mani.

Operando con cura nei vari strati rocciosi, furono raccolti dei campioni di tufo vulcanico e di basalto, i quali furono poi inviati a certo James Aronson, esperto in datazioni delle rocce e ideatore di un apparecchio in grado di operare sulle rocce ignee col metodo del potassioargon, metodo basato cioè sulla determinazione del decadimento del potassio 40 (un isotopo instabile del normale potassio contenuto nelle rocce vulcaniche) in argon, un gas raro e pesante emesso normalmente dai terreni vulcanici.

Aronson scartò subito le ceneri vulcaniche, perché c’era la possibilità (non la certezza) che contenessero particelle di roccia di età diversa strappate dalle pareti del camino vulcanico durante l’eruzione, particelle che avrebbero potuto falsare i risultati delle analisi!

Fg. 3. Il basalto è una roccia effusiva pesantissima ed estremamente compatta, il cui colore nero è dovuto all’alto contenuto di ferro. Quando questo materiale viene eruttato in grandi masse, il rapido raffreddamento (spece se a contatto con l’acqua) produce sovente una profonda fessurazione a reticolo esagonale, che dà origine al cosidetto “basalto colonnare”, come nel caso della spettacolare “scala dei giganti” in Irlanda.

Fg. 3. Il basalto è una roccia effusiva pesantissima ed estremamente compatta, il cui colore nero è dovuto all’alto contenuto di ferro. Quando questo materiale viene eruttato in grandi masse, il rapido raffreddamento (spece se a contatto con l’acqua) produce sovente una profonda fessurazione a reticolo esagonale, che dà origine al cosidetto “basalto colonnare”, come nel caso della spettacolare “scala dei giganti” in Irlanda.

Lo studioso non fu contento neppure dei campioni di basalto, benché questi fossero stati raccolti da mani esperte, e tuttavia li analizzò ugualmente: il risultato ottenuto però non lo convinse per niente, cosicché egli pretese di andare di persona a raccogliere i campioni da analizzare  «perché – diceva – lo stato dei campioni non è meno importante dei campioni stessi!»

Portato a casa il nuovo materiale e sottopostolo ad analisi, Aronson non fu ancora soddisfatto poiché, osservati al microscopio, anche i campioni migliori davano l’impressione di una possibile alterazione!

Determinato a non arrendersi, lo studioso decise di verificare i risultati ottenuti col potassio-argon mediante l’esame del paleomagnetismo, esame che sfrutta le periodiche inversioni di polarità del magnetismo terrestre[2] consentendo di realizzare, per le rocce risalenti alle ultime decine di milioni di anni, delle tabelle dei  periodi magnetici databili con buona approssimazione.

Ebbene, per i campioni di basalto di Hadar, l’esame del paleomagnetismo dava due possibili collocazioni: o nel periodo compreso fra 3,6 e 3,4 milioni di anni fa o in quello compreso fra i 3,1 e i 3 milioni di anni fa.

Poiché la datazione al potassio-argon dava un’età di circa 3 milioni di anni, il basalto di Hadar avrebbe dovuto essere collocato nel periodo più recente, ma Haronson non ne era ancora convinto, poiché temeva che i suoi campioni di basalto potessero essere alterati: pertanto, decise di procedere ad altre verifiche, avvalendosi però dell’esperienza di un altro specialista, Bob Walter, esperto in datazioni mediante lo studio delle tracce lasciate dalla fissione dell’uranio nei cristalli di zircone.

Condotto dunque ad Hadar, Walter individuò tre nuovi strati di tufo vulcanico situati in posizione strategica, ma dovette scartarne due perché sospetti, per cui raccolse i campioni di zircone nello strato intermedio e, sottopostili ad esame, ottenne una datazione che faceva aumentare la fiducia nei 3 milioni di anni del basalto di Aronson, ma non ne dava la certezza!

Nel frattempo, un certo Basil Cooke aveva messo a punto uno studio sulla sequenza evolutiva dei maiali fossili dell’Etiopia, le cui datazioni, ottenute mediante l’analisi dei numerosi strati vulcanici che la caratterizzavano, erano già accettate internazionalmente in quanto considerate affidabili per la loro numerosa e corretta sequenza temporale.

Interpellato sulla determinazione dell’età delle rocce di Hadar e confrontati i resti di maiale rinvenuti nelle rocce fossilifere inglobanti lo scheletro di Lucy con la sua sequenza di suidi etiopici, Basil Cooke poté affermare in modo inequivocabile, che lo scheletro dell’ominide di Hadar doveva essere più antico di almeno 3 – 400 mila anni rispetto alle datazioni che gli erano state attribuite in precedenza!

Accettando con sollievo le datazioni espresse dalla sequenza dei suidi catalogati da Basil Cooke, in quanto giustificavano le onerose controanalisi effettuate a causa dei dubbi sulla integrità dei suoi campioni di roccia, e assegnando perciò il proprio basalto al periodo magnetico più antico, quello che va dai 3,6 ai 3,4 milioni di anni fa, Aronson poteva affermare a ragion veduta che «se i materiali da analizzare non garantiscono la perfetta conservazione, pur se effettuate con gli strumenti più sofisticati le diverse analisi possono risultare altamente inaffidabili»!!!

Benché costituiti da roccia estremamente compatta, pesante e dura qual’è il basalto, infatti, e pur se raccolti da mani esperte, i campioni di roccia analizzati da Aronson avevano fornito i seguenti risultati: quelli migliori (che al microscopio risultavano solo sospetti) fornirono datazioni errate di 400 e 800 mila anni, pari al 12 e al 25 % della datazione reale, mentre i campioni, che al microscopio apparivano alterati, davano errori  di 900 mila e addirittura di un milione e 500 mila anni, pari al 30 e al 43 % dell’età reale!!!

QUANDO LA SCIENZA SI FA… USARE

Fg. 4. Piccolo campionario dei pollini trasportati normalmente dall’aria: quegli stessi pollini, che talvolta ci provocano allergie, si depositano ovunque e si annidano aggressivamente in profondità cercando l’accoppiamento.

Fg. 4. Piccolo campionario dei pollini trasportati normalmente dall’aria: quegli stessi pollini, che talvolta ci provocano allergie, si depositano ovunque e si annidano aggressivamente in profondità cercando l’accoppiamento.

Alla luce di tali sorprendenti considerazioni, quando si diffuse la notizia, che alcuni campioni di tessuto in lino della Sindone sarebbero stati sottoposti all’esame del radiocarbonio al fine di determinarne scientificamente l’età reale, rimasi di stucco, perché recentissime indagini avevano evidenziato l’enorme quantità di inquinanti annidati profondamente e irrimediabilmente nella trama e nelle fibre del venerando sudario: tra questi, innumerevoli erano infatti i pollini, in gran parte tipici del Vicino Oriente, e straordinaria era la quantità microorganismi, di polveri e della fuliggine prodotta nei secoli dalle candele e dai lumi votivi.

«Se – mi chiedevo – il basalto, che è una delle rocce più compatte, pesanti e dure presenti sulla superfice terrestre, pur se raccolto da mani esperte può falsare le datazioni strumentali anche del 43 per cento, di quanto potranno essere falsate le datazioni al radiocarbonio di un tessuto esposto per secoli al fumo delle candele e alle polveri onnipresenti nell’aria?»

Era certo che l’analisi al radiocarbonio avrebbe fornito una datazione assurdamente posteriore all’epoca di Cristo, ed era altrettanto chiaro che, pur se assolutamente inattendibile, a tale eclatante datazione gli organi d’informazione avrebbero dato la massima rilevanza, sfruttando la straordinaria notizia per incre-mentare le vendite.

Fg. 5. Fibrille di lino: A = vista longitudinale (ingr. x 400); B = sezioni trasversali (ingr. x 200); C = estremità acuminata (ingr. x 400) (tavola da Merceologia, di G. V. Villavecchia)

Fg. 5. Fibrille di lino: A = vista longitudinale (ingr. x 400); B = sezioni trasversali (ingr. x 200); C = estremità acuminata (ingr. x 400)
(tavola da Merceologia, di G. V. Villavecchia)

Ma altrettanto certo era anche il fatto, che lo scalpore destato dallo scandalo prodotto dalla nuova, strabiliante datazione della Sindone, sarebbe stato strumentalizzato da quanti, agnostici superbamente convinti, godono nel seminare il dubbio fra i poveri, sprovveduti Credenti.

«Ma perché tanto pessimismo? – si chiederà qualcuno – In fin dei conti, gli scienziati sapranno bene ciò che fanno!»

Ebbene (e qui esprimo la mia più convinta opinione) qui non si tratta di Scienza ma di subdola malizia e di accorto affarismo messi in atto grazie ad una imperdonabile… diciamo… ingenuità!

Il perché di tali pesanti convinzioni è presto detto: il lino, di cui è fatto il tessuto della Sindone, è caratterizzato da fibre a sezione poligonale, i cui fasci al microscopio mostrano numerose striature longitudinali e la cui caratteristica peculiare, che rende il lino particolarmente adatto per l’abbigliamento estivo e per gli asciugamani, è la loro grande capacità di restringersi quando sono asciutte (tanto da assumere una sezione a forma di stella) e di inturgidirsi in presenza di umidità fino a ritornare alla sezione normale.

 

Fg. 6. La martoriata immagine anteriore di Cristo così come appare da una fotografia al negativo della sacra Sindone: le figure geometriche ai lati della stessa immagine sono le tracce di un incendio.

Fg. 6. La martoriata immagine anteriore di Cristo così come appare da una fotografia al negativo della sacra Sindone: le figure geometriche ai lati della stessa immagine sono le tracce di un incendio.

Ed è appunto tale capacità di funzionare come un mantice che ha prodotto l’irreversibile inquinamento del tessuto della Sindone. Se consideriamo infatti, che il prezioso sudario è stata esposto per secoli alla venerazione dei fedeli e, di conseguenza, ad una quantità incalcolabile di elementi inquinanti associati all’umidità dell’aria (tipica della Pianura Padana), elementi quali:

– la carica di polvere e di pollini depositatisi sul tessuto nel corso di  innumerevoli anni (polveri e pollini che sono stati rilevati in quantità incredibile e per la maggior parte tipici del Vicino Oriente).

– la quantità di microorganismi di tutti i tipi e di tutte le dimensioni presenti sempre ed ovunque nell’aria, anche in quella che respiriamo, i quali hanno impregnato il tessuto della Sindone.

– l’accumulo di carbonio dovuto alla flora batterica proliferante per centinaia d’anni nelle striature delle fibre del lino.

– il fumo di milioni di candele votive e di lumini ad olio accesi davanti al telo dalla devozione popolare per un incalcolabile numero di anni[3] (si veda a questo proposito l’annerimento da fumo dei vecchi quadri esposti nelle chiese, fumo che, è bene ricordarlo, è costituito praticamente solo di carbonio puro e quindi anche di carbonio 14).

– il fumo degli incensamenti eseguiti nelle innumerevoli cerimonie celebrate nel corso dei secoli, fumo a cui si sovrappose quello prodotto dall’incendio che coinvolse la Sindone nel XVI secolo.

Se consideriamo, ripeto, che questi fattori inquinanti sono presenti nel tessuto della Sindone in quantità assolutamente massicce e risalenti ad epoche diversissime, e se osserviamo che si trovano intimamente compenetrati nelle fibre del lino, alterando in tal modo profondamente e in maniera irreversibile il complesso di elementi chimici tra i quali deve destreggiarsi l’analista per la datazione al C 14, e se ricordiamo infine, che lo stato dei campioni non è meno importante dei campioni stessi, appare evidente che i frammenti di tessuto prelevati dal venerando sudario non erano assolutamente idonei a sostenere l’esame a cui sono stati sottoposti per ottenere una datazione scientificamente inoppugnabile della Sindone.

 

RIFLESSIONI E … DOMANDE

 Era chiaro, dunque, che l’esame al carbonio 14 avrebbe fornito una datazione assai più recente rispetto a quella riportata dalla Tradizione, così com’era certo, che tale datazione sarebbe stata assolutamente inattendibile

E allora, perché consentire l’attuazione di tali assurdi e antiscientifici esami?

Il perché è presto detto e appare basato su motivazioni alquanto banali, che nulla hanno a che fare con la Scienza: ancora condizionate dal complesso di colpa per il processo a Galileo, nel 1987 le Gerarchie ecclesiastiche non seppero resistere alle sirene che le invitavano o, meglio, le sfidavano a consentire l’esame al radiocarbonio della Sindone, per dimostrare al mondo che la Chiesa Cattolica non era oscurantista e non temeva il confronto con la Scienza.

A questo punto, però, sorgono spontanee altre legittime domande:

– Perché gli Scienziati hanno accettato il compito di datare la Sindone col metodo basato sul carbonio 14, pur sapendo che il tessuto del venerando sudario era inquinato in modo tanto grave e irreversibile?

– Se gli Scienziati, che hanno così maldestramente datato la Sindone, fossero stati animati dalla stessa pignola determinazione di giungere alla verità vera dimostrata dagli esperti che datarono le ossa di Lucy, avrebbero ritenuto ugualmente idonei all’esame del C 14 i campioni prelevati dalla Sindone?

– E se non ci fosse stata la contropartita di una gratuita e straordinaria pubblicità a livello mondiale, gli Istituti, che hanno eseguito la datazione della Sindone con l’esame al C 14, avrebbero ugualmente assunto l’incarico di effettuare detta operazione su campioni tanto inquinati?

Conseguenza di tanto arrabattarsi degli Scienziati per salire all’onore della cronaca, sono lo sconcerto e la cocente delusione di un’infinità di persone, le quali, comprendendo ben poco di esami al C 14, di pollini, di flora batterica, di impregnamento da fumo e di impossibili “tare” da applicare alla datazione per la presenza di quella enorme ma indefinibile quantità di inquinanti, il 13 ottobre del 1988 sono state colpite e amareggiate dell’assurda età assegnata alla Sindone da ben tre Istituti scientifici internazionali, datazione che gli Organi d’informazione di tutto il mondo hanno poi trasformato in un evento scandalistico da strombazzare ai quattro venti per aumentare le vendite (la forza del danaro!) trascurando però di dare risalto alle “riserve” che la Scienza, quella seria,  imporrebbe doverosamente di evidenziare!

 

 

NB: Qualche anno dopo la pubblicazione dei risultati della datazione al radiocarbonio, uno Scienziato russo pubblicava una ferma critica all’operato della Scienza Occidentale, per l’inammissibilità dell’esame al C 14 a cui aveva sottoposto un tessuto profondamente inquinato dai fumi dell’incendio, che nel xxxxxxx aveva coinvolto la Sindone quando ancora era custodita nella cappella di Chambery in alta Savoia.

E che tale giustificatissima critica sia giunta da parte di uno Scienziato cittadino dell’Unione Sovietica, patria del’Ateismo di Stato, la dice lunga sull’affidabilità di quella datazione!

Negli anni seguenti, gli studi sulla Sindone sono proseguiti, e tuttora continuano, da parte di numerosi Istituti Scientifici internazionali, i quali operano nuovi, inediti esami, che non subiscono alcuna influenza da parte degli inquinanti annidati nella trama del tessuto, i cui esiti portano sempre più ad avvalorare la credibilità della Tradizione.

Uno di tali studi, in particolare, condotto recentemente nei laboratori dell’Università di Padova, si basa sulla analisi del progressivo decadimento nel tempo dell’elasticità delle fibre di lino, cioè progressivo decadimento della loro resistenza alla trazione, resistenza che diminuisce con l’aumentare dell’età delle fibre stesse.

Ebbene, pur con una approssimazione di varie decine di anni in più o in meno, tale studio riporterebbe l’età del tessuto sindonico a duemila anni fa!


Note

[1]  Come ormai di regola, le persone badano più al Nome di Chi parla piuttosto che a Quello che dice. E così il Progresso attende…

[2] Con cadenze irregolari (la cui durata media è di 700.000 anni) i poli magnetici della Terra cambiano segno (uno da positivo diventa negativo e l’altro da negativo diventa positivo) come se, ad esempio, da oggi la lancetta del Nord della bussola prendesse ad indicare il Polo Sud. Ebbene, tali inversioni di polarità lasciano traccia di sé nell’orientamento dei cristalli delle rocce in formazione

[3] Un esempio della quantità di fumi e di polveri che possono depositarsi nel tempo su una superfice è dato dall’annerimento dei dipinti esposti nelle chiese, annerimento che opacizza in modo crescente i colori, la cui entità è rilevabile solo al momento del restauro delle tele stesse confrontando i colori nuovamente vividi delle superfici ripulite con quelli smorti e opachi delle superfici ancora sporche. E ciò, considerando che le pitture spianano le superfici delle tele rendendo meno facile il deposito dello sporco, dà l’idea di quello che può accumularsi ed annidarsi su una tela non dipinta!

Quel che gl’italiani dovrebbero sapere in fatto di storia e di bandiere

Da tempo si fa un gran parlare di anniversari patriottici e del tricolore…
Ma sono discorsi seri?

Premessa 

Bandiera tricolore (bianco, rosso e verde) della RC, la Repubblica Cispadana  costituitasi in epoca napoleonica dal gennaio al luglio del 797). (da L’Alpino n. 2-2011, rivista dell’ANA, l’Associazione Nazionale Alpini )

Bandiera tricolore (bianco, rosso e verde) della RC, la Repubblica Cispadana costituitasi in epoca napoleonica dal gennaio al luglio del 797).
(da L’Alpino n. 2-2011, rivista dell’ANA, l’Associazione Nazionale Alpini )

Dire cose totalmente diverse o contrarie alla realtà costituisce una grave e inaccettabile menzogna… ma anche le “mezze verità” sono da condannare, poiché ad esse corrisponde sempre, inevitabilmente una “mezza menzogna”… ed anche questa è una cosa inaccettabile!
Ciò non ostante, la “mezza verità” è il sotterfugio più usato dai politicanti per fare apparire credibili le loro menzogne, in modo da carpire la fiducia del popolo, il cui consenso permette poi a loro di agire a proprio arbitrio nella gestione della cosa pubblica.
Sola difesa per i Cittadini è la ricerca della verità, ricerca però di difficile attuazione per le difficoltà nel reperimento di documentazione veramente obiettiva e perché i profondi condizionamenti culturali, subiti dal Cittadino in età scolare, lo fanno sicuro di saperne abbastanza e, di conseguenza, di non avere bisogno di ulteriori approfondimenti.
Un chiaro esempio della reale portata dei condizionamenti subiti dal Cittadino in età scolare è dato dal confronto fra il “poco” che riportano i testi scolastici di storia patria riguardo agli avvenimenti dell’epopea risorgimentale nella Regione Veneta ed il “molto” che tacciono, una significativa parte del quale è riportato fortunatamente nelle opere di alcuni rari autori come, ad esempio, nel XXIX volume della Storia d’Italia di Montanelli e Gervaso e nel ponderoso volume su Il Risorgimento Italiano di Cesare Giardini.(1)
Altre situazioni forse volutamente equivoche sono, come vedremo, quelle riguardanti le “celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia” e “la storia della bandiera italiana”.

Equivoci e mezze verità

Come si è detto, una situazione alquanto equivoca, frutto certo di scarsa informazione e di disattenzione verso la realtà delle cose, è quella riguardante le tanto pubblicizzate celebrazioni per il cosidetto “centocinquantesimo” anniversario dell’unità d’Italia.
Se infatti, per “unità d’Italia” si intende l’unione di “tutte” le regioni del nostro Paese situate a sud delle Alpi, comprese cioè anche le tre Venetie (l’Euganea, la Tridentina e la Giulia) i conti non tornano.
Poiché infatti, il centocinquantesimo anniversario si riferisce alla data del 1861, delle due l’una: o le celebrazioni in oggetto non riguardano l’unità d’Italia ma un altro storico avvenimento, oppure con esse si vuole sancire una realtà storica di fatto, che farebbe storcere il naso a un mucchio di Italiani.
E il perché è presto detto.
L’unità d’Italia, cioè l’unificazione di “tutte” le regioni italiane sotto un’unica bandiera, non avvenne nel 1861, perché le tre Venetie erano ancora sotto dominio austriaco: infatti, la Venetia Euganea fu annessa all’Italia solo dopo la cosidetta terza guerra d’indipendenza, combattuta nel 1866 e persa dal Regno d’Italia su tutti i fronti di terra e sul mare ma fortunatamente stravinta dalla Prussia alleata dell’Italia, mentre la Venetia Giulia e la Tridentina furono annesse all’Italia solo nel 1918, dopo la grande guerra vinta finalmente dall’Italia e dai suoi alleati, vittoria però, che il Governo Italiano non seppe far valere sul tavolo della pace rassegnandosi anche troppo remissivamente a rinunciare alla Dalmazia che, pur essendo un territorio non compreso dalla cerchia alpina, era da sempre abitata da Genti Venete ed era appartenuta alla Repubblica di Venezia per quasi mille anni, fino al momento dell’invasione napoleonica della Venetia.
Essendo questa la situazione storica, se proprio si voleva festeggiare il centocinquantesimo anniversario di qualcosa, si doveva farlo commemorando la “nascita dello Stato Italiano”, Stato che fino a sessant’anni fa si chiamava “Regno d’Italia”.
Ma se proprio si insiste a voler festeggiare il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, ebbene, così sia…
Ma ricordiamoci bene: affermare coi festeggiamenti in corso, che l’unità d’Italia giunse a compimento nel 1861, significa prendere finalmente atto di una innegabile realtà storica, accettando la quale si proclama di fatto ufficialmente l’estraneità dei Veneti dal consesso delle popolazioni italiane.
E questo con somma gioia e soddisfazione di quanti fra i Veneti, e sono un’infinità, sognano la rinascita della Serenissima Repubblica di S. Marco.

Paradossi sul tricolore

Altro eclatante pasticcio, generato dalle mezze verità riportate da centocinquant’anni nei libri di scuola, è costituito dalla paradossale diatriba politica sorta fra i sostenitori e i detrattori della Bandiera Italiana.
Oggi infatti, i più accesi sostenitori della sacralità della bandiera italiana sono paradossalmente dei personaggi nati e cresciuti politicamente in un partito che, per decenni, nei suoi manifesti ha nascosto il Tricolore sotto una bandiera rossa con falce e martello, bandiera che costituiva il vessillo nazionale dell’Unione Sovietica…
Inoltre quei personaggi, che attualmente si atteggiano a strenui difensori dell’unità della patria italiana, sono gli stessi che, animati fino a vent’anni fa da un amore struggente verso la lontana “patria sovietica”, per decenni hanno combattuto l’idea del patriottismo verso l’Italia accusandolo di essere una deprecabile eredità del ventennio fascista!
Altrettanto paradossale appare l’avversione per la bandiera italiana espressa da vari esponenti politici “padani”: sull’esempio del loro “leader maximo” infatti, essi ignorano allegramente dei fatti storici, che dovrebbero invece indurli semmai a reclamare per la Padania l’uso esclusivo del Tricolore.
Il fatto è che i libri di scuola non dicono che la bandiera bianco-rossoverde nacque nel 1796 in Francia, con l’approvazione di Napoleone, quale vessillo delle legioni lombarda e italica che combattevano nell’armata napoleonica… e che fu per questo che, nel gennaio 1797, quel vessillo fu adottato come bandiera nazionale dalla Repubblica Cispadana… e non dicono nemmeno che, pochi mesi più tardi, nel luglio del 1797, quello stesso vessillo divenne la bandiera nazionale della neonata Repubblica Cisalpina, la quale, inglobata la Repubblica Cispadana, grazie all’incalzare delle vittorie napoleoniche raggiunse in breve le dimensioni di quella che oggi viene definita Padania.(2)
Di fatto, dunque, ben sessantatre anni prima del 1861 (anno in cui venne assunto come bandiera nazionale del neonato Regno d’Italia) il Tricolore fu la bandiera nazionale del primo Stato Padano della storia … e nulla toglie all’importanza della cosa il fatto che quello Stato non si chiamasse Repubblica Padana ma Repubblica Cisalpina, esattamente come nulla toglie all’importanza delle celebrazioni in corso il fatto che lo Stato Italiano, il cui nome attuale è “Repubblica Italiana”, fino a meno di settant’anni fa fosse chiamato Regno d’Italia.
Resta però lo stupore per l’avversione degli esponenti padani verso il Tricolore, loro primissima bandiera nazionale!

Infine, va ricordato che il tricolore non solo fu la bandiera del primo Stato Padano ma fu anche la bandiera della Repubblica di Venezia risorta con la rivolta della primavera del 1848 contro il dominio asburgico: il Governo Provvisorio della città infatti, assunse come bandiera nazionale il tricolore ornato con il  leone di S. Marco.  Il fatto che poi la Repubblica di Venezia abbia abbandonato questa bandiera non fu dovuto al rifiuto dell’ideale risorgimentale, ma fu la conseguenza del comportamento dell’armata piemontese, la quale, attestandosi inerte per mesi in riva al Mincio, si mosse solo dopo che gli eserciti austriaci ebbero completato il soffocamento nel sangue delle città venete di terraferma in rivolta, comportamento certo non dovuto ad un eccesso di amore verso i Fratelli delle Venetie ma fu dettato da uno spietato calcolo politico che spense nei Veneti l’anelito all’unità d’Italia.(3)

Tricolore (bianco, rosso e verde) con Leone di S. Marco adottato dalla Repubblica Veneta con decreto del 27 marzo 1848 emanato dal Governo Provvisorio della città di Venezia. (da Il Leone di San Marco - di G. Aldrighetti ed M. De Biasi, Venezia 1998)

Tricolore (bianco, rosso e verde) con Leone di S. Marco adottato dalla Repubblica Veneta (rinata a seguito della rivolta contro il dominio austrico) con decreto del 27 marzo 1848 emanato dal Governo Provvisorio della città di Venezia.
(da Il Leone di San Marco – di G. Aldrighetti ed M. De Biasi, Venezia 1998)


  1. Si veda, a questo proposito, “VENETI SU LA TESTA”, l’opuscolo che costituisce il numero 3 di questa serie di APPUNTI DI STORIA.
  2. Le informazioni e le date sulla bandiera italiana sono facilmente veri-ficabili nel DIZIONARIO ENCICLOPEDICO TRECCANI (ed. 1955) alle voci  bandiera, cisalpino e cispadano.
  3. Si veda in proposito l’opuscolo “Veneti su la testa”.

Veneti, su la testa!

QUEL CHE GL’ITALIANI DOVREBBERO SAPERE

Una trentina di anni fa, un insegnante di lettere meridionale di una scuola vicentina scrisse al Giornale di Vicenza una letteraccia nella quale, volendo rimbeccare certi atteggiamenti anti-meridionalisti di alcuni studenti, diceva che i Veneti dovevano vergognarsi della propria identità perché, a suo dire, i loro antenati sarebbero stati l’unico popolo italico a soccombere alla conquista romana senza combattere.
Leggendo fra le righe, dunque, per quel signore gli antichi Veneti sarebbero stati i più vigliacchi fra i Popoli Italici.
Ma non basta: oltre che sugli antichi Veneti, dai banchi di scuola si getta il sospetto di vigliaccheria anche sui Veneti vissuti durante il cosidetto Risorgimento italiano.
Questa idea sui nostri Antenati è piuttosto diffusa e ad essa i Veneti moderni non sanno contrapporre alcuna obiezione perché gli autori dei testi scolastici, tuttora pigramente allineati alla storiografia ottocentesca interessata a soffocare le autonomie culturali storicamente fiorenti nella Penisola italiana, si guardano bene dal dire come stavano in realtà le cose.
Questo opuscolo, dunque, ha lo scopo di fare chiarezza sugli avvenimenti che videro come protagonisti i nostri Antenati, i Veneti vissuti nel periodo dell’espansione romana fino alle Alpi ed i Veneti vissuti nell’ottocento, ai tempi delle cosidette guerre risorgimentali.

[Scarica l’opuscolo “Veneti, su la testa!“]  (PDF 700 KByte)

Le cosidette palette rituali

Fg. 1 - Paletta venetica in bronzo rinvenuta a Padova (nel cortile del convento del Santo) nel 1899. Sulla faccia anteriore reca incisa la figura di un cavallo e lungo i margini di quella posteriore reca la scritta in caratteri venetici "etsualeutikukaian nakinatarisakvil"mentre sul manico reca un asterisco ed un motivo a V sovrapposte.

Fg. 1 – Paletta venetica in bronzo rinvenuta a Padova (nel cortile del convento del Santo) nel 1899. Sulla faccia anteriore reca incisa la figura di un cavallo e lungo i margini di quella posteriore reca la scritta in caratteri venetici “etsualeutikukaian nakinatarisakvil”mentre sul manico reca un asterisco ed un motivo a V sovrapposte.

Studio realizzato nel luglio 1986 e pubblicato sulla Voce dei Berici nel 1988 e sul Giornale di Vicenza nel 1992

PREMESSA

Fra il notevole materiale archeologico rinvenuto nella zona di Santorso ed esposto nel locale Museo didattico, figurano anche due pezzi di singolare interesse risalenti ad alcuni secoli prima di Cristo, in piena Età del Ferro.
Si tratta di un peso da telaio in terracotta e di un frammento di intonaco in argilla recanti entrambi delle decorazioni prodotte mediante l’impressione dell’estremità dell’impugnatura di un caratteristico oggetto, che finora ha sfidato con successo la perspicacia e l’immaginazione degli Studiosi.

UN ENIGMA DAL PASSATO

Nel primo millennio avanti Cristo, apparve in Europa un tipo di oggetti di uso abbastanza frequente, la cui funzione è tuttora misteriosa: si tratta delle cosidette Palette Rituali, oggetti in bronzo a forma appunto di paletta dal manico elegantemente traforato, che recano sovente delle decorazioni incise su una delle facce (fg 1).

Oltre ai numerosi esemplari di paletta rinvenuti in varie località, spece nell’Italia nordorientale, questo oggetto appare in sculture della Spagna, come sulla stele di Solana de Cabanas (fg 2) e della Francia, a Sarraburg, Vienne e altrove..

Tuttavia, la località in cui la paletta appare più frequentemente è la Val Camonica, sulle cui rocce, fra migliaia di altri graffiti, il nostro oggetto misterioso è raffigurato in numerose scene che presentano situazioni diversissime e prive, in apparenza, di qualsiasi legame logico tra di loro.
Ciò mi induce a pensare che il segno della paletta rappresenti non un elemento della scena ma un simbolo od un ideogramma atto a spiegare il significato della scena stessa.

Infatti, che ci starebbe a fare una paletta, quale che sia il suo uso, in mano ad un uomo ritto di fronte ad un bovino dalle corna imponenti? (fg 3);   e l’altra paletta raffigurata fra branchi di cervi (fg 4) che ci farebbe?   e, in un’altra scena, cosa potrebbero significare due grosse palette presso due telai tessili di fronte ai quali c’è un uomo? (fg 5); e cosa significano le grandi palette che affiancano un guerriero che trafigge con la lancia un nemico affiancato da un cosidetto Busto di orante? (fg 6)   E che significa la grande paletta vicina ad alcuni combattenti impegnati presso un cosidetto labirinto? (fg 7)Grafiti Val Camonica

Fg. 6 - Grafiti rupestri della Val Camonica.

Fg. 6 – Grafiti rupestri della Val Camonica.

Fg. 7 - Graffiti rupestri della Val Camonica

Fg. 7 – Graffiti rupestri della Val Camonica

Ebbene, è da tutte queste apparenti incongruenze che derivano le difficoltà per gli studiosi, i quali, per decenni, si sono arrovellati cercando di individuare l’utilità pratica dell’oggetto anziché immaginare per lui una funzione simbolica.

Sono state così formulate le ipotesi più varie, tutte ugualmente degne di rispetto ma tutte, aimè, destituite di credibilità da qualcuna delle incisioni della Val Camonica.

Fg. 8 - Pagaia in legno da Trana (TO)

Fg. 8 – Pagaia in legno da Trana (TO)

Si è ipotizzato così che la paletta rappresentasse una pagaia sul tipo di quelle rinvenute nei villaggi palafitticoli della Padania (fg 8), si è ipotizzato che rappresentasse uno specchio o un rasoio o una scure riferendosi a reperti archeologici simili nella forma alla nostra paletta; si è pensato anche alle palette da muratore, le antenate delle cazzuole, e persino alle palette per battere il bucato, oggetti in legno riccamente decorati ancora in uso in tempi assai recenti (fg 9) e molto simili alle palette rituali.

fg 9 – paletta in legno da bucato usata in Alto Adige fino al XIX scolo

fg 9 – paletta in legno da bucato usata in Alto Adige fino al XIX scolo

Stranamente, fra tanta abbondanza di proposte, mi risulta che non sia mai stata ipotizzata l’identificazione della paletta rituale con gli stampi da burro a paletta, attrezzi in legno sempre splendidamente decorati, i quali pure hanno una straordinaria somiglianza col nostro oggetto misterioso (fg 10).

fg 10 – stampo in legno per burro usato nelle valli biellesi fino agli anni ’50.

fg 10 – stampo in legno per burro usato nelle valli biellesi fino agli anni ’50.

 

Infine, scoraggiati da tante delusioni, gli studiosi si sono rassegnati ad ipotizzare per la paletta una funzione rituale, funzione il cui significato non è possibile definire ma che sarebbe giustificata dal fatto, che l’oggetto appare fra gli attributi di un idolo celtico, probabilmente Succellus, la cui personalità rimane ancora oscura: forse, si afferma, la paletta era un talismano che garantiva la salvezza in caso di pericolo o serviva a raccogliere le ceneri dei defunti dopo il rogo funebre.
Tale ipotesi, tuttavia, non spiega cosa potrebbero fare degli attrezzi simili in mezzo alla selvaggina o fra i bovini o presso i telai tessili!

UN INDIZIO DALL’ORIENTE

A squarciare l’oscurità che ancora nasconde la vera funzione della nostra paletta in bronzo, forse un po’ di luce ci viene dall’Estremo Oriente: infatti, lungo il medio corso del fiume Yangtze, in Cina, nel primo millennio avanti Cristo venivano usati oggetti molto simili alla nostra paletta misteriosa.
Si tratta di monete in bronzo a forma di paletta, che recano, disegnata a rilievo su un lato, la rappresentazione del valore!
Una di queste monete, attribuita alla dinastia Chou che ha regnato dal 1122 al 225 a.C., reca su una delle facce il bellissimo disegno di un ariete e sull’impugnatura l’ideogramma del valore numerico: si tratta di una moneta da dieci pecore, che veniva assicurata alla cintura a mezzo di un laccio passante per il foro del manico (fg 11 qui a lato).

fg. 11 - Moneta in bronzo della dinastia Chou (Cina, XII - III sec. a.C.) Valore della moneta: 10 pecore.

fg. 11 – Moneta in bronzo della dinastia Chou (Cina, XII – III sec. a.C.) Valore della moneta: 10 pecore.

Se per le nostre palette ipotizzassimo una funzione simile , acquisterebbe nuova luce anche la parola pecunia (da pecus = pecora) che i Latini usavano per indicare il danaro!
D’altra parte, se considerassimo le palette incise in Val Camonica come ideogrammi significanti la ricchezza rappresentata dal danaro, vedremmo che tutte le scene in cui appaione raffigurate delle palette acquisterebbero un significato logico!
Comprenderemmo così, che in Val Camonica il bestiame domestico e la selvaggina costituivano una ricchezza per i singoli individui e per la comunità (fgg 3 e 4), che l’attività tessile produceva ricchezza (fg 5), che il guerriero vittorioso conquistava un ricco bottino (due palette) e quindi ricchezza (fg 6) mentre il perdente rendeva l’anima (busto di orante), e comprenderemmo che i combattenti presso il labirinto (luogo di non ritorno) probabilmente dei gladiatori impegnati in un duello in onore di un guerriero defunto (busto di orante armato), si contendevano un importante trofeo (paletta enorme fg 7), che il guerriero della stele iberica, oltre che valoroso (grandi armi) era anche ricco (fg 2) e che la divinità celtica con paletta di nome Succellus era forse l’equivalente del germanico Freyr dispensatore di ricchezza, di benessere e di voluttà.
Una chiara conferma all’ipotesi della Paletta simbolo di ricchezza ci giunge inaspettata dall’attenta analisi delle figure sbalzate sulla Situla della Certosa rinvenuta a Bologna.
Splendida testimonianza dell’Arte delle Situle, questo contenitore in bronzo fittamente decorato a sbalzo e ad incisione presenta una quantità di figure distribuite su quattro fasce: nella seconda dall’alto, a sinistra, in coda ad una processione di donne e uomini variamente abbigliati che camminano verso destra conducendo animali o portando cose di vario genere, che fanno pensare alle offerte e al necessario per celebrare qualche importante rito, avanza anche un uomo che porta a spall’arm un enorme spadone con lunghissima impugnatura e reca, appeso alla cintola, un oggetto in tutto simile ad una paletta, proprio come usavano i Cinesi, che portavano le monete a forma di palette al fianco, sostenute dalla cintura infilata nell’anello del manico.

Particolare della situla della Certosa: uomo con paletta alla cintola

Fg. 12 – Particolare della situla della Certosa: uomo con paletta alla cintola

In fondo, dunque, forse i nostri Studiosi non sbagliavano del tutto ipotizzando un uso rituale per le palette, infatti se, come ritengo ormai certo, in Europa si rivelasse fondata l’ipotesi della paletta quale simbolo di ricchezza, ne verrebbe confermata in un certo senso anche la funzione rituale, funzione cioè relativa ad uno dei culti più universali e più controversi: il culto del danaro!

Fg. 12 - Frammento di intonaco in argilla e Peso da telaio da Santorso
Fg. 12 – Frammento di intonaco in argilla e Peso da telaio da Santorso

CONSEGUENZE OVVIE

Alla luce della nuova ipotesi sul significato delle cosidette palette rituali, acquistano un senso logico anche altre figure o, meglio, simboli, incisi sulle rupi della Val Camonica, i quali danno a loro volta un nuovo, più ampio ed articolato significato alle scene in cui appaiono raffigurati.
Come abbiamo visto, infatti, il cosidetto busto di orante disarmato potrebbe significare la resa dell’anima al Creatore; il busto di orante armato rappresenterebbe l’eroe defunto che dal mondo dei morti (il labirinto, cioè la via senza ritorno) assiste ai giochi gladiatori in suo onore , oppure (ma la cosa mi sembra poco probabile) in quanto via senza ritorno il labirinto potrebbe forse significare la prospettiva di morte per uno dei contendenti.
Anche il peso da telaio ed il frammento di intonaco rinvenuti a Santorso, i quali recano le impronte di due diversi modelli di impugnatura della paletta, acquisterebbero un significato preciso: l’impronta della paletta impressa sul peso da telaio sarebbe un segno beneaugurante in vista della ricchezza prodotta dal lavoro di tessitura, mentre l’intonaco della casa decorata con lo stesso simbolo starebbe ad indicare che di ricchezza il suo proprietario ne possedeva già in abbondanza.
In fondo, forse gli Studiosi non sbagliavano del tutto ipotizzando un uso rituale per le palette, infatti se, come penso, in Europa si rivelasse fondata l’ipotesi della paletta simbolo di ricchezza, ne verrebbe confermata in un certo senso anche la funzione rituale, funzione cioè relativa ad uno dei culti più universali e più controversi: il culto del danaro!