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I miei studi e ricerche in campo archeologico nel Veneto

Le specie: c’è evoluzione ed evoluzione

   GIANNI BASSI

LE SPECIE: C’È EVOLUZIONE ED EVOLUZIONE

da Il Giornale di Vicenza in data 23 agosto 1990
evoluzione

Le infinite forme dei viventi non cessano mai di stupire

Riguardo all’origine delle specie viventi, superata ormai totalmente la teoria creazionista, l’interesse ed il consenso per la teoria evoluzionista si è talmente dilatato da manifestare già da tempo i segni di profonde incrinature interne tendenti a suddividerla in varie correnti di pensiero.
La principale di tali correnti, cioè quella che riscuote il consenso della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica, è la corrente che definirei selezionista, in quanto tende a spiegare tutti i fenomeni relativi all’evoluzione delle specie con la selezione naturale, cioè con quel processo che tende ad eliminare gli esseri più deboli, meno duttili, meno rampanti ed a favorire i più forti, i più opportunisti, i più aggressivi.
La seconda corrente ha molto meno seguito (questo però è forse più avveduto) e potrebbe essere definita programmista, in quanto tende a considerare l’evoluzione delle specie non come mera conseguenza di un meccanismo selettivo cieco ma come realizzazione graduale di un progetto, che si avvale anche della selezione naturale.
È fuori dubbio che la selezione naturale abbia una funzione fondamentale nel processo evolutivo delle specie, funzione che consiste nell’escludere dal ciclo riproduttivo gli individui o addirittura le specie meno adatte ad affrontare le asperità della vita, tuttavia, bisogna tener presente che esistono due forme di evoluzione: una, che non modifica l’efficenza delle difese organiche, ed una, invece, che altera tali difese in quanto provoca una mutazione dei tessuti.

Ad esempio, il forte aumento di statura riscontrabile nell’ultima nostra generazione, non avendo provocato alterazioni nella qualità dei tessuti e quindi non avendo intaccato le difese organiche, costituisce una forma di mutazione, che in passato sarebbe stata certamente vantaggiosa in campo bellico favorendo, con la maggiore prestanza fisica, gli individui mutanti a scapito dei mingherlini (non dimentichiamoci che , per legge, nell’antica Sparta le donne potevano tradire il marito purché l’amante fosse più prestante del coniuge).

appendice

L’appendice nasce dalla parte iniziale dell’intestino crasso (colon), il quale non solo costituisce il serbatoio di transito preposto al recupero dei liquidi (acqua) dalle feci ma con queste ospita anche la miriade di micro-organismi costituenti la flora batterica intestinale.
(dis. da Tavole di Anatomia umana, ed Giunti-Marzocco)

Altrettanto non si può dire, invece, per certe mutazioni, come ad esempio la formazione di nuovi organi, le quali, durante il processo di radicale modifica dei tessuti, per milioni di anni hanno esposto i mutanti a infezioni e setticemie, un po’ come succede per le infezioni all’appendice, cioè di quella sottile diramazione situata alla base dell’intestino crasso, che a volte si infiamma e si infetta producendo nell’uomo l’appendicite, malattia che, se non curata, piò portare alla morte.

Su tale pericolosa presenza nel nostro organismo esistono pareri discordi: c’è chi dice che l’appendice è un organo in via di formazione (il quale perciò può essere causa di malattia non avendo ancora raggiunto lo stadio di funzionalità), e c’è chi dice che essa è un organo che si sta atrofizzando avendo perso la sua utilità (in questo caso, però, la pericolosità di tale organo sarebbe doppiamente fonte di guai, poiché gli inconvenienti che procura ora all’umanità dovrebbe averli prodotti anche nella fase di formazione).
In entrambi i casi, comunque, la presenza di questo ex o futuro organo costituisce un pericolo costante, quindi avrebbe dovuto essere cancellato sul nascere dal patrimonio genetico dell’uomo.

pancreas

Situato a ridosso del duodeno, il pancreas è collegato allo stesso attraverso i dotti di Santorini e di Wirsung.
(dis. da Atlante di anatomia umana, dell’Istituto Geografico del Agostini Novara)

Lo stesso discorso vale per qualsiasi altro organo, come il pancreas, ad esempio, che si è formato da un diverticolo del duodeno, quindi nel primissimo tratto dell’intestino tenue, dove il bolo appena im-bevuto di acidi gastrici presenta ancora un forte contenuto di batteri vitali e potenzialmente patogeni (pensiamo al vibrione del colera, ad esempio, che supera agevolmente la barriera chimica costituita dai succhi gastrici secreti dalla mucosa dello stomaco).
Durante i milioni di anni impiegati dal diverticolo duodenale per modificare le proprie cellule e per organizzarle nel modo estremamente complesso in cui si presentano oggi all’interno del pancreas, detti batteri sono sicuramente stati una seria fonte di guai, i quali hanno prodotto una selezione che, anziché accelerare l’evoluzione, l’hanno sicuramente rallentata e ciò, essendo gli antenati dei mammiferi comparsi già nel periodo Triassico (come apparirebbe da recenti scoperte paleontologiche), potrebbe forse spiegare come essi abbiano dovuto attendere il declino dei dinosauri per espandersi e conquistare la Terra.
A questo punto, qualcuno potrebbe obiettare che anche i grandi rettili avrebbero sopportare la medesima trafila selettiva, eppure essi hanno conquistato la Terra 200 milioni di anni prima dell’esplosione demografica dei mammiferi e l’hanno poi tenuta in loro potere per ben 180 milioni di anni! Come si spiegherebbe questa contraddizione?
La risposta, forse, è più semplice di quanto non credano i molti studiosi che si sono posti la stessa domanda: i rettili differiscono dai mammiferi per non avere il sangue caldo e quindi per non avere una temperatura corporea costante, ed è proprio questa caratteristica che, durante i periodi in cui la temperatura corporea del rettile è bassa (ad esempio di notte) rallenta o blocca la virulenza dei batteri patogeni, mentre le difese corporee del rettile, che agiscono chimicamente, continuano quasi indisturbate la loro azione bonificatrice.
Questo fenomeno renderebbe i rettili molto più resistenti alle infezioni batteriche rispetto ai mammiferi, i quali, con la loro temperatura costante, forniscono invece ai batteri un ambiente di proliferazione ideale.
Ciò, unito alla concorrenza in campo alimentare costituita dall’onnipresenza dei rettili (i quali, nell’era mesozoica, si erano talmente diffusi e differenziati da occupare praticamente tutte le nicchie ecologiche) ha limitato enormemente il numero dei mammiferi rallentandone in modo drastico, e a volte totale, l’evoluzione.

Non ostante ciò, tuttavia, la Natura ha seguito il suo corso realizzando il suo grandioso progetto: pur se fra mille difficoltà ed infortuni, gli organismi si sono modificati adattandosi sempre meglio alle caratteristiche dell’ambiente, sono diventati sempre più complessi e più versatili fino a raggiungere i vertici toccati da quell’animaletto, che è situato all’origine della specie umana.
Arrivato ad uno stadio di sviluppo pressoché completo, a quel nostro antichissimo progenitore non rimanevano che due scelte: continuare nell’evoluzione per conquistare mediante l’adattamento le varie nicchie ecologiche, cadendo così nella trappola sen

escherichia

Fra gli innumerevoli batteri abitualmente presenti nel colon va annoverata anche l’escherichia coli, un batterio che, se trasferito accidentalmente in altre parti dell’organismo o ingerito per trascuratezza delle norme igeniche, può causare gravi malattie infettive.
(foto da Microbiologia medica di L, Salvaggio. ed Piccin- PD)

za uscita della specializzazione, come hanno fatto gli antenati dei felini, dei canidi, dei bovidi, dei camelidi ecc., oppure mantenere il proprio corpo ad uno stadio di indifferenziata versatilità in attesa di una buona occasione.
Questa strategia è applicata spessissimo in natura e consente il persistere fino ai nostri giorni di forme di vita anche estremamente primitive dette scherzosamente “fossili viventi”, le quali non costituiscono sistemi biologici decadenti od involuti ma sistemi pronti a scattare non appena le condizioni ambientali lo consentono, per riuscire là, dove sistemi più evoluti e più specializzati hanno fallito.
Abbiamo innumerevoli esempi di queste presenze dal potenziale latente: in primo luogo i batteri, poi i funghi, che segnano forse la fase di passaggio dall’organizzazione dei tessuti di tipo vegetale a quella di tipo animale, i pesci primitivi quali il celacantus, i vari tipi di anfibi (l’esempio più primitivo dei quali è il curioso pesce perioftalmo) e così via.
L’occasione buona per il nostro antenato si presentò quando scoprì che, camminando sulle zampette posteriori, poteva mantenere libere quelle anteriori (formate già da vere e proprie manine) per fare cose che gli altri esseri più specializzati non avrebbero mai più potuto fare.

Così, quel nostro lontanissimo progenitore imboccò una nuova via dell’evoluzione, via che forse nessun altro essere prima di lui aveva intrapreso: la via dell’evoluzione della mente, la quale, sviluppando e potenziando il cervello, avrebbe modificato in modo inconfondibile anche la fisionomia della sua testa rendendola più tondeggiante e, tutto sommato, gradevole, come abbiamo noi oggi.

Un Ercole che non è Ercole

Fufluns – bronzetto etrusco rinvenuto a Contarina

Come già ho avuto modo di ricordare in altre occasioni, capita a volte di notare delle sviste degli studiosi quando, nelle loro opere, parlano di cose che esulano dalla loro specifica competenza.

Il settore in cui sembra che i nostri addetti ai lavori cadano più spesso in errore è quello della zoologia: lupi scambiati per cavalli, cervi per stambecchi, capri per tori e così via, sono cose che capita abbastanza frequentemente di notare anche su testi importanti.

«Data l’approssimazione di certe immagini – si dirà – è facile cadere in fallo!»

È vero…  che a volte il riconoscimento dei soggetti sia reso problematico dall’approssimazione di certe figure o dal loro pessimo stato di conservazione è un fatto che non si discute, tuttavia, quando le forme sono riprodotte in modo accurato, quasi calligrafico, l’errore non è più ammesso, spece se l’interpretazione che ne deriva condiziona pesantemente la sostanza dell’opera.

[Scarica l’opuscolo: Un Ercole che non è Ercole(PDF 1,6 MByte)

Ekupetaris: una parola misteriosa

Laminetta con domatori di cavalli
(IV-V sec. a.C. Vicenza)

Uno di tali aspetti salienti della cultura degli antichi Veneti è la lingua, della quale rimane ancora qualche traccia nella parlata veneta attuale e di cui sono disponibili solo pochi esempi in brevi iscrizioni incise su cocci o su pietra e in epigrafi scolpite su rari segnacoli tombali e monumenti funebri.

Dall’esame di dette iscrizioni, fra tante voci più o meno riconoscibili si distingue un gruppo di parole oscure, assai simili fra di loro ma tuttavia diverse…

Ed è ovviamente sul significato di tali parole che si appunterà la nostra attenzione!

[Scarica opuscolo: “Una parola misteriosa“]  (PDF 820 KByte)

Le cosidette palette rituali

Fg. 1 - Paletta venetica in bronzo rinvenuta a Padova (nel cortile del convento del Santo) nel 1899. Sulla faccia anteriore reca incisa la figura di un cavallo e lungo i margini di quella posteriore reca la scritta in caratteri venetici "etsualeutikukaian nakinatarisakvil"mentre sul manico reca un asterisco ed un motivo a V sovrapposte.

Fg. 1 – Paletta venetica in bronzo rinvenuta a Padova (nel cortile del convento del Santo) nel 1899. Sulla faccia anteriore reca incisa la figura di un cavallo e lungo i margini di quella posteriore reca la scritta in caratteri venetici “etsualeutikukaian nakinatarisakvil”mentre sul manico reca un asterisco ed un motivo a V sovrapposte.

Studio realizzato nel luglio 1986 e pubblicato sulla Voce dei Berici nel 1988 e sul Giornale di Vicenza nel 1992

PREMESSA

Fra il notevole materiale archeologico rinvenuto nella zona di Santorso ed esposto nel locale Museo didattico, figurano anche due pezzi di singolare interesse risalenti ad alcuni secoli prima di Cristo, in piena Età del Ferro.
Si tratta di un peso da telaio in terracotta e di un frammento di intonaco in argilla recanti entrambi delle decorazioni prodotte mediante l’impressione dell’estremità dell’impugnatura di un caratteristico oggetto, che finora ha sfidato con successo la perspicacia e l’immaginazione degli Studiosi.

UN ENIGMA DAL PASSATO

Nel primo millennio avanti Cristo, apparve in Europa un tipo di oggetti di uso abbastanza frequente, la cui funzione è tuttora misteriosa: si tratta delle cosidette Palette Rituali, oggetti in bronzo a forma appunto di paletta dal manico elegantemente traforato, che recano sovente delle decorazioni incise su una delle facce (fg 1).

Oltre ai numerosi esemplari di paletta rinvenuti in varie località, spece nell’Italia nordorientale, questo oggetto appare in sculture della Spagna, come sulla stele di Solana de Cabanas (fg 2) e della Francia, a Sarraburg, Vienne e altrove..

Tuttavia, la località in cui la paletta appare più frequentemente è la Val Camonica, sulle cui rocce, fra migliaia di altri graffiti, il nostro oggetto misterioso è raffigurato in numerose scene che presentano situazioni diversissime e prive, in apparenza, di qualsiasi legame logico tra di loro.
Ciò mi induce a pensare che il segno della paletta rappresenti non un elemento della scena ma un simbolo od un ideogramma atto a spiegare il significato della scena stessa.

Infatti, che ci starebbe a fare una paletta, quale che sia il suo uso, in mano ad un uomo ritto di fronte ad un bovino dalle corna imponenti? (fg 3);   e l’altra paletta raffigurata fra branchi di cervi (fg 4) che ci farebbe?   e, in un’altra scena, cosa potrebbero significare due grosse palette presso due telai tessili di fronte ai quali c’è un uomo? (fg 5); e cosa significano le grandi palette che affiancano un guerriero che trafigge con la lancia un nemico affiancato da un cosidetto Busto di orante? (fg 6)   E che significa la grande paletta vicina ad alcuni combattenti impegnati presso un cosidetto labirinto? (fg 7)Grafiti Val Camonica

Fg. 6 - Grafiti rupestri della Val Camonica.

Fg. 6 – Grafiti rupestri della Val Camonica.

Fg. 7 - Graffiti rupestri della Val Camonica

Fg. 7 – Graffiti rupestri della Val Camonica

Ebbene, è da tutte queste apparenti incongruenze che derivano le difficoltà per gli studiosi, i quali, per decenni, si sono arrovellati cercando di individuare l’utilità pratica dell’oggetto anziché immaginare per lui una funzione simbolica.

Sono state così formulate le ipotesi più varie, tutte ugualmente degne di rispetto ma tutte, aimè, destituite di credibilità da qualcuna delle incisioni della Val Camonica.

Fg. 8 - Pagaia in legno da Trana (TO)

Fg. 8 – Pagaia in legno da Trana (TO)

Si è ipotizzato così che la paletta rappresentasse una pagaia sul tipo di quelle rinvenute nei villaggi palafitticoli della Padania (fg 8), si è ipotizzato che rappresentasse uno specchio o un rasoio o una scure riferendosi a reperti archeologici simili nella forma alla nostra paletta; si è pensato anche alle palette da muratore, le antenate delle cazzuole, e persino alle palette per battere il bucato, oggetti in legno riccamente decorati ancora in uso in tempi assai recenti (fg 9) e molto simili alle palette rituali.

fg 9 – paletta in legno da bucato usata in Alto Adige fino al XIX scolo

fg 9 – paletta in legno da bucato usata in Alto Adige fino al XIX scolo

Stranamente, fra tanta abbondanza di proposte, mi risulta che non sia mai stata ipotizzata l’identificazione della paletta rituale con gli stampi da burro a paletta, attrezzi in legno sempre splendidamente decorati, i quali pure hanno una straordinaria somiglianza col nostro oggetto misterioso (fg 10).

fg 10 – stampo in legno per burro usato nelle valli biellesi fino agli anni ’50.

fg 10 – stampo in legno per burro usato nelle valli biellesi fino agli anni ’50.

 

Infine, scoraggiati da tante delusioni, gli studiosi si sono rassegnati ad ipotizzare per la paletta una funzione rituale, funzione il cui significato non è possibile definire ma che sarebbe giustificata dal fatto, che l’oggetto appare fra gli attributi di un idolo celtico, probabilmente Succellus, la cui personalità rimane ancora oscura: forse, si afferma, la paletta era un talismano che garantiva la salvezza in caso di pericolo o serviva a raccogliere le ceneri dei defunti dopo il rogo funebre.
Tale ipotesi, tuttavia, non spiega cosa potrebbero fare degli attrezzi simili in mezzo alla selvaggina o fra i bovini o presso i telai tessili!

UN INDIZIO DALL’ORIENTE

A squarciare l’oscurità che ancora nasconde la vera funzione della nostra paletta in bronzo, forse un po’ di luce ci viene dall’Estremo Oriente: infatti, lungo il medio corso del fiume Yangtze, in Cina, nel primo millennio avanti Cristo venivano usati oggetti molto simili alla nostra paletta misteriosa.
Si tratta di monete in bronzo a forma di paletta, che recano, disegnata a rilievo su un lato, la rappresentazione del valore!
Una di queste monete, attribuita alla dinastia Chou che ha regnato dal 1122 al 225 a.C., reca su una delle facce il bellissimo disegno di un ariete e sull’impugnatura l’ideogramma del valore numerico: si tratta di una moneta da dieci pecore, che veniva assicurata alla cintura a mezzo di un laccio passante per il foro del manico (fg 11 qui a lato).

fg. 11 - Moneta in bronzo della dinastia Chou (Cina, XII - III sec. a.C.) Valore della moneta: 10 pecore.

fg. 11 – Moneta in bronzo della dinastia Chou (Cina, XII – III sec. a.C.) Valore della moneta: 10 pecore.

Se per le nostre palette ipotizzassimo una funzione simile , acquisterebbe nuova luce anche la parola pecunia (da pecus = pecora) che i Latini usavano per indicare il danaro!
D’altra parte, se considerassimo le palette incise in Val Camonica come ideogrammi significanti la ricchezza rappresentata dal danaro, vedremmo che tutte le scene in cui appaione raffigurate delle palette acquisterebbero un significato logico!
Comprenderemmo così, che in Val Camonica il bestiame domestico e la selvaggina costituivano una ricchezza per i singoli individui e per la comunità (fgg 3 e 4), che l’attività tessile produceva ricchezza (fg 5), che il guerriero vittorioso conquistava un ricco bottino (due palette) e quindi ricchezza (fg 6) mentre il perdente rendeva l’anima (busto di orante), e comprenderemmo che i combattenti presso il labirinto (luogo di non ritorno) probabilmente dei gladiatori impegnati in un duello in onore di un guerriero defunto (busto di orante armato), si contendevano un importante trofeo (paletta enorme fg 7), che il guerriero della stele iberica, oltre che valoroso (grandi armi) era anche ricco (fg 2) e che la divinità celtica con paletta di nome Succellus era forse l’equivalente del germanico Freyr dispensatore di ricchezza, di benessere e di voluttà.
Una chiara conferma all’ipotesi della Paletta simbolo di ricchezza ci giunge inaspettata dall’attenta analisi delle figure sbalzate sulla Situla della Certosa rinvenuta a Bologna.
Splendida testimonianza dell’Arte delle Situle, questo contenitore in bronzo fittamente decorato a sbalzo e ad incisione presenta una quantità di figure distribuite su quattro fasce: nella seconda dall’alto, a sinistra, in coda ad una processione di donne e uomini variamente abbigliati che camminano verso destra conducendo animali o portando cose di vario genere, che fanno pensare alle offerte e al necessario per celebrare qualche importante rito, avanza anche un uomo che porta a spall’arm un enorme spadone con lunghissima impugnatura e reca, appeso alla cintola, un oggetto in tutto simile ad una paletta, proprio come usavano i Cinesi, che portavano le monete a forma di palette al fianco, sostenute dalla cintura infilata nell’anello del manico.

Particolare della situla della Certosa: uomo con paletta alla cintola

Fg. 12 – Particolare della situla della Certosa: uomo con paletta alla cintola

In fondo, dunque, forse i nostri Studiosi non sbagliavano del tutto ipotizzando un uso rituale per le palette, infatti se, come ritengo ormai certo, in Europa si rivelasse fondata l’ipotesi della paletta quale simbolo di ricchezza, ne verrebbe confermata in un certo senso anche la funzione rituale, funzione cioè relativa ad uno dei culti più universali e più controversi: il culto del danaro!

Fg. 12 - Frammento di intonaco in argilla e Peso da telaio da Santorso
Fg. 12 – Frammento di intonaco in argilla e Peso da telaio da Santorso

CONSEGUENZE OVVIE

Alla luce della nuova ipotesi sul significato delle cosidette palette rituali, acquistano un senso logico anche altre figure o, meglio, simboli, incisi sulle rupi della Val Camonica, i quali danno a loro volta un nuovo, più ampio ed articolato significato alle scene in cui appaiono raffigurati.
Come abbiamo visto, infatti, il cosidetto busto di orante disarmato potrebbe significare la resa dell’anima al Creatore; il busto di orante armato rappresenterebbe l’eroe defunto che dal mondo dei morti (il labirinto, cioè la via senza ritorno) assiste ai giochi gladiatori in suo onore , oppure (ma la cosa mi sembra poco probabile) in quanto via senza ritorno il labirinto potrebbe forse significare la prospettiva di morte per uno dei contendenti.
Anche il peso da telaio ed il frammento di intonaco rinvenuti a Santorso, i quali recano le impronte di due diversi modelli di impugnatura della paletta, acquisterebbero un significato preciso: l’impronta della paletta impressa sul peso da telaio sarebbe un segno beneaugurante in vista della ricchezza prodotta dal lavoro di tessitura, mentre l’intonaco della casa decorata con lo stesso simbolo starebbe ad indicare che di ricchezza il suo proprietario ne possedeva già in abbondanza.
In fondo, forse gli Studiosi non sbagliavano del tutto ipotizzando un uso rituale per le palette, infatti se, come penso, in Europa si rivelasse fondata l’ipotesi della paletta simbolo di ricchezza, ne verrebbe confermata in un certo senso anche la funzione rituale, funzione cioè relativa ad uno dei culti più universali e più controversi: il culto del danaro!