Clima 4: risolto l’enigma delle correnti oceaniche

Quanti, fra i nostri Lettori, hanno visto qualche volta delle competizioni di atletica leggera, hanno certamente notato che nelle gare di velocità gli atleti partono da postazioni situate in posizione scalare; le più interne alle curve risultano gradualmente arretrate rispetto a quelle disposte verso i margini dell’area sportiva, e ciò perché, se i blocchi di partenza fossero tutti appaiati su una medesima linea, gli atleti delle corsie esterne si troverebbero svantaggiati nelle curve a causa della maggiore lunghezza delle loro corsie di marcia.

Ebbene, nella risalita dal fondo degli oceani alla superfice, alle acque delle correnti ascensionali capita un po’ la medesima cosa; girando attorno all’asse terrestre ad una profondità di tot chilometri, nelle ventiquattr’ore esse si trovano a compiere una circonferenza minore rispetto a quelle che dovranno percorrere nello stesso intervallo di tempo nel corso della risalita, poiché questa le allontana dall’asse terrestre allungando il raggio e di conseguenza l’estensione delle circonferenze da percorrere alle diverse quote.

Schema esemplificativo dell’attardamento delle acque in risalita dal fondale oceanico

Schema esemplificativo dell’attardamento delle acque in risalita dal fondale oceanico

Diagramma esemplificativo dell’attardamento, alle diverse profondità, delle acque in risalita dal fondale oceanico: trovandosi a percorrere circonferenze sempre maggiori durante la risalita, a causa della minore velocità iniziale di rotazione attorno all’asse terrestre esse si attardano progressivamente, giungendo in prossimità della superfice in una posizione notevolmente scostata ad occidente rispetto a quella perpendicolare al punto di partenza.

Dunque, risalendo verso la superfice, le acque di provenienza profonda e cariche di sostanze minerali si troverebbero a percorrere circonferenze di lunghezza via via crescente, cosicché, mantenendo per inerzia la velocità di rotazione iniziale, esse si attarderebbero sensibilmente rispetto all’ambiente circostante.

In realtà, però, l’attardamento sarebbe minore di quelle che potrebbe risultare dai calcoli, poiché, pur se dotate di una superiore inerzia dovuta al carico di minerali in esse disciolti, le acque in risalita subirebbero inevitabilmente un certo trascinamento da parte delle acque stazionanti alle diverse quote.  Il ritardo, tuttavia, sarebbe ugualmente sensibile, cosicché una persona, che si trovasse su un’imbarcazione immobile sulle acque in attardamento rispetto alla normale velocità di rotazione della superfice oceanica a quella latitudine, vedendo delle terre lontane che la sopravanzano verso Est, avrebbe la netta impressione di navigare su una corrente diretta ad Ovest[1].

Le correnti oceaniche sono generate da profonde correnti calde che risalendo la superfice si attardano sulla rotazione terrestre

Le correnti oceaniche sono generate da profonde correnti calde che risalendo la superfice si attardano sulla rotazione terrestre

C’è sempre una grande fonte di calore attiva sul fondo dell’oceano all’origine delle cosiddette “correnti oceaniche”, le quali in realtà non sono delle “correnti”, cioè non sono delle masse d’acqua in movimento verso Ovest, ma ruotano anch’esse verso Est attorno all’asse terrestre, attardandosi però a causa della loro velocità iniziale, che è inferiore rispetto a quella delle acque superficiali.

«E va bene… – si dirà ancora – ma, se l’acqua risalita dal fondale oceanico non riesce a raggiungere la superfice perché la sua temperatura residua è insufficiente a darle la spinta finale, come si spiega che, nella zona di risalita, la temperatura superficiale dell’oceano è notevolmente più bassa rispetto a quella che dovrebbe avere a quella latitudine e che si riscontra invece all’estremità occidentale della stessa fascia oceanica? »

Anche in questo caso la risposta è semplice: attardandosi ad Ovest, le acque “fresche” risalite dal fondo strisciano sotto lo strato delle calde acque superficiali mescolandosi ad esse per attrito, cosicché ne risulta un miscuglio che presenta una temperatura nettamente inferiore a quella che sarebbe propria a quella latitudine, ma nettamente superiore a quella residua delle acque risalite dal fondo dell’oceano.

Ovviamente, fino a che continua il flusso dalle profondità oceaniche, allo stesso modo continua anche l’attardamento verso Ovest della “cosiddetta corrente”, la quale continuerà a diffondere nell’oceano le sue acque rese fertili dalla carica di elementi minerali sottratti agli apparati vulcanici sottomarini.

Acque fertili, dunque, che favoriscono un’esplosiva proliferazione del fitoplancton, il quale, oltre a produrre la massima parte dell’ossigeno atmosferico, costituisce la base della catena alimentare dell’oceano, dallo zooplancton al krill ed alle balene che di questo si nutrono, dagli invertebrati più primitivi ai pesci di tutte le dimensioni, dai pinguini e dalle foche agli squali  ed alle orche voraci.

Quando però si attenua o addirittura si spegne una delle centrali termiche del sistema di termoregolazione[2] del nostro pianeta, avviene la catastrofe: quella, che era conosciuta come una corrente portatrice di vita per la fertilità delle sue fresche acque, si arresta[3] e in breve la superfice oceanica si riscalda sotto i raggi del Sole adeguandosi alla temperatura normale per quella latitudine, perdendo però la sua rigogliosa vitalità.

Questo, ad esempio, è ciò che avviene quando si verifica l’evento detto “el Niño”, evento che si crede sia una “corrente calda” che porta la morte della pesca ma che, in realtà, costituisce il ripristino delle condizioni ambientali che sarebbero “normali” a quella latitudine, condizioni che invece sono abitualmente alterate dalla frescura portata dalla cosidetta “Niña”, l’area resa fertile e ricca di vita dall’attardamento verso Ovest delle acque risalite dagli abissi oceanici grazie all’attività idrotermale presente al largo della costa peruviana.

Il fenomeno del Niño, evidenziato in rosso.

Il fenomeno del Niño, evidenziato in rosso.

In questa mappa del Servizio meteo degli Usa, è ben evidenziata in rosso l’area colpita dal fenomeno detto El Niño, fenomeno che in realtà non è una “corrente calda” come si crede, ma che consiste nel ripristino della normale temperatura della superfice oceanica in seguito alla scomparsa della Niña, la fresca e fertile “corrente” emersa dal fondale oceanico al largo delle coste peruviane, la quale, per la pescosità delle sue acque, garantisce benessere a tutte le popolazioni della zona.

Come abbiamo visto, dunque, tanto nell’area del Sudpacifico quanto in tutti gli altri oceani e mari della terra, ciascuna fase di sviluppo di queste benefiche “pseudo correnti” dipende dall’attività idrotermale che avviene sul fondo degli abissi[4].

Tale attività tuttavia, al pari di quanto avviene nelle aree vulcaniche sulle terre emerse, può avere una durata estremamente varia, che potrebbe essere di solo qualche giorno (come avviene nel caso dell’Etna) o di qualche mese, ma può anche durare addirittura millenni (come nel caso delle eruzioni del Trappo Siberiano e dell’altopiano del Deccan), ed è per questo motivo che sarebbe importante monitorare gli apparati idrotermali che generano le correnti: il rilevamento di ogni loro cambiamento di regime potrebbe consentire di stimare con maggiore anticipo la portata idrica della corrente che da essi prende origine, e ciò consentirebbe di allungare considerevolmente i tempi delle previsioni di massima a favore dell’Agricoltura

«Bene!… – dirà qualcuno – Ma qui si parla solo di correnti oceaniche generate dall’attardamento verso Ovest delle acque in risalita dai fondali… Come si spiegano, allora, le correnti che si muovono in tutt’altra direzione, come la Corrente del Golfo, ad esempio, che attraversa l’Atlantico in direzione SO-NE, e la Corrente Circumantartica, che si muove addirittura verso Est sopravanzando la rotazione terrestre?»

Dare una risposta a questa domanda non è difficile, ma richiede un certo spazio: invitiamo pertanto il Lettore a seguirci nell’articolo che segue, dal titolo:  Le correnti oceaniche “secondarie”.


Note

[1] Per comprendere meglio la falsa impressione, che nell’esempio avrebbe il navigante immobile sull’oceano, ricordiamo la sensazione che suscita in noi l’osservazione dell’acqua di un fiume che passa vorticosa sotto il ponte su cui troviamo: la corsa della corrente, infatti, ci dà l’impressione di essere noi in movimento e non l’acqua.

[2] Le attività effusiva ed idrotermale sottomarine non formano un impianto di termoregolazione unico ma, costituendo la via attraverso la quale si scarica all’esterno l’energia termica prodotta in eccesso nelle viscere del pianeta, ciascun apparato funziona in maniera pressoché indipendente dagli altri, cosicché esso può aumentare o diminuire la propria attività senza influire in modo apprezzabile sul funzionamento degli altri. Come vedremo, però, esistono alcuni di tali apparati, situati in zone geografiche particolari, il cui funzionamento più o meno attivo influisce più degli altri sull’andamento complessivo del clima terrestre.

[3] Per non dovere ripetere continuamente l’ingombrante definizione di “cosidetta corrente” o di “acqua risalita dal fondale oceanico” od ancora “acque in attardamento rispetto alla normale velocità di rotazione della superfice del pianete a quella latitudine”,  per comodità da qui in avanti accettiamo di usare il più sbrigativo termine convenzionale di “corrente” anche se non è corretto, così come è puramente convenzionale la voce “si arresta”, perché in realtà, cessato il flusso di acque in attardamento, l’oceano si ricompone in una piatta uniformità termica.

[4] Ho detto “attività che avviene sul fondo degli abissi” a ragion veduta: quando, infatti, l’attività idrotermale sottomarina avviene in prossimità della superfice, data l’insignificante differenza di velocità di rotazione attorno all’asse terrestre fra le due quote, non avviene quasi attardamento, tanto più che, data la sua lieve entità, questo viene facilmente annullato dal trascinamento operato dall’inerzia delle acque circostanti, cosicché praticamente non si forma alcuna corrente.