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I maremoti

considerazioni sulle teorie correnti e sulla realtà delle cose

[rielaborazione del materiale per un articolo del 31-1-2005]

CHIACCHERE AL CAPEZZALE DEL PIANETA

Effetti prodotti dallo tsunami dell'Alaska (1964) a Kodiak (Alaska). Le barche nella foto sono state trasportate in citta`dalle onde, a qualche decina di metri dalla costa. (Foto tratta da NOOA Photo Library  in http://www.photolib.noaa.gov/historic/c&gs/theb0964.htm).

Effetti prodotti dallo tsunami dell’Alaska (1964) a Kodiak (Alaska). Le barche nella foto sono state trasportate in citta`dalle onde, a qualche decina di metri dalla costa. (Foto tratta da NOOA Photo Library in http://www.photolib.noaa.gov/historic/c&gs/theb0964.htm).

Quando avviene una grande catastrofe, subito si scatena la ridda delle congetture scientifiche tese a spiegare al Volgo le cause e i meccanismi degli spaventosi fenomeni, e puntualmente, già poche ore dopo il fortissimo terremoto del 26 dicembre 2004 che, generando un devastante tsunami, travolse il Sud-est asiatico provocando danni immensi e centinaia di migliaia di vittime, da parte di numerosi Scienziati e addirittura di prestigiosi Istituti scientifici internazionali cominciò la gara a chi indovinava la diagnosi.
Sembrava di sentire i medici al capezzale di Pinocchio morente, che dicevano tutto e il contrario di tutto: ipotesi sparate a caldo non per reale e ponderata convinzione ma, spesso, solo per potersi vantare, in vista di una eventuale conferma dai fatti, di averlo detto per primi!
Lungi però dal fare chiarezza sui fenomeni, quella gara aumentò la confusione nell’opinione pubblica e, quel che è peggio, anche negli addetti alla prevenzione delle calamità ed al soccorso delle popolazioni: e quanto ciò sia vero è confermato dalla indeterminatezza delle risoluzioni, a cui era giunta la conferenza internazionale tenutasi a Kobe sul tema, appunto, delle catastrofi naturali.
Più che dimostrare la competenza degli scienziati, l’evidente contradittorietà delle loro sparate mostrava una certa leggerezza nel comportamento e l’inadeguatezza della loro preparazione, ma non solo: il fatto, che si possa dire tutto e il contrario di tutto sulla base di una unica teoria scientifica accettata ormai universalmente, è la dimostrazione lampante, che quella teoria è quanto meno non idonea a fornire spiegazioni credibili e univoche sulle cause di cataclismi come quello del 26 dicembre 2004, e non solo di quello!
Formulata quale sintesi di varie ipotesi espresse per dare una spiegazione apparentemente razionale e realistica ai fenomeni della Deriva dei continenti e della Espansione dei fondi oceanici, quella teoria è fondata sulla presunta suddivisione della Crosta oceanica in innumerevoli particelle adagiate su altrettante cellule convettive in cui sarebbe frazionato il Mantello (l’immane strato magmatico sul quale galleggia la crosta terrestre) le quali, coi loro flussi verticali attivi e passivi, darebbero ragione dell’espansione dei fondi oceanici mediante la formazione di nuova crosta da un lato e della consunzione della crosta vecchia dall’altro, e di come, agendo come un nastro trasportatore sul quale sarebbero adagiati i continenti, questi verrebbero spostati in qua e in là sulla superfice del pianeta.
In pratica dunque, tutta questa costruzione teorica si fonda sulla presunzione, che il magma del Mantello salga e scenda nelle viscere della Terra come fa l’acqua che si scalda in una pentola posta sul fuoco, i cui moti convettivi sono evidenziati dal continuo saliscendi dei fagioli messi a cuocere.

UNA TEORIA CHE NON STA A GALLA…

Per quanto possa apparire suggestivo, però, il modello basato sull’esempio della pentola d’acqua messa a bollire non è realistico, poiché si riferisce al comportamento di un fluido semplice e stabile: l’acqua appunto, la quale, formata solo dalla forte unione di Ossigeno e Idrogeno, pur se esposta a forte calore non è soggetta a disgregazione.
Al contrario, essendo costituito da tutti gli elementi presenti sul nostro pianeta e dalle loro più svariate combinazioni (che ne rendono la composizione estremamente complessa) il magma che sale dalle viscere della Terra non è assolutamente stabile, cosicché, montando verso la superfice, subisce una profonda riorganizzazione interna a causa del rapidissimo calo della pressione ambientale e della temperatura, fattori che agiscono grazie ai diversissimi punti di fusione dei suoi componenti.
Per spiegarci meglio, ricordiamo che il magma fonde ad una temperatura di soli 8-900 gradi e che a 1.200° esso è fluido quasi come l’olio, mentre i suoi componenti fondono a temperature diversissime: come il ferro, che fonde a 1.500° e il platino che fonde a 1.775°, mentre altri suoi componenti pure molto pesanti fondono a temperature nettamente inferiori, come l’antimonio, che fonde a 630°, il piombo che fonde a 327°, lo stagno, che fonde a soli 232°, e come il mercurio, che addirittura è già fuso alla nostra temperatura ambiente.
Ebbene, fino a che il magma si trova a grandissima profondità ed è sottoposto a pressioni di migliaia di atmosfere, la sua densità è altissima e la sua temperatura si mantiene a livelli di molte migliaia di gradi, cosicché tutti i suoi componenti rimangono allo stato fluido.
Quando però, si presenta una profonda spaccatura nella Crosta terrestre (detta Spaccatura tettonica) che consente un’ampia via di fuga, come avviene nei vulcani lineari che costituiscono l’asse originario delle Dorsali oceaniche, la pressione ambientale all’interno del Mantello precipita rapidamente e ciò consente al magma di espandersi prepotentemente aumentando così in modo incontenibile il proprio volume.
Questo processo rende il magma sempre più fluido e instabile, facilitando così la mobilità dei suoi componenti anche a grande profondità, i quali sgusciano sempre più rapidamente verso la via di fuga facendo in tal modo diminuire sempre più estesamente la consistenza del Mantello (1).
Quest’ultimo, progressivamente depauperato ed oppresso dal proprio peso e da quello della soprastante Crosta oceanica, nonché dal peso dello spessore dell’oceano, avvia un processo di assestamento che avviene mediante la diminuzione del proprio volume, assestamento che provoca di conseguenza, nel soprastante fondo oceanico, una progressiva subsidenza (abbassamento), la quale, con l’estendersi del fenomeno della migrazione dei componenti del magma verso la via di fuga, si propaga lentamente dalle vicinanze della spaccatura tettonica fin verso l’estremità distale della particella, in prossimità della Fossa che segna in genere il limite fra la placca oceanica e quella continentale.
Secondo la teoria corrente più accreditata, detta Fossa costituirebbe l’imboccatura del varco, attraverso il quale la crosta oceanica vecchia sprofonderebbe nel Mantello, dando luogo, si dice, al cosidetto processo di Subduzione, e questo perché, affermano i sostenitori di tale teoria, raffreddandosi, il basalto della crosta oceanica si addenserebbe appesantendosi fino a perdere la capacità di galleggiare sul magma del Mantello.
Ebbene, sorvolando sulla reale trafila, che il magma subisce nella fase di risalita dalle viscere del Mantello alla superfice della crosta oceanica, fino al suo consolidamento in forma di basalto (trafila legata agli effetti dovuti alla diversità dei punti di fusione a cui abbiamo accennato), questa ipotesi si scontra con una serie di contraddizioni imbarazzanti, cosicché viene da chiedersi:
– Perché mai il basalto non torna ad immergersi nelle profondità del Mantello subito dopo essersi formato, subito dopo, cioè, che il magma che lo ha generato si è raffreddato e dunque addensato e appesantito al punto di perdere la capacità di galleggiamento?
– E perché mai, prima di dileguarsi nella cosidetta Fossa di Subduzione, ciascuna porzione di crosta basaltica rimane a galleggiare sul Mantello per decine di milioni di anni, fino a completare la traversata del fondo oceanico?
– E come potrebbe, la stessa sottile crosta basaltica (2), rimanere in immersione allo stato solido per milioni e milioni di anni pur se sottoposta a temperature di molte migliaia di gradi (3), tanto da riuscire, con la sua rigidità, a provocare ancora scosse sismiche ad oltre 700 (settecento) Km di profondità (4), come rivelano chiaramente i sismografi?»
Non potendo, la teoria in auge, dare risposte credibili a tali domande, torniamo alle vicende della crosta oceanica e vediamo che, all’estremità distale di una delle sue Particelle, dove la sottile crosta oceanica si addossa alla possente piattaforma continentale, la sua subsidenza al seguito dell’assestamento del mantello incontra serie difficoltà dovute al forte attrito fra i due diversi elementi (crosta oceanica e crosta continentale), attrito che ne impedisce il regolare andamento.
In tal modo, fra le due diverse placche crostali (oceanica e continentale) si formano delle fortissime tensioni, che fanno inarcare la sottile crosta oceanica (5) tenendone incastrato il margine contro il bordo della piattaforma continentale, bordo che a sua volta tende ad abbassarsi sotto il peso dell’immane fardello che si trova a reggere suo malgrado (6).
Quando, infine, lo sforzo supera la resistenza dei materiali lungo la linea di contatto fra le due placche, avviene improvviso l’assestamento: il margine della placca oceanica collassa rapidamente per adagiarsi completamente sul sottostante Mantello mentre, alleggerito del peso, il margine continentale si rialza grazie alla propria spinta di galleggiamento… E avviene la catastrofe!
E tutto questo è proprio quanto avvenne il 26 dicembre 2004 al largo dell’Indonesia, dove risulta che il margine della placca continentale si sia rialzato di una ventina di metri rispetto alla quota iniziale.

MA… IL MAREMOTO?

Anche riguardo all’origine dei maremoti ci sarebbe da ridire, perché le spiegazioni offerte dagli addetti ai lavori non quadrano con la robusta consistenza della crosta continentale né con la quantità di acqua movimentata da un maremoto delle dimensioni di quello che colpi le coste dell’oceano Indiano il 26 dicembre 2004.
Innanzitutto, va detto che i veri maremoti (quelli cioè di grandi proporzioni, in grado di seminare morte e distruzione sulle coste) sono generati esclusivamente dai terremoti sussultori, i quali, pur non producendo in genere gravi danni diretti, provocano consistenti variazioni nella profondità dell’oceano a livello regionale.

Abbassamento di un margine di faglia di oltre quattro metri in seguito ad un terremoto sussultorio in Nevada (da: La Terra, di A. Beiser. Ed Life-Epoca 1962)

Abbassamento di un margine di faglia di oltre quattro metri in seguito ad un terremoto sussultorio in Nevada (da: La Terra, di A. Beiser. Ed Life-Epoca 1962)

E ciò contrariamente a quanto avviene con i terremoti ondulatori, i quali sono direttamente distruttivi ma senza produrre in genere variazioni nel livello del fondo marino.

Evidente dislocamento di porzioni di territorio causato dal terremoto ondulatorio di S. Francisco del 1906 (da La Terra id.c.s)

Evidente dislocamento di porzioni di territorio causato dal terremoto ondulatorio di S. Francisco del 1906 (da La Terra id.c.s)

Secondo gli studiosi, il maremoto sarebbe provocato dallo spostamento verticale di una enorme quantità di acqua prodotto dallo scatto verso l’alto, che la placca continentale compie nel momento in cui si riprende dalla deformazione elastica causatale dall’attrito con la crosta oceanica in fase di subduzione, e come esempio propongono l’immagine del trampolino, che quando si libera dal peso del tuffatore scatta verso l’alto per riacquistare la posizione orizzontale.
A questo proposito, c’è da osservare innanzitutto che, se la crosta terrestre fosse realmente elastica come proposto dall’esempio del trampolino, essa non presenterebbe la miriade di faglie, crepe e fratture evidenti nella sua struttura anche a livelli quasi millimetrici: per rendersene conto, infatti, basta osservare quanto fittamente sono frammentate le rocce delle nostre montagne.
Il 26 dicembre 2004, dunque, il margine indonesiano della placca continentale non si risollevò per la sua presunta elasticità, ma per la spinta al galleggiamento ricevuta dalla sua parte immersa nel magma del Mantello quando si liberò del peso del margine della crosta oceanica in assestamento: scrollatosi di dosso l’immane fardello, il margine indonesiano della placca continentale si sollevò per ritornare ad una posizione di equilibrio “idrostatico”.
In secondo luogo, scivolando ipoteticamete dal trampolino dopo essere stata sollevata di qualche decina di metri sopra il livello del mare (7) , l’acqua non avrebbe assolutamente potuto raggiungere la velocità vertiginosa con cui le onde di maremoto attraversano gli oceani (8); inoltre, per quanto fosse grande il volume delle acque spostate dello scatto del trampolino, esso sarebbe stato in ogni caso enormemente inferiore al volume delle acque coinvolto nel maremoto indonesiano, cosicché, disperdendosi nell’oceano in tutte direzioni, tale volume si sarebbe talmente diluito da raggiungere le coste con onde praticamente innocue (9).
Infine, a contraddire l’ipotesi del trampolino c’è il fenomeno del ritiro del mare dalle linee di costa, fenomeno che costituisce un preavviso importante per le popolazioni delle regioni costiere, ma che non può essere provocato dall’innalzamento delle acque da parte dal presunto scatto del trampolino.
Il 26 dicembre 2004, invece, il ritiro del mare avvenne su tutte le coste dell’oceano Indiano e ciò consentì ad un ragazzino inglese (evidentemente preparato nella materia) di dare l’allarme tsunami sulla spiaggia tailandese in cui era in vacanza con la famiglia, allarme che consentì di salvare in zona innumerevoli vite umane.
E dunque, come si spiega questo fenomeno?
Ebbene, il ritiro del mare dalle linee di costa si spiega in maniera inoppugnabile con l’improvviso abbassamento del fondo marino, abbassamento che, provocando un forte aumento dello spazio disponibile, provoca il violento risucchio in zona delle acque oceaniche circostanti, producendo in tal modo un abbassamento di livello in fasce sempre più vaste dell’oceano, le quali a loro volta attirano masse crescenti d’acqua provenienti dalle aree più lontane e così via fino a giungere ai margini dell’oceano, dove si verifica così il ritiro delle acque dalle linee di spiaggia: esattamente come avvenne in quel 26 dicembre.
L’entità del volume d’acqua messo in moto in tal modo è enormemente superiore al volume reso disponibile dall’abbassamento del fondo oceanico, cosicché l’acqua proveniente dal largo non solo colma la depressione nella superfice oceanica ma, spinta dallo slancio (forza d’inerzia) continua ad affluire in zona producendo un enorme accumulo che subito, sotto l’azione della forza di gravità, si squaglia sparando in tutte le direzioni l’acqua in eccesso, dando così origine all’onda anomala che, sfrecciando ad altissima velocità ed ergendosi per decine di metri sui bassi fondali, si precipita sulle coste seminando distruzione e morte.

UN FENOMENO APPARENTEMENTE PARADOSSALE

«Ma… – viene da chiedersi – che ne è stato dell’innalzamento di 20 metri del margine continentale sui fondali indonesiani?»
Ebbene, lungi dall’essere una concausa del maremoto, quell’innalzamento fu provvidenziale, poiché consentì di diminuire la portata del maremoto.
Agli occhi degli esperti, tale affermazione potrebbe sembrare paradossale, e invece è sostenuta da una ragione più che valida.
Infatti, l’innalzamento del margine continentale indonesiano (dovuto non al rimbalzo del trampolino ma alla sua forza di galleggiamento sul magma del Mantello) ha occupato in parte il volume del “vuoto” prodotto dal repentino abbassamento del fondale oceanico, vuoto che, così ridotto, ha richiamato in zona una quantità di acqua enormemente minore rispetto a quella, che sarebbe stata necessaria a colmarlo se non si fosse verificato il provvidenziale innalzamento del margine continentale!
In tal modo, pur se terribilmente spaventosa, l’entità dei disastri prodotti dal maremoto del 26 dicembre 2004 fu notevolmente inferiore a quanto avrebbe potuto essere, se la spinta di galleggiamento non avesse riportato a livello il margine della placca continentale indonesiana.

NOTE

1) Per comprendere meglio il fenomeno, ricordiamo ciò che avviene in una bottiglia di spumante aperta maldestramente; l’improvviso calo della pressione consente ai gas compressi di espandersi facen-do aumentare enormemente il volume del vino, che così sgorga con violenza dalla bottiglia.

2) La crosta terrestre al disotto degli oceani ha uno spessore che si aggira intorno ai dieci o dodici chilometri.

3) Non dimentichiamo che il basalto torna a fondere a meno di mille gradi.

4) Considerando che la distanza fra la Dorsale Atlantica e le coste continentali si aggira sui 3.000 Km e che in questo oceano non esi-stono Fosse di subduzione che consentano alla crosta di immerger-si nelle profondità del pianeta, appare ovvio che la parte più antica della crosta atlantica risalga ai primi tempi della formazione dell’o-ceano, cosicché i 3.000 Km anzidetti si sarebbero formati nei 65 milioni di anni di vita dell’oceano. Pertanto, considerando che 3.000 Km : 700 Km dà 4,3, dividendo 65 milioni di anni per 4,3 si ottiene il tempo di formazione di 700 Km di crosta, tempo che risulta pari ad oltre 15milioni di anni, il quale dunque corrisponde a quello duran-te il quale, secondo gli studiosi, la crosta immersa rimarrebbe allo stato solido benché sottoposta a temperature di molte migliaia di gradi… La cosa non è assolutamente credibile!

5) L’inarcamento della crosta oceanica è reso possibile dalla sotti-liezza della crosta stessa (pari a circa 10 Km) ed all’indebolimento della sua struttura dovuto alla miriade di “valli” trasversali che ne riducono ulteriormente lo spessore, valli che corrispondono ad ogni fase di fine ed inizio dei processi di accrescimento della crosta (si veda in proposito l’opuscolo “I CICLI VITALI DELLA TERRA”)

6) Questo fenomeno si manifesta con maggiore evidenza quando la placca continentale ha uno sviluppo trasversale ridotto, proprio come avviene per una chiatta galleggiante sull’acqua, la quale, oltre al proprio carico normale, deve sopportare anche il peso di qualche ingombro agganciato fuori bordo ad una sua fiancata

7) Ricordiamo che, secondo gli Scienziati, il margine della placca indonesiana si sarebbe innalzato di venti rispetto al livello precedente.

8) Si consideri, a questo proposito, la relativamente bassa velocità a cui scorre l’acqua dei fiumi appena precipitata dalle cascate, anche le più imponenti, velocità che non si avvicina minimamente a quella delle onde di maremoto.

9) Anche in occasione di terremoti sottomarini recenti, l’onda ano-mala è giunta sulle spiagge senza alcun preavviso e con dimensioni talmente ridotte da non recare alcun danno.

Terremoti: innesco di vulcani?

Riguardo al Vesuvio, qualche studioso ipotizza una consequenzialità tra scosse telluriche ed eruzioni vulcaniche.
L’autore spiega i meccanismi di funzionamento dei fenomeni ed invita i lettori a verificare la fondatezza delle teorie.

[Scarica opuscolo “Terremoti: innesco di vulcani?]  (PDF 900 KByte)

La voce della terra

Frattura in una strada dovuta a terremoto in Giappone

Forte dell’incoraggiamento espresso da alcune frasi pronunciate da due premi Nobel nei riguardi degli appassionati, l’autore dissente energicamente dalle esternazioni gratuite di uno fra i più importanti sismologi italiani riguardo la possibilità di prevedere i terremoti.

[Scarica opuscolo “La voce della Terra”(PDF 430 KByte)