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IL COGNOME NIZZERO: significato

QUANDO  UNA ETIMOLOGIA ERRATA FA SOFFRIRE  – 20 febbraio 2015

Giorni fa, mi è capitato di far felice una persona che si vergognava del proprio cognome, Nizzero, poiché nel corso di una conferenza, la relatrice l’aveva umiliata annunciando pubblicamente il (falso) significato del suo cognome.

Ricordo quella conferenza: tenutasi qualche anno fa a Novale, in essa una insegnante parlava del significato dei cognomi cosidetti cimbri, e ricordo ancora con disgusto che alla fine, elargendo dotte (o presunte tali) risposte ai presenti che chiedevano lumi sui loro cognomi, la stessa relatrice fece una cosa che io non avrei mai fatto, perché preferirei passare per ignorante piuttosto che umiliare pubblicamente delle persone.

Quella relatrice infatti, disse che, derivando dal tedesco nisse (lendine), il cognome Nizzero significherebbe pidocchioso (detto così senza riguardo); e qui, oltre che sparare una porcata indicibile, quell’insegnante prese una madornale cantonata poiché, in realtà, il cognome Nizzero significa ben altro e non è assolutamente umiliante né offensivo.

Ma andiamo con ordine chiarendo innanzitutto, che non è corretto definire cimbri determinati cognomi di origine germanica presenti sui monti della Lessinia: infatti, la definizione di Cimbri fu inventata da un letterato veronese del Rinascimento, il quale cercava di spiegare il tedesco parlato nelle nostre contrade immaginando che i Montanari della Lessinia (in realtà originari dalla Baviera in seguito ad una grave carestia che aveva colpito quella regione) discendessero dai Superstiti dei famosi Cimbri (originari dalla Germania settentrionale) sfuggiti al massacro operato a loro danno, insieme coi Teutoni (altra popolazione nord-germanica), dal console romano Gaio Mario.

L’equivoco, che trasse in errore il letterato veronese, fu dovuto al troppo disinvolto ricorso agli accostamenti fonetici di parole apparentemente simili ma appartenenti a lingue diverse (pratica che induce spesso in grossolani errori anche i professionisti del linguaggio) e molto probabilmente fu dovuto al mestiere esercitato dai nostri Montanari nei centri di pianura: essi, infatti, erano degli esperti carpentieri, cioè degli Zimmermann, operanti nell’edilizia in legno ancora largamente praticata nei secoli passati; e da Zimmer a Cimbro il passo è stato breve ed è subito piaciuto, e piace tutt’ora alla gente delle nostre valli, che così immagina con orgoglio che la sua Storia sia antica di ben duemila anni.

Evidentemente, quella maldestra conferenziera ha frainteso la casuale somiglianza di qualche parola tedesca col cognome in oggetto, riguardo al quale, per non cadere in facili errori, bisogna invece ricordare che, nell’evoluzione delle lingue, difficilmente la s diventa z, mentre tale trasformazione avviene più facilmente dalla t, come nel caso di Venetia Venezia; inoltre, è bene ricordare che in tedesco si legge i anche il dittongo ie, e questo fatto allarga alquanto l’area della ricerca a cui ci accingiamo.

Dunque, come abbiamo detto all’inizio, escludiamo subito per il cognome in oggetto la deri

vazione dal tedesco nisse, perché il termine pidocchioso in tedesco si dice Nissig, la cui desinenza esprime una situazione, non un’attività, e ciò al contrario di quanto avviene per Nizzero, la cui desinenza tedesca er esprime invece il concetto di attività, proprio come avviene, ad esempio, con Bauer (agricoltore), Gruber (minatore), Maurer (muratore), Mechaniker (meccanico), Schlosser (fabbro ferraio), Tischler (falegname) e così via.

Inoltre, dal momento che Nizzero esprime un concetto di attività e dato che l’attività prevalente dei Lavoratori della Lessinia in pianura era la carpenteria (indispensabile nell’edilizia in legno) è nell’ambito di tale attività che indirizziamo la nostra ricerca… e siamo fortunati, perché troviamo subito la parola Nieter (pronuncia niter), che il Dizionario Tecnico Tedesco Italiano (di E. Pavesi, ed. Sonzogno) traduce con chiodatore, e troviamo il verbo nieten (pron. niten, che significa chiodare, rivettare) e il sostantivo Niet (pron. nit, che indica il chiodo da ribattere).

Dunque, poiché l’attività del Chiodatore (Nieter) era quella di chiodare, è evidente che egli aveva a che fare con le costruzioni in legno, tuttavia, i chiodi che egli usava fanno pensare che la sua fosse un’attività particolare, poiché il Niet non era un chiodo comune ma, come sappiamo, era un chiodo da ribattere.

Ora, capisco che i linguisti non conoscano a fondo l’attività dei carpentieri né, tantomeno, che conoscano l’uso dei lunghi e grossi chiodi a sezione quadrata, anticamente forgiati a mano, che si assottigliano progressivamente fino a diventare finemente appuntiti, i quali in lingua veneta sono detti ciòdi da rapàro o ciòdi da péxo, ma sono appunto tali chiodi che svelano il significato del cognome Nizzero.

Gli esemplari più grandi di questo tipo di chiodi venivano usati per fissare tra loro i grossi elementi delle orditure in legno che costituivano l’ossatura delle case, dei solai e dei tetti, ma avevano un difetto: con la stagionatura del legno e con gli assestamenti delle strutture, il progressivo assottigliamento della loro sezione poteva col tempo provocare un certo sfilamento dalla loro sede, così da rendere lasche le giunture: ebbene, per ovviare a tale grave inconveniente, i nostri Costruttori usavano chiodi più lunghi dello spessore dei legni da unire e ribattevano poi le loro punte sporgenti per evitarne lo sfilamento; ripetendo poi eventualmente l’operazione per rinsaldare il fissaggio delle travature qualora diventasse lasco nel tempo, in seguito ad una ulteriore stagionatura del legno.

Date le dimensioni degli elementi lignei da unire e date perciò le cospicue dimensioni dei chiodi, per la loro ribattitura era necessaria l’opera di due persone: di queste, una premeva una mazza sulla testa del chiodo per tegnére bòta (come si dice ancora oggi in lingua veneta) mentre l’altra, armata di mazzetta, piegava e poi ribatteva energicamente la punta dello stesso chiodo sporgente sull’altro lato dell’incastro.

Pur se condotta nell’ambito della carpenteria, tale particolare attività si distingueva nettamente da quella del carpentiere vero e proprio: il compito di quest’ultimo era infatti quello di lavorare il legno preparando i vari elementi dell’or-ditura, cosicché la delicata attività dei Ribattitori di chiodi doveva avere una denominazione propria, denominazione espressa appunto dal sostantivo Nieter, da cui il cognome Nizzero.

Dunque, questo cognome non esprime l’umiliante concetto di pidocchioso (come affermato dalla maldestra relatrice) ma indica l’antico mestiere del Chiodatore, colui che nell’antichità aveva il delicato compito di assicurare la perfetta e duratura tenuta delle giunture degli elementi lignei che costituivano l’orditura portante delle case!

Stiano sereni, dunque, i portatori del cognome Nizzero, poiché esso racconta una storia di impegno e di responsabilità non seconda, per dignità, a nessun’altra attività ricordata dai cosidetti cognomi cimbri presenti nelle nostre contrade.

Sacerdoti guerrieri dell’età del ferro?

(Articolo pubblicato su IL GIORNALE DI VICENZA  del 28 giugno 1991)

Sacerdoti
Contrariamente a quanto si potrebbe credere, le scoperte in campo archeologico avvengono in genere ad opera di semplici Cittadini più che dagli Addetti ai lavori. Ciò appare naturale se si pensa all’esiguità del personale delle Soprintendenze ed al fatto che i musei, al pari dei penitenziari, dispongono praticamente solo di personale amministrativo e di custodia!…

Ecco dunque, motivata l’insostituibile funzione dei semplici Cittadini di buona volontà, a cui merito vanno ascritte scoperte innumerevoli e a volte di eccezionale importanza.  Alcune di queste si sono verificate anche nel territorio vicentino, come ad esempio, nel 1959, la scoperta e il provvidenziale recupero delle ormai famosissime “laminette paleovenete” finite in una discarica col materiale di scavo proveniente da un cantiere edile situato in pieno centro a Vicenza: si tratta di un centinaio di laminette in bronzo (ma alcune sembra che siano in argento) tutte decorate a sbalzo con figure di vario soggetto.

Processione
Una delle più curiose di tali laminette è certamente quella che reca sbalzate le figurine di tre personaggi in movimento verso destra, i quali, nel catalogo pubblicato all’uopo nel 1963, sono visti come “alti dignitari o sacerdoti nello svolgimento di un rituale” .

A parte il loro abbigliamento, che è abbastanza comune presso i popoli italici di epoca preromana, quello che salta agli occhi è il tipo di acconciatura dei capelli nei tre personaggi: il loro capo, infatti, appare rasato solo in parte (mentre presso gli antichi Veneti la rasatura era generalmente completa) risparmiando una fascia longitudinale, i cui capelli formano una vistosa cresta (forse raccolta a treccia) che scende fin sulle spalle.

Bassorilievo Anatolico
Questa strana acconciatura sembra non avere finora riscontri in Italia[1] ed è quindi di difficile interpretazione; tuttavia, poiché in altre laminette appaiono delle creste, le quali tuttavia sono formate da pennacchi posti sul capo di danzatori riferibili al culto dei morti, potrebbe forse essere possibile ipotizzare un rapporto con tale culto anche per i nostri tre personaggi. Il capofila di questi, però, porta un copricapo che sembrerebbe escludere tale ipotesi, poiché appare anche sul capo di una fila di guerrieri sbalzati sulla celebre Situla della Certosa, un grande vaso in lamina bronzea rinvenuto nei pressi di Bologna; tali guerrieri, però, non hanno la cresta ma sono totalmente rasati! E allora sorge la domanda: i personaggi della nostra laminetta sono sacerdoti o guerrieri?

L’una ipotesi non esclude l’altra: abbiamo testimonianze sicure che attestano come spesso, nell’antichità, i sacerdoti potessero essere anche guerrieri, come l’eroe germanico Erminio, ad empio, il quale, nei primi anni del primo secolo dopo Cristo,  portando le insegne sacerdotali di un culto tribale  guidò  l’imboscata che,nella selva di Teutoburgo, portò alla totale disfatta delle legioni romane condotte da Varo.

Sfilata guerrieri
Del resto, l’idea del sacerdote guerriero doveva essere ben radicata in Europa anche in piena età cristiana, tanto che, nel medioevo, poterono sorgere ordini di monaci guerrieri come i Templari, i Cavalieri di Malta ed i Cavalieri Teutonici.


Note

[1] Un’acconciatura simile, però, appare in un bassorilievo anatolico di epoca ittita.

Ci sono analisi e analisi

 

 

 

 

 

Cosa non si fa per timore… o per danaro!
Entrambe le cose inducono a comportamenti, che in condizioni normali verrebbero giudicati assurdi… o,  peggio, riprovevoli.


Questo opuscolo costituisce la sintesi di due articoli che proposi ad un quotidiano vicentino: il primo fu consegnato nei giorni successivi all’annuncio della prossima realizzazione degli esami al carbonio 14 del tessuto della Sindone per determinarne scientificamente l’età, ed il secondo subito dopo la pubblicazione delle datazioni risultanti dai suddetti esami .

Pur se giudicati assai interessanti, i due articoli non furono mai pubblicati perché, secondo il Redattore della pagina della cultura di quel quotidiano, non avevo  “titoli” sufficenti per osare di contraddire pubblicamente i Grossi Calibri della Scienza[1].

Per rimediare a tale rifiuto, qualche anno più tardi, in seguito al ritorno d’interesse per le vicende della Sindone suscitato dall’incendio che aveva colpito il duomo di Torino (al cui interno è custodito il Sudario recante l’immagine straziata di Cristo) nel ’97 pubblicai una sintesi dei due articoli sul Bollettino FAAV (l’organo interno della Federazione delle Associazioni Archeologiche Venete) sintesi, che venne poi presentata nella collana “Appunti di Archeologia” della stessa FAAV.

QUANDO LA CONOSCENZA SI FA SCIENZA

Fg. 2. Donald Johanson (a sin.) sta ricomponendo le ossa di Lucy sotto l’occhio del fotografo.

Fg. 2. Donald Johanson (a sin.) sta ricomponendo le ossa di Lucy sotto l’occhio del fotografo.

Leggendo “Lucy”, il libro nel quale Donald Johanson parlava della scoperta, nella regione di Hadar, in Etiopia, dello scheletro di ominide che lo rese celebre in tutto il mondo come paleontologo, rimasi colpito dalla meticolosità e dalla pervicacia, di cui diedero prova gli studiosi addetti alla datazione delle rocce inglobanti il giacimento fossilifero nel quale furono trovate, appunto, le ossa della femmina di ominide che sarebbe diventata famosa col nome di Lucy.

Nella foto, Donald Johanson (a sin.) sta ricompo-nendo le ossa di Lucy sotto l’occhio del fotografo

 La cocciuta insoddisfazione degli scienziati per i risultati, che via via conseguivano con i diversi procedimenti di analisi a cui sottoponevano i campioni di roccia, aveva precise e fondate motivazioni: si trattava di stabilire senza ombra di dubbio l’età di quello, che poteva essere il più antico e completo scheletro umano fino ad allora rinvenuto, le cui caratteristiche somatiche, tuttavia, apparivano straordinariamente più moderne di quelle di altri ominidi, pure ritrovati in Africa orientale, ma notevolmente meno antichi.

«Occorrevano date assolutamente indiscutibili dal punto di vista scientifico – diceva l’Autore – prima che potessi … elaborare una solida ipotesi … su ciò che erano gli ominidi di Hadar. In questa ipotesi, la loro età era di importanza primaria

Il compito di scegliere i campioni di roccia da analizzare fu affidato allo stesso geologo, che aveva eseguito il rilevamento geologico della zona e che sapeva quindi dove mettere le mani.

Operando con cura nei vari strati rocciosi, furono raccolti dei campioni di tufo vulcanico e di basalto, i quali furono poi inviati a certo James Aronson, esperto in datazioni delle rocce e ideatore di un apparecchio in grado di operare sulle rocce ignee col metodo del potassioargon, metodo basato cioè sulla determinazione del decadimento del potassio 40 (un isotopo instabile del normale potassio contenuto nelle rocce vulcaniche) in argon, un gas raro e pesante emesso normalmente dai terreni vulcanici.

Aronson scartò subito le ceneri vulcaniche, perché c’era la possibilità (non la certezza) che contenessero particelle di roccia di età diversa strappate dalle pareti del camino vulcanico durante l’eruzione, particelle che avrebbero potuto falsare i risultati delle analisi!

Fg. 3. Il basalto è una roccia effusiva pesantissima ed estremamente compatta, il cui colore nero è dovuto all’alto contenuto di ferro. Quando questo materiale viene eruttato in grandi masse, il rapido raffreddamento (spece se a contatto con l’acqua) produce sovente una profonda fessurazione a reticolo esagonale, che dà origine al cosidetto “basalto colonnare”, come nel caso della spettacolare “scala dei giganti” in Irlanda.

Fg. 3. Il basalto è una roccia effusiva pesantissima ed estremamente compatta, il cui colore nero è dovuto all’alto contenuto di ferro. Quando questo materiale viene eruttato in grandi masse, il rapido raffreddamento (spece se a contatto con l’acqua) produce sovente una profonda fessurazione a reticolo esagonale, che dà origine al cosidetto “basalto colonnare”, come nel caso della spettacolare “scala dei giganti” in Irlanda.

Lo studioso non fu contento neppure dei campioni di basalto, benché questi fossero stati raccolti da mani esperte, e tuttavia li analizzò ugualmente: il risultato ottenuto però non lo convinse per niente, cosicché egli pretese di andare di persona a raccogliere i campioni da analizzare  «perché – diceva – lo stato dei campioni non è meno importante dei campioni stessi!»

Portato a casa il nuovo materiale e sottopostolo ad analisi, Aronson non fu ancora soddisfatto poiché, osservati al microscopio, anche i campioni migliori davano l’impressione di una possibile alterazione!

Determinato a non arrendersi, lo studioso decise di verificare i risultati ottenuti col potassio-argon mediante l’esame del paleomagnetismo, esame che sfrutta le periodiche inversioni di polarità del magnetismo terrestre[2] consentendo di realizzare, per le rocce risalenti alle ultime decine di milioni di anni, delle tabelle dei  periodi magnetici databili con buona approssimazione.

Ebbene, per i campioni di basalto di Hadar, l’esame del paleomagnetismo dava due possibili collocazioni: o nel periodo compreso fra 3,6 e 3,4 milioni di anni fa o in quello compreso fra i 3,1 e i 3 milioni di anni fa.

Poiché la datazione al potassio-argon dava un’età di circa 3 milioni di anni, il basalto di Hadar avrebbe dovuto essere collocato nel periodo più recente, ma Haronson non ne era ancora convinto, poiché temeva che i suoi campioni di basalto potessero essere alterati: pertanto, decise di procedere ad altre verifiche, avvalendosi però dell’esperienza di un altro specialista, Bob Walter, esperto in datazioni mediante lo studio delle tracce lasciate dalla fissione dell’uranio nei cristalli di zircone.

Condotto dunque ad Hadar, Walter individuò tre nuovi strati di tufo vulcanico situati in posizione strategica, ma dovette scartarne due perché sospetti, per cui raccolse i campioni di zircone nello strato intermedio e, sottopostili ad esame, ottenne una datazione che faceva aumentare la fiducia nei 3 milioni di anni del basalto di Aronson, ma non ne dava la certezza!

Nel frattempo, un certo Basil Cooke aveva messo a punto uno studio sulla sequenza evolutiva dei maiali fossili dell’Etiopia, le cui datazioni, ottenute mediante l’analisi dei numerosi strati vulcanici che la caratterizzavano, erano già accettate internazionalmente in quanto considerate affidabili per la loro numerosa e corretta sequenza temporale.

Interpellato sulla determinazione dell’età delle rocce di Hadar e confrontati i resti di maiale rinvenuti nelle rocce fossilifere inglobanti lo scheletro di Lucy con la sua sequenza di suidi etiopici, Basil Cooke poté affermare in modo inequivocabile, che lo scheletro dell’ominide di Hadar doveva essere più antico di almeno 3 – 400 mila anni rispetto alle datazioni che gli erano state attribuite in precedenza!

Accettando con sollievo le datazioni espresse dalla sequenza dei suidi catalogati da Basil Cooke, in quanto giustificavano le onerose controanalisi effettuate a causa dei dubbi sulla integrità dei suoi campioni di roccia, e assegnando perciò il proprio basalto al periodo magnetico più antico, quello che va dai 3,6 ai 3,4 milioni di anni fa, Aronson poteva affermare a ragion veduta che «se i materiali da analizzare non garantiscono la perfetta conservazione, pur se effettuate con gli strumenti più sofisticati le diverse analisi possono risultare altamente inaffidabili»!!!

Benché costituiti da roccia estremamente compatta, pesante e dura qual’è il basalto, infatti, e pur se raccolti da mani esperte, i campioni di roccia analizzati da Aronson avevano fornito i seguenti risultati: quelli migliori (che al microscopio risultavano solo sospetti) fornirono datazioni errate di 400 e 800 mila anni, pari al 12 e al 25 % della datazione reale, mentre i campioni, che al microscopio apparivano alterati, davano errori  di 900 mila e addirittura di un milione e 500 mila anni, pari al 30 e al 43 % dell’età reale!!!

QUANDO LA SCIENZA SI FA… USARE

Fg. 4. Piccolo campionario dei pollini trasportati normalmente dall’aria: quegli stessi pollini, che talvolta ci provocano allergie, si depositano ovunque e si annidano aggressivamente in profondità cercando l’accoppiamento.

Fg. 4. Piccolo campionario dei pollini trasportati normalmente dall’aria: quegli stessi pollini, che talvolta ci provocano allergie, si depositano ovunque e si annidano aggressivamente in profondità cercando l’accoppiamento.

Alla luce di tali sorprendenti considerazioni, quando si diffuse la notizia, che alcuni campioni di tessuto in lino della Sindone sarebbero stati sottoposti all’esame del radiocarbonio al fine di determinarne scientificamente l’età reale, rimasi di stucco, perché recentissime indagini avevano evidenziato l’enorme quantità di inquinanti annidati profondamente e irrimediabilmente nella trama e nelle fibre del venerando sudario: tra questi, innumerevoli erano infatti i pollini, in gran parte tipici del Vicino Oriente, e straordinaria era la quantità microorganismi, di polveri e della fuliggine prodotta nei secoli dalle candele e dai lumi votivi.

«Se – mi chiedevo – il basalto, che è una delle rocce più compatte, pesanti e dure presenti sulla superfice terrestre, pur se raccolto da mani esperte può falsare le datazioni strumentali anche del 43 per cento, di quanto potranno essere falsate le datazioni al radiocarbonio di un tessuto esposto per secoli al fumo delle candele e alle polveri onnipresenti nell’aria?»

Era certo che l’analisi al radiocarbonio avrebbe fornito una datazione assurdamente posteriore all’epoca di Cristo, ed era altrettanto chiaro che, pur se assolutamente inattendibile, a tale eclatante datazione gli organi d’informazione avrebbero dato la massima rilevanza, sfruttando la straordinaria notizia per incre-mentare le vendite.

Fg. 5. Fibrille di lino: A = vista longitudinale (ingr. x 400); B = sezioni trasversali (ingr. x 200); C = estremità acuminata (ingr. x 400) (tavola da Merceologia, di G. V. Villavecchia)

Fg. 5. Fibrille di lino: A = vista longitudinale (ingr. x 400); B = sezioni trasversali (ingr. x 200); C = estremità acuminata (ingr. x 400)
(tavola da Merceologia, di G. V. Villavecchia)

Ma altrettanto certo era anche il fatto, che lo scalpore destato dallo scandalo prodotto dalla nuova, strabiliante datazione della Sindone, sarebbe stato strumentalizzato da quanti, agnostici superbamente convinti, godono nel seminare il dubbio fra i poveri, sprovveduti Credenti.

«Ma perché tanto pessimismo? – si chiederà qualcuno – In fin dei conti, gli scienziati sapranno bene ciò che fanno!»

Ebbene (e qui esprimo la mia più convinta opinione) qui non si tratta di Scienza ma di subdola malizia e di accorto affarismo messi in atto grazie ad una imperdonabile… diciamo… ingenuità!

Il perché di tali pesanti convinzioni è presto detto: il lino, di cui è fatto il tessuto della Sindone, è caratterizzato da fibre a sezione poligonale, i cui fasci al microscopio mostrano numerose striature longitudinali e la cui caratteristica peculiare, che rende il lino particolarmente adatto per l’abbigliamento estivo e per gli asciugamani, è la loro grande capacità di restringersi quando sono asciutte (tanto da assumere una sezione a forma di stella) e di inturgidirsi in presenza di umidità fino a ritornare alla sezione normale.

 

Fg. 6. La martoriata immagine anteriore di Cristo così come appare da una fotografia al negativo della sacra Sindone: le figure geometriche ai lati della stessa immagine sono le tracce di un incendio.

Fg. 6. La martoriata immagine anteriore di Cristo così come appare da una fotografia al negativo della sacra Sindone: le figure geometriche ai lati della stessa immagine sono le tracce di un incendio.

Ed è appunto tale capacità di funzionare come un mantice che ha prodotto l’irreversibile inquinamento del tessuto della Sindone. Se consideriamo infatti, che il prezioso sudario è stata esposto per secoli alla venerazione dei fedeli e, di conseguenza, ad una quantità incalcolabile di elementi inquinanti associati all’umidità dell’aria (tipica della Pianura Padana), elementi quali:

– la carica di polvere e di pollini depositatisi sul tessuto nel corso di  innumerevoli anni (polveri e pollini che sono stati rilevati in quantità incredibile e per la maggior parte tipici del Vicino Oriente).

– la quantità di microorganismi di tutti i tipi e di tutte le dimensioni presenti sempre ed ovunque nell’aria, anche in quella che respiriamo, i quali hanno impregnato il tessuto della Sindone.

– l’accumulo di carbonio dovuto alla flora batterica proliferante per centinaia d’anni nelle striature delle fibre del lino.

– il fumo di milioni di candele votive e di lumini ad olio accesi davanti al telo dalla devozione popolare per un incalcolabile numero di anni[3] (si veda a questo proposito l’annerimento da fumo dei vecchi quadri esposti nelle chiese, fumo che, è bene ricordarlo, è costituito praticamente solo di carbonio puro e quindi anche di carbonio 14).

– il fumo degli incensamenti eseguiti nelle innumerevoli cerimonie celebrate nel corso dei secoli, fumo a cui si sovrappose quello prodotto dall’incendio che coinvolse la Sindone nel XVI secolo.

Se consideriamo, ripeto, che questi fattori inquinanti sono presenti nel tessuto della Sindone in quantità assolutamente massicce e risalenti ad epoche diversissime, e se osserviamo che si trovano intimamente compenetrati nelle fibre del lino, alterando in tal modo profondamente e in maniera irreversibile il complesso di elementi chimici tra i quali deve destreggiarsi l’analista per la datazione al C 14, e se ricordiamo infine, che lo stato dei campioni non è meno importante dei campioni stessi, appare evidente che i frammenti di tessuto prelevati dal venerando sudario non erano assolutamente idonei a sostenere l’esame a cui sono stati sottoposti per ottenere una datazione scientificamente inoppugnabile della Sindone.

 

RIFLESSIONI E … DOMANDE

 Era chiaro, dunque, che l’esame al carbonio 14 avrebbe fornito una datazione assai più recente rispetto a quella riportata dalla Tradizione, così com’era certo, che tale datazione sarebbe stata assolutamente inattendibile

E allora, perché consentire l’attuazione di tali assurdi e antiscientifici esami?

Il perché è presto detto e appare basato su motivazioni alquanto banali, che nulla hanno a che fare con la Scienza: ancora condizionate dal complesso di colpa per il processo a Galileo, nel 1987 le Gerarchie ecclesiastiche non seppero resistere alle sirene che le invitavano o, meglio, le sfidavano a consentire l’esame al radiocarbonio della Sindone, per dimostrare al mondo che la Chiesa Cattolica non era oscurantista e non temeva il confronto con la Scienza.

A questo punto, però, sorgono spontanee altre legittime domande:

– Perché gli Scienziati hanno accettato il compito di datare la Sindone col metodo basato sul carbonio 14, pur sapendo che il tessuto del venerando sudario era inquinato in modo tanto grave e irreversibile?

– Se gli Scienziati, che hanno così maldestramente datato la Sindone, fossero stati animati dalla stessa pignola determinazione di giungere alla verità vera dimostrata dagli esperti che datarono le ossa di Lucy, avrebbero ritenuto ugualmente idonei all’esame del C 14 i campioni prelevati dalla Sindone?

– E se non ci fosse stata la contropartita di una gratuita e straordinaria pubblicità a livello mondiale, gli Istituti, che hanno eseguito la datazione della Sindone con l’esame al C 14, avrebbero ugualmente assunto l’incarico di effettuare detta operazione su campioni tanto inquinati?

Conseguenza di tanto arrabattarsi degli Scienziati per salire all’onore della cronaca, sono lo sconcerto e la cocente delusione di un’infinità di persone, le quali, comprendendo ben poco di esami al C 14, di pollini, di flora batterica, di impregnamento da fumo e di impossibili “tare” da applicare alla datazione per la presenza di quella enorme ma indefinibile quantità di inquinanti, il 13 ottobre del 1988 sono state colpite e amareggiate dell’assurda età assegnata alla Sindone da ben tre Istituti scientifici internazionali, datazione che gli Organi d’informazione di tutto il mondo hanno poi trasformato in un evento scandalistico da strombazzare ai quattro venti per aumentare le vendite (la forza del danaro!) trascurando però di dare risalto alle “riserve” che la Scienza, quella seria,  imporrebbe doverosamente di evidenziare!

 

 

NB: Qualche anno dopo la pubblicazione dei risultati della datazione al radiocarbonio, uno Scienziato russo pubblicava una ferma critica all’operato della Scienza Occidentale, per l’inammissibilità dell’esame al C 14 a cui aveva sottoposto un tessuto profondamente inquinato dai fumi dell’incendio, che nel xxxxxxx aveva coinvolto la Sindone quando ancora era custodita nella cappella di Chambery in alta Savoia.

E che tale giustificatissima critica sia giunta da parte di uno Scienziato cittadino dell’Unione Sovietica, patria del’Ateismo di Stato, la dice lunga sull’affidabilità di quella datazione!

Negli anni seguenti, gli studi sulla Sindone sono proseguiti, e tuttora continuano, da parte di numerosi Istituti Scientifici internazionali, i quali operano nuovi, inediti esami, che non subiscono alcuna influenza da parte degli inquinanti annidati nella trama del tessuto, i cui esiti portano sempre più ad avvalorare la credibilità della Tradizione.

Uno di tali studi, in particolare, condotto recentemente nei laboratori dell’Università di Padova, si basa sulla analisi del progressivo decadimento nel tempo dell’elasticità delle fibre di lino, cioè progressivo decadimento della loro resistenza alla trazione, resistenza che diminuisce con l’aumentare dell’età delle fibre stesse.

Ebbene, pur con una approssimazione di varie decine di anni in più o in meno, tale studio riporterebbe l’età del tessuto sindonico a duemila anni fa!


Note

[1]  Come ormai di regola, le persone badano più al Nome di Chi parla piuttosto che a Quello che dice. E così il Progresso attende…

[2] Con cadenze irregolari (la cui durata media è di 700.000 anni) i poli magnetici della Terra cambiano segno (uno da positivo diventa negativo e l’altro da negativo diventa positivo) come se, ad esempio, da oggi la lancetta del Nord della bussola prendesse ad indicare il Polo Sud. Ebbene, tali inversioni di polarità lasciano traccia di sé nell’orientamento dei cristalli delle rocce in formazione

[3] Un esempio della quantità di fumi e di polveri che possono depositarsi nel tempo su una superfice è dato dall’annerimento dei dipinti esposti nelle chiese, annerimento che opacizza in modo crescente i colori, la cui entità è rilevabile solo al momento del restauro delle tele stesse confrontando i colori nuovamente vividi delle superfici ripulite con quelli smorti e opachi delle superfici ancora sporche. E ciò, considerando che le pitture spianano le superfici delle tele rendendo meno facile il deposito dello sporco, dà l’idea di quello che può accumularsi ed annidarsi su una tela non dipinta!