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Studi e ricerca sul pianeta Terra: Geologia, Atmosfera, Clima, ecc.

I CICLI VITALI DELLA TERRA

Sui fenomeni riguardanti l’evoluzione della Crosta Terrestre, le teorie espresse dalla Scienza non mancano ma sono spesso contrastanti, cosicché, risultando praticamente impossibile orientarsi in una materia tanto vasta e controversa, al povero Appassionato assetato di Conoscenza non resta che riesaminare tutto daccapo per farsi almeno un’idea propria.

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Libro I° (6,5 MByte)

Libro II°  (3,6 MByte)

FINALMENTE IL CLIMA È CAMBIATO

La scorsa estate, al termine di una mia conferenza sulle Cause Reali delle Mutazioni Climatiche, uno dei presenti, appassionato ambientalista e acceso sostenitore della teoria sull’Effetto Serra, si presentava con nome, cognome e professione (medico nel locale Ospedale) e respingeva in toto le mie argomentazioni.
Alle mie ripetute richieste di esporre le sue obiezioni, al fine di discuterne dato che il nostro programma è Discutiamo la Scienza, quella persona rifiutava di dire la sua perché la validità della Teoria sull’Effetto Serra è sostenuta dalla stragrande maggioranza degli Scienziati di tutto il mondo ed è confermata dalla mitezza dello scorso inverno e dalla calura dei mesi estivi dell’anno in corso (2.017)[1], cosicché metterne in dubbio i fondamenti scientifici (che rifiutava di enumerare) significava addirittura essere dalla parte dei grandi produttori di CO2 responsabili del riscaldamento globale in atto.
Di fronte a tale deciso atteggiamento di chiusura mentale non c’era niente da fare: non mi restava perciò che rispondere ad alcune domande avanzate da altre persone (che tuttavia non riuscirono a riscaldare il clima del dibattito) e chiudere quell’incontro che, differenza di altre serate assai più vivaci, si concludeva in tono minore.
All’esterno della sala delle conferenze, però, l’interesse dei convenuti per l’argomento si riaccese, così qualcuno mi fece notare che, non essendo uno scienziato del clima, quel medico disturbatore era un semplice appassionato, le cui convinzioni senza prove non avevano alcun peso dato che, come insegna la Storia della Scienza, non sono i Titoli che garantiscono la credibilità delle persone, ma sono le argomentazioni basate sui fatti che garantiscono il progresso della Conoscenza.
Quei discorsi mi rincuorarono, così decisi che, se mi fossi imbattuto in un altro disturbatore di quel genere, avrei saputo come difendere la serena atmosfera delle serate…
Alcuni mesi più tardi, si era già nel mese di novembre del 2017, appresi da una rubrica televisiva che le Balene erano praticamente scomparse dal mar Tirreno, area che negli ultimi decenni avevano frequentato sempre più numerose per il nutrimento estivo, e il fatto sembrò non preoccupare i Biologi marini, tanto che su INTERNET essi continuavano a pubblicare i trionfalistici resoconti degli avvistamenti[2].
Ebbene, l’esodo delle balene dal Tirreno era seguito dall’arrivo in zona di spece ittiche tipiche dei climi temperati-caldi, come il grande Squalo Bianco, la Verdesca e, di recente, il Mako (raro squalo di acque calde) e ciò, in base alle mie tesi sulle Cause Reali Delle Mutazioni Climatiche, mi fece pensare che nel Bacino Mediterraneo dovevamo essere alla vigilia di un deciso cambiamento del Clima, e non verso un caldo torrido, come qualcuno si azzardò a proporre per l’arrivo degli squali testè elencati.
Le mie impressioni sembrarono confermate quando una giovane balena si arenò sfinita sulla costa toscana e, mentre nessuno si muoveva per analizzare le cause del suo decesso, il povero animale finì con l’andare in disfacimento tra il rimpallo di competenze dei diversi Enti.
Riferite le mie convinzioni a varie persone interessate all’andamento del Clima, dovetti spiegare loro il perché di quelle mie (azzardate per alcuni) previsioni, e ciò mi suggerì l’idea di riportare il tutto sul nostro Sito Internet, per consentire ai nostri Amici di verificarne la fondatezza.
Innanzitutto dunque, ricordiamo che la piovosità sulle nostre Regioni è andata diminuendo progressivamente negli ultimi decenni proprio in corrispondenza dell’aumento dei Cetacei nel Tirreno: poi ricordiamo che le Balene si nutrono del Krill, l’immensa riserva di larve e di micro-crostacei che si nutrono del Plankton, la componente animale del quale, lo Zooplankton, si nutre della componente vegetale, il Fitoplankton, il quale è costituito da microalghe alimentate dalle sostanze minerali immesse nelle acque marine dall’attività idrotermale, e spesso anche effusiva, operata dal centinaio di vulcani attivi sul fondo del Tirreno.
Ma…- si dirà – come c’entra tutto questo col clima del Mediterraneo?
C’entra eccome!… State a sentire.
Come abbiamo ampiamente dimostrato nello studio sul Clima pubblicato anni fa su questo stesso Sito, l’attività idrotermale prodotta dai vulcani sottomarini immette nelle profondità marine incalcolabili masse di acqua caldissima (ad oltre 400 gradi!) la quale, essendo fortemente espansa a causa della sua temperatura (ed essendo perciò leggerissima) schizza verso l’alto disperdendo per via la propria carica termica, che a sua volta riscalda altre crescenti masse di acqua coinvolgendole nella risalita.
Conoscendo la grande conducibilità termica dell’acqua, è facile immaginare la quantità crescente di essa che viene trascinata verso l’alto, ma altrettanto facile è immaginare quanto rapidamente essa veda scemare la propria temperatura per la diffusione della sua energia termica nell’ambiente acqueo circostante: e difatti, avviene che l’acqua in risalita giunga in prossimità della superfice conservando solo un residuo della temperatura iniziale, la quale risulta inferiore a quella delle acque superficiali… così, pressata dalla continua risalita di altra acqua, essa deve forzatamente diffondersi sotto la medesima superfice, con le cui acque si mescola poi per attrito abbassandone perciò la temperatura[3].
Il corso di questi fenomeni, dunque, produce sulla superfice del Tirreno una vasta area di acqua più fresca rispetto al resto del mare circostante, area fresca che, bloccata ad Ovest dalla Sardegna e dalla Corsica, sotto la spinta di una Corrente marina proveniente dall’Atlantico si estende verso Nord, portando nel Mar Ligure le proprie acque ricche di Plankton e di Krill ed instaurandovi le condizioni che, a detta degli Ambientalisti marini, di questo mare hanno fatto la Casa di Villeggiatura dei Cetacei più grandi del Mediterraneo.
Ora, certo qualcuno ricorderà le ripetute delusioni causate negli ultimi tempi dalle perturbazioni atlantiche, le quali secondo i Meteorologi dovevano portare sulle nostre assetate Regioni la tanto agognata pioggia o la neve, e che invece, giunte sul Mediterraneo occidentale, deviavano quasi sgommando verso Nord portando la pioggia e la neve a Nord delle Alpi: ebbene, quelle repentine deviazioni, che contraddicevano le previsioni meteo basate esclusivamente sugli studi atmosferici, erano causate dal robusto bastione generato dall’aria che, raffreddata dalla fresca temperatura del mare, si appesantiva al suolo per fare spazio ad altra aria in discesa dall’alto, la quale generava in tal modo una Corrente Discendente con moto rotatorio in senso orario, moto tipico dei nuclei di Alta Pressione!
Dunque, era la forte attività idrotermale sul fondo del Tirreno che generava le condizioni di Alta Pressione che provocavano il clima arido che ha caratterizzato l’anno 2017, e nel contempo, quella medesima attività produceva la fertilità delle acque dello stesso mare, a cui si doveva la cospicua presenza di Cetacei nella loro cosidetta casa di villeggiatura.
Quando poi, per qualche motivo, quell’attività idrotermale è cessata (o si è notevolmente affievolita) si è altrettanto notevolmente ridotta la fertilità delle acque, fenomeno a cui si deve la forte riduzione del Krill che ha fatto allontanare le Balene: solo una di quelle è rimasta, attardandosi forse perché troppo giovane per capire quand’era ora di sloggiare e, sfinita per la penuria di viveri, è venuta a spiaggiarsi sulla costa della Toscana sperando forse nel soccorso dell’Uomo come era avvenuto già varie volte in altri mari, soccorso che però non è venuto perché gli esperti non hanno saputo comprendere le cause reali della sua resa letale.
E quando quell’attività idrotermale è cessata (o si è notevolmente affievolita), ha subito un progressivo rallentamento[4] anche il meccanismo che originava ed alimentava il robusto bastione anticiclonico che, deviando le perturbazioni atlantiche verso il Centro Europa, impediva la loro corsa verso le nostre Regioni, cosicché finalmente ora possiamo godere della neve (caduta in abbondanza nell’inverno del 2018) e della pioggia (invero talvolta eccessiva), tanto che entrambe le precipitazioni sono avviate a ripristinare le scorte d’acqua e l’equilibrio idrogeologico del nostro territorio fortemente compromesso dalla crescente siccità degli ultimi anni.
Ma sarà proprio così?… Al Futuro la risposta sicura!


[1] Tale atteggiamento di rifiuto al confronto delle idee è tipico delle persone abituate ad imparare a memoria gli argomenti senza tuttavia comprenderli, cosicché non sono in grado di sostenere un dibattito sulla materia in oggetto.

[2] Va detto però, che il Golfo Ligure è frequentato dai Cetacei soprattutto nei mesi estivi, cosicché il loro esodo autunnale da quell’area potrebbe forse rientrare nella normalità.

[3] Ricordiamo che la Rotazione Terrestre gioca un ruolo fondamentale nel processo che stiamo descrivendo: a grande profondità, infatti, le acque compiono una circonferenza del pianeta più breve rispetto a quella che poi sono costrette a compiere in superfice, cosicché per inerzia esse si attardano verso Ovest scorrendo sotto le acque superficiali con le quali poi si mescolano abbassandone la temperatura.

[4] I cambiamenti della temperatura e della fertilità dei mari non sono mai immediati, ma costituiscono processi spesso assai lunghi, i quali, evitando gli sbalzi traumatici, consentono alla Natura di adeguarvisi.

 

L’ORIGINE DEL TERRITORIO VICENTINO ED I SUOI MINERALI

Come i mattoni che formano un muro, pur essendo saldamente cementati fra di loro, rimangono chiaramente distinguibili gli uni dagli altri, così i Minerali, che sono i componenti delle Rocce, all’interno di queste conservano la loro identità individuale: ad esempio, nel Granito, che è una roccia plutonica molto robusta, sono chiaramente distinguibili la Biotite (di colore nero), l’Ortoclasio (di colore rosa), l’Albite (di colore bianco), ed il Quarzo (incolore).
A loro volta, i minerali sono formati da vari Elementi; questi però sono così intimamente legati fra loro da formare un tutto uniforme: così ad esempio, in un cristallo di Calcite non è possibile distinguere il Calcio, il Carbonio e l’Ossigeno che la compongono.
Ogni tipo di roccia ha la sua combinazione caratteristica di minerali, la quale è dovuta alle condizioni che si sono verificate nel territorio al momento della sua formazione e ciò consente, a Chi conosce i minerali e le rocce, di leggere in essi la Storia degli avvenimenti che hanno portato alla loro formazione.

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LA SCOMPARSA DEI DINOSAURI – teorie a confronto

Scheletro di Ciro

Elaborato nell’estate del 1991 ma pubblicato nel 1997 in un opuscolo della serie Appunti Ambiente del Centro Studi e Ricerche Area Veneta e nel Bollettino FAAV (organo d’informazione interna della Federazione delle Associazioni Archeologiche Venete) e nel 1998 su un mensile del Vicentino, il presente Studio si prefiggeva di fare chiarezza sulle cause reali che portarono alla scomparsa dei Dinosauri. Scomparsa che avvenne nel corso di una lenta progressione durata diversi milioni di anni, e ciò in contrasto con quanto proposto dalla teoria basata sulla repentina catastrofe planetaria provocata dalla caduta di un grosso asteroide nel Golfo del Messico

, teoria sostenuta tutt’ora dalla Divulgazione Scientifica, la quale sovente si adegua acriticamente al pensiero dominante del momento.

Incoraggiato dal sostegno di vari Studiosi, ripropongo in questa Sede il mio Studio sulla materia poiché, a distanza di tanti anni, esso risulta conservare tuttora intatta la sua validità.

[Scarica l’opuscolo: LA SCOMPARSA DEI DINOSAURI – teorie a confronto(PDF 1,8 MByte)

Clima 12 –  Il controllo del clima: un’utopia? Forse no.

(sintesi di alcuni articoli pubblicati sul Giornale di  Vicenza nel 1990)

Abbiamo terminato l’articolo precedente parlando di alberatura di quante più possibili superfici in grado di riverberare il calore del Sole sull’aria soprastante. Sappiamo però che anche i deserti contribuiscono allo stesso modo al riscaldamento globale, ma come rimediare a tale enorme inconveniente?

 

Pittura rupestre che attesta come, nel periodo Neolitico, il Sahara fosse ricoperto dalla savana, nella quale, oltre agli innumerevoli animali tipici di quell’ambiente, trovavano ampio spazio anche gli uomini coi loro armenti.

Fg. 1.  Pittura rupestre che attesta come, nel periodo Neolitico, il Sahara fosse ricoperto dalla savana, nella quale, oltre agli innumerevoli animali tipici di quell’ambiente, trovavano ampio spazio anche gli uomini coi loro armenti.

Ebbene, anche in questo campo si potrebbe fare qualcosa di utile, ma occorreranno volontà politica a livello globale, studi approfonditi e… tempi lunghi, purtroppo: già da decenni, infatti, in certe regioni del globo, l’Uomo impiega risorse ed energie nel tentativo di arginare l’avanzata dei deserti, ma senza successo…

Il fatto è, che risulta facilissimo desertificare un territorio ma è estrema-mente difficile poi invertire la tendenza[1], tuttavia, come nel caso del Sahara, se in passato il territorio era ricoperto dalla savana, la situazione forse non è  del tutto disperata: oltre alle cause ambientali che abbiamo affrontato in CLIMA 7, infatti, dietro alla desertificazione dei un territorio c’è spesso la cattiva condotta dell’Uomo, condotta che bisognerà modificare per renderla compatibile con le esigenze dell’ambiente[2].

Foglie di Ailanto.

Fg. 2.   Rametto di Ailanto.

Da subito, dunque, sarebbe auspicabile incrementare le opere di bonifica dei deserti partendo dalle aree incolte lungo le coste, dove i terreni possono godere dell’umidità portata dalle brezze marine, e dove tuttavia, andrebbero usate essenze vegetali sgradite agli erbivori per scoraggiare la pastorizia[3].

Un ottimo esempio di tali essenze è dato dall’Ailanto (Ailanthus altissima), una pianta legnosa a rapida crescita, le cui foglie (foto a lato), triturate (masticate), sono talmente maleodoranti (e disgustose) da scoraggiare gli erbivori dal cibarsene[4]; ebbene, oltre ad una notevole capacità di fissare il terreno grazie alla sua attitudine a diffondersi rapidamente per propaggine[5], tale pianta presenta una elevata resistenza alla siccità grazie alle risorse idriche che riesce ad accumulare in rigonfiamenti simili a tuberi diffusi nell’apparato radicale.

Partendo dunque dalle zone più favorevoli ed associandola ai vegetali già in uso, la copertura boschiva ad Ailanto (o di essenze simili) porterebbe verso il deserto la frescura e l’umidità utili alla diffusione di erbe ed arbusti colonizzatori i quali, se difesi dalla distruttiva voracità degli erbivori domestici, coi loro cascami consentirebbero la formazione dello strato di humus indispensabile all’esistenza di vegetali utili alla rigenerazione del territorio.

Abundantia africana. Bronzetto della collezione Verità.

Fg. 3.  Abundantia africana. Bronzetto della collezione Verità.

Ovviamente, per non ripetere gli errori del passato, il territorio così bonificato non dovrà mai, in nessun caso, tornare nelle disponibilità dei pastori nomadi ma, qualora se ne verificasse la ripristinata fertilità, dovrebbe semmai essere destinato solo ed esclusivamente all’agricoltura, come avveniva ai tempi dell’antica Roma, la quale in Nordafrica aveva il Granaio dell’Impero come attestano le fonti storiche e come testimonia la statuina della foto a lato denominata Abundantia Africana.

Lasciamo ora l’aridità dei deserti e volgiamo l’attenzione ai grandi fiumi, fonti di inso-stituibili risorse ittiche ma anche di enormi calamità e di indirette interferenze nell’andamento del clima[6].

Nell’articolo precedente, a proposito dello scavo di una trincea sul fondo dei fiumi per mantenerne basso il corso rispetto al livello di campagna al fine di prevenire le alluvioni, alla domanda su cosa si dovesse fare poi dei detriti prodotti dallo scavo, si proponeva di utilizzare quei detriti per innalzare il livello dei terreni rivieraschi più depressi ed esposti alle sempre più frequenti escursioni marine.

Rilevamento radar da satellite del fondale del Golfo del Bengala; si noti l’immensa conoide di detriti al-luvionali che si allunga fino al cuore dell’oceano Indiano (dal Novissimo Atlante mondiale del Touring Club Italiano).

Fg. 4.  Rilevamento radar da satellite del fondale del Golfo del Bengala; si noti l’immensa conoide di detriti al-luvionali che si allunga fino al cuore dell’oceano Indiano (dal Novissimo Atlante mondiale del Touring Club Italiano).

A questo punto, però, si presenterebbe il problema costituito dalla necessità di consentire  il deflusso in mare delle piene dei fiumi: ebbene, non considerando le zone in cui il livello del territorio è sensibilmente più alto di quello dell’oceano, per cui il problema è già risolto dalla Natura con gli Estuari (come ad esempio, quello della Loira), il problema si pone là, dove il livello della fascia litoranea è inferiore rispetto a quello della massima marea: ebbene, anche qui la Natura ha provveduto a modo suo e lo ha fatto ampliando a dismisura gli alvei alla foce fino a formare dei grandi Delta, come nel caso del Po, la cui foce compensa la poca profondità con la vastità degli sbocchi in mare.Naturalmente, il graduale abbassamento del letto dei fiumi non dovrebbe mai (e ripeto mai) scendere ad un livello inferiore a quello raggiunto dalla superfice dei mari con l’alta marea, e questo per non consentire all’acqua salata di penetrare a fondo nella terraferma inquinando le falde e sterilizzando i terreni.

In questo caso, però, non sempre la vastità del delta riesce a garantire il completo deflusso della portata massima dei fiumi, così, per evitare che la Natura provveda alla bisogna allargando ulteriormente l’ampiezza del delta a scapito dei territori antropizzati, è giocaforza ricorrere alla costruzione degli argini: questi però, per non doversi innalzare troppo rispetto al livello di campagna (ricordiamo che più gli argini sono alti, più aumentano i rischi di un loro cedimento e, di conseguenza, più gravi sono gli effeti dell’alluvione) dovrebbero correre ad una buona distanza dal corso d’acqua per lasciare più spazio possibile alle acque di piena, così da risparmiare al territorio circostante le onerose servitù derivanti dalla formazione dei cosidetti bacini di laminazione.

Ebbene, oltre a limitare i pericoli derivanti da  straripamenti catastrofici, se praticato a livello globale specialmente sui grandi fiumi, il recupero dei detriti alluvionali potrebbe consentire di ottenere, in tempi relativamente brevi, il materiale per innalzare il livello dei litorali dei Paesi più minacciati dalla trasgressione marina (Paesi come il Bangladesh, per intenderci, il cui livello sul mare sta progressivamente diminuendo ed i cui fragili litorali sono oggetto di crescente erosione).  Inoltre, fatto non ultimo per importanza, il recupero dei detriti alluvionali dei fiumi potrebbe contribuire a limitare l’innalzamento del livello degli oceani, innalzamento che, bisogna dirlo, è causato non solo dalla dilatazione termica delle acque dovuta al cosidetto riscaldamento globale[7], ma è provocato anche dalla immissione nei mari e negli oceani di incalcolabili quantità di detriti[8].

Quanto ciò possa essere vero è dimostrato dalle immense conoidi di deiezione presenti negli oceani davanti alle foci dei grandi fiumi della Terra, come la conoide formata dal Gange e dal Brahmaputra, ad esempio, la quale sta progressivamente interrando il Golfo del Bengala.

Riuscire a limitare la trasgressione marina su vastissime aree litoranee del pianeta significherebbe contenere l’aumento in atto dell’evaporazione delle acque[9], influendo in tal modo positivamente sul rapporto di scambio energetico tra la superfice del pianeta e l’atmosfera.

Ebbene, questi provvedimenti costituiscono per ora tutto ciò che potremmo fare per difenderci dalle conseguenze della degenerazione del clima; non è moltissimo, tuttavia potrebbe servire a ritardare l’Apocalisse (così è stato definito da valenti studiosi il prossimo futuro del nostro pianeta a causo dell’eccessivo riscaldamento del clima), quando centinaia di milioni di persone, non più disposte a morire di fame nel deserto, si muoveranno alla disperata ricerca di cibo e di risorse, rinnovando le devastanti migrazioni, che nei passati millenni hanno distrutto imperi potenti e civiltà raffinate.

A queste terrificanti prospettive però, forse c’è rimedio, sempre che l’Umanità conceda a sé stessa il tempo necessario: dato che il clima terrestre è in gran parte determinato dal gioco delle correnti, ebbene, mettiamo mano a queste correnti!

Con calma, però!… Ché non facciamo la fine dell’apprendista stregone!… E, soprattutto, dobbiamo studiare interventi reversibili!

Dire quali potranno essere questi interventi in teoria non è difficile, essi però dovranno essere verificati preventivamente con studi seri su modelli matematici e fisici, per la cui realizzazione bisognerà raccogliere montagne di dati.

Comunque, la soluzione dei problemi climatici della Terra potrebbe essere questa: aprire dei vasti canali di comunicazione fra gli oceani[10] e dotarli di chiuse regolabili, in modo da consentire l’assoluto controllo del flusso e la reversibilità della funzione.

Ad esempio, portando la larghezza del Canale di Suez ad almeno 20 km e la sua profondità ad almeno 50 m, grazie alla spinta della Corrente dei Monsoni (Oceano Indiano) nel Mediterraneo orientale si dovrebbe verificare una discreta immissione di acque calde dal Mar Rosso: se consideriamo che le acque superficiali di questo mare hanno una temperatura minima invernale di 21 gradi  (contro i 16-17 del Mediterraneo orientale) ed una massima estiva di 33 gradi (contro i 25 – 27 del Mediterraneo orientale) l’immissione nel Mare Nostrum di tali acque dovrebbe garantire in tutte le stagioni, ma soprattutto in quella fredda, un innalzamento della temperatura superficiale sufficiente al rafforzamento della naturale vocazione ciclonica del nostro mare, vocazione contrastata oggi dalle fresche risorgive fertili generate dalle vaste aree vulcaniche sottomarine presenti nel Mediterraneo orientale e nel Tirreno.

Correnti Mar ROssoÈ chiaro che l’intervento prospettato per l’Istmo di Suez non garantirebbe al cento per cento il controllo sul clima nel Bacino Mediterraneo, tuttavia, potrebbe portare benefici effetti su un’area vastissima: nella stagione invernale, ad esempio, potrebbe produrre una consistente area depressionaria che, disaggregando la fascia sudoccidentale dell’Anticiclone Russo, consentirebbe alle perturbazioni atlantiche di riportare con regolare frequenza la neve sulle Alpi e la pioggia sul Meridione dell’Europa e sul Nordafrica[11].

Il procedimento prospettato potrebbe produrre benefici effetti anche nella stagione calda, poiché la Depressione Mediterranea (che verrebbe così a formarsi) si frapporrebbe tra l’Anticiclone del Mar Rosso e quello delle Azzorre interrompendone la micidiale continuità, e produrrebbe quella instabilità atta a favorire la formazione in loco, o l’arrivo dall’Atlantico, di perturbazioni che, riportando le piogge estive, potrebbe forse consentire il ritorno della Savana nel Sahara; proprio come avveniva, secondo le pitture rupestri del Tassili, fino a 4,500 anni fa.

«Ottimo! – si dirà – ma… il resto del mondo

Per il resto del mondo il discorso è simile, solo che si tratterebbe di intervenire sulla portata della Corrente del Golfo… «Una bazzecola!» si dirà…. È vero, a prima vista la faccenda sembra complicata… ma in realtà sarebbe fattibile, sempre che i Grandi della Terra ne comprendano l’utilità.

Come abbiamo visto in CLIMA 2, 4 e 5, la fascia centrale dell’Atlantico è percorsa da Est ad Ovest dalla possente Corrente Equatoriale Atlantica, la quale, urtando contro la piattaforma continentale del Nordest del Brasile, si divide in due rami: di questi, uno si dirige a Sud formando la Corrente Brasiliana mentre l’altro si infila nel Mare dei Caraibi, puntando sul Golfo del Messico dove le sue acque fanno il pieno di energia termica sotto il Sole dei Tropici, energia che poi la Corrente del Golfo porta nel Nordatlantico per alimentare la Depressione d’Islanda, per mitigare il clima del Nordeuropa e per aggredire la Calotta artica.

Ebbene, come abbiamo detto, al momento della sua uscita dal Golfo del Messico, passando per lo stretto della Florida tale Corrente ha una portata di ben quattro kilometri cubi d’acqua al minuto ed una velocità di otto Kilometri all’ora: da dove le giunge tutta quell’acqua e quella velocità di marcia?

La risposta è data dalla pressione prodotta dalla spinta esercitata dal ramo Nord della Corrente Equatoriale al momento del suo ingresso nel Golfo del Messico, spinta incontenibile, che produce una pressione capace di imprimere poi una accelerazione da zero a otto Km/ora alla immane massa d’acqua in uscita dallo Stretto della Florida.

Dunque, per mettere sotto controllo la portata della Corrente del Golfo, portata cresciuta negli anni tanto da influire pesantemente sul clima del Comprensorio Nordatlantico e sullo scioglimento della Calotta Artica (si riveda CLIMA 6) occorrerebbe allargare il Canale di Panama in modo analogo a quello previsto per il Canale di Suez, compreso il grande ponte munito di chiuse regolabili.

In tal modo, attraverso il nuovo canale sarebbe possibile lasciar defluire verso il Pacifico la portata in eccesso della Corrente del Golfo, per mantenere l’influenza climatica di questa ad un livello accettabile.

E qui sorgerebbero le complicazioni: accetterebbero, gli Stati del Nordeuropa, di rinunciare ai benefici sul loro clima derivanti dall’aumentata portata termica in atto da parte della Corrente del Golfo?

BrecciaSuPanamaD’altra parte però, l’acqua calda in eccesso fatta defluire verso il Pacifico potrebbe mitigare la fresca temperatura diffusa sulla superfice dell’oceano dalle risorgive fertili attive in zona, influendo così positivamente sul clima arido che affligge le coste di quell’area (soprattutto le coste del Perù) senza tuttavia com-promettere la pescosità di quelle acque, poiché anche le Correnti Atlantiche sono fertili.

Qualche Paese (soprattutto il Giappone, le Filippine e in certa misura anche l’Australia) potrebbe temere un certo rafforzamento delle cor-renti calde che innescano i temibili Tifoni che affliggono il Pacifico occidentale, tuttavia, forse i vantaggi derivanti all’intero pianeta dall’operazione potrebbero alleviare quei timori: l’alleggerimento della pressione idrostatica all’interno del Golfo del Messico, infatti, potrebbe favorire un rafforzamento della Corrente dei Caraibi a spese di quella Brasiliana, la quale, così dimagrita, alleggerirebbe il suo apporto termico nella Corrente Circumantartica, a tutto vantaggio della conservazione della Calotta glaciale del Continente Antartico e dei ghiacciai montani dell’Emisfero Sud.

Nel frattempo, con l’alleggerimento della Corrente del Golfo, nell’Emisfero Nord si potrebbe ottenere un ritorno delle condizioni climatiche ai livelli ritenuti ottimali di inizi ‘novecento: ciò favorirebbe il ritorno dei ghiacciai sulle montagne ed il ritorno in salute della Calotta Polare Artica, col vantaggio di aumentare le superfici riflettenti l’energia solare e di diminuire di conseguenza le superfici che trasmettono calore all’atmosfera.

Inoltre, trattenendo sulla terraferma masse crescenti d’acqua con lo sviluppo dei ghiacciai continentali, il livello dei mari e degli oceani cesserebbe di aumentare per finire poi col diminuire, salvando così dal pericolo della sommersione aree del globo vastissime e fittamente popolate. Ma non solo, il ritiro delle acque ridurrebbe la superfice di evaporazione di mari ed oceani, togliendo in tal modo carburante alle grandi perturbazioni che attualmente affliggono vastissime aree del pianeta…

Infine, il riequilibrio climatico potrebbe ridurre i pericoli per la Pace paventati in un mio articolo pubblicato l’11 dicembre 1977 sul Giornale di Vicenza in seguito ai malumori emersi dallo storico Convegno Internazionale sul Clima tenutosi in quei giorni a Kioto, articolo che portava lo stesso titolo di quello che andiamo a pubblicare in Clima 11: Effetto Serra fa rima con guerra?

 

 


Note 

[1] Quando un terreno è denudato, le intemperie hanno buon gioco nel dilavarne le componenti a grana sottile ricche di nutrienti minerali ed organici che gli danno consistenza e fertilità, cosicché, quando è reso sabbioso, esso non offre più l’ambiente idoneo all’attecchimento dei semi. Se a ciò si aggiunge il calore eccessivo dell’ambiente e la scarsità di acqua, il problema diventa estremamente duro da risolvere.

[2] Mi riferisco in modo particolare alla pastorizia praticata in modo intensivo, a sostegno del prestigio individuale legato al numero degli animali posseduti, anche se questi sono ridotti a pelle e ossa dall’incipiente desertificazione.

[3] In Nordafrica, le capre domestiche sono lasciate libere di arrampicarsi persino sugli alberi per nutrirsi delle loro foglie: ovviamente, tale pratica è quanto di più dannoso si possa fare per la salute del territorio.

[4] Disseminata dagli uccelli nell’isola di Montecristo abitata da una folta colonia di capre selvatiche che si nutrono di tutto ciò che trovano, grazie al suo sapore sgradito questa pianta, rifiutata dagli erbivori, è diventata la spece vegetale dominante sull’isola (la foto è tratta da “Riconoscere gli alberi” di Roger Phillips).

[5] Importato nell’800 dalla Cina come pianta ornamentale, l’Ailanto si comporta come una pianta infestante, capace di colonizzare qualsiasi terreno, anche quello che, per l’aridità, sembra negato ad altre infestanti quali la Robinia.

[6] Detta interferenza indiretta deriva dall’incessante opera di riempimento dei bacini oceanici con detriti alluvionali da parte dei fiumi, riempimento che sta provocando l’innalzamento di livello e quindi l’estensione di mari ed oceani a scapito delle superfici emerse.

[7] Al dilà di quanto riferiscono gli allarmismi, detta dilatazione si limita alle basse latitudini e solo al lieve strato superficiale dei mari e degli oceani, perché l’energia solare non penetra nelle acque per più qualche decina di metri.

[8] Il processo è lo stesso che avverrebbe versando della terra all’interno di un recipiente pieno d’acqua: riducendo la capacità del recipiente, infatti, l’immissione di terra fa  tracimare l’acqua… Del resto, il fenomeno si è già verificato nel passato, soprattutto nel lungo periodo Cretaceo, quando l’erosione ha demolito in gran parte le montagne, i cui detriti, trasportati dai fiumi in mare, ne hanno innalzato il livello causando l’allagamento di enormi distese continentali, le quali furono trasformate in mari epicontinentali di modestissima profondità che, come vedremo, hanno contribuito al riscaldamento del clima e i cui sedimenti hanno dato poi origine ai calcari compatti tipici, appunto, del Cretaceo.

[9] La scarsa profondità delle acque consente all’energia solare di raggiungere il fondale, dove si trasforma in energia termica che favorisce l’evaporazione dell’acqua molto più che nei mari profondi e negli oceani. Ed è la forte evaporazione che alimenta poi le grandi precipitazioni atmosferiche.

[10] In realtà, già nel passato (si parla di parecchie migliaia di anni fa) gli oceani sono stati a lungo collegati fra di loro, quando le sottili barriere che oggi li separano erano sommerse, sconvolgendo le rotte delle correnti oceaniche.

[11] Ed è appunto questo che avveniva in passato, quando l’istmo di Suez era sommerso consentendo alle acque del Mar Rosso di riscaldare la superfice del Mediterraneo orientale, così da richiamare le perturbazioni dal Nordatlantico, che con le loro piogge consentivano la presenza della Savana nell’attuale Sahara e la ricca produzione agricola nei Paesi del Meridione mediterraneo che costituivano il Granaio dell’Impero Romano.

Clima 11:   Effetto Serra fa rima con guerra?   

Esplosione atomica (foto da I Propilei vol 10)

Fg. 1.  Esplosione atomica (foto da I Propilei vol 10)

Alla fine di due delle mie conferenze sulle Cause reali delle mutazioni climatiche, ho subìto la dura contestazione di alcuni Ambientalisti “duri e puri”, i quali, dichiarando ad alta voce il loro asserito dottorato in varie discipline[1] come per dirmi «e Lei “Cosa” è?» non volevano sentire ragioni riguardo alle mie argomentazioni sul fatto che la teoria sull’Effetto Serra, oltre ad essere inconcludente[2],  ha condotto la Ricerca Scientifica in un vicolo cieco, dal quale non riesce a districarsi[3].

E a nulla serviva dimostrare, documenti alla mano, che già nel 1998, la Teoria basata sullo studio delle Correnti Oceaniche aveva consentito alla Commissione Europea per la Meteorologia a Medio Termine di formulare “previsioni di massima soddisfacenti su tutto il globo a sei mesi” (si riveda l’articolo su Clima 2).

Ed è un peccato, perché tanta sincera dedizione all’ideale ambientalista, che potrebbe essere di enorme giovamento al progresso “reale” della Climatologia, rimane impantanata in un vicolo cieco, alla fine del quale, come vedremo nell’articolo che segue, potrebbe esserci il baratro di una guerra totale, disperata, senza vinti né vincitori.

Effetto Serra fa rima con guerra? (mio articolo pubblicato sul Giornale di Vicenza l’11 dicembre 1997)                                                                                                             

Folla di Esuli (foto da Salviamo la Terra, di J. Porritt, G. Mondadori Ed.)

Fg. 2.  Folla di Esuli (foto da Salviamo la Terra, di J. Porritt, G. Mondadori Ed.)

 «Mentre le flotte occidentali sono impegnate a trasferire in Australia le popolazioni delle isole del Pacifico, in Bangladesh milioni di profughi incalzati dall’avanzata del mare migrano verso le alture boscose dell’Assam e della Birmania. Situazioni analoghe si stanno verificando ovunque nel mondo: lungo le coste dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, intere popolazioni abbandonano città e villaggi minacciati dal mare e si dirigono verso l’interno fra episodi di selvaggia violenza e disperazione.

 Anche i Paesi Occidentali sono duramente colpiti dalla “trasgressione marina”ma riescono ancora a governare l’emergenza con una certa pacatezza.

Meno dotati di mezzi atti a fronteggiare l’immane catastrofe, i Paesi del Terzo Mondo tempestano da tempo le Nazioni Unite affinché puniscano l’Occidente, reo per sua stessa ammissione, di aver provocato l’Effetto Serra, il fenomeno a cui è universalmente attribuito il riscaldamento abnorme del clima, lo scioglimento delle calotte polari e il travolgente innalzamento del livello degli oceani… Se l’Onu non provvederà con la propria autorità e, se necessario, con la forza a bloccare l’apparato industriale dell’Occidente, saranno loro, i Paesi del Terzo Mondo, a prendere l’iniziativa per salvare il pianeta dalla catastrofe: essi possiedono un tal numero di uomini, che l’Occidente, pur con la sua immane potenza tecnologica e nucleare, ne verrà sommerso e annientato!           

Anche a Oriente del Mondo Occidentale si inquina alla grande!

Fg. 3.  Anche a Oriente del Mondo Occidentale si inquina alla grande!

Dal canto loro, l’Europa e l’America ribattono che le loro industrie perseguono da molti anni una severa politica di riduzione delle emissioni inquinanti e che l’aumento dell’Effetto Serra è dovuto semmai al crescente inquinamento atmosferico prodotto senza alcun freno dai Paesi emergenti, fra i quali primeggiano la Cina e l’India, i due Stati che, con la distruzione degli apparati produttivi occidentali, mirano a diventare le potenze industriali egemoni del pianeta…

Tuttavia, se i Paesi del Terzo Mondo vorranno proprio la guerra, ebbene, guerra sia!… e che muoia Sansone con tutti i Filistei!»

Questa potrebbe essere la cronaca dell’inizio della fine della nostra epoca, a cui seguirebbero l’annientamento della nostra civiltà e quel Medioevo postmoderno tanto caro alla letteratura ed al cinema di fantasia.

È forse questo che vogliono i fautori dell’Effetto Serra? Sacrificare la nostra Civiltà e la Pace sull’altare di una teoria scientifica tutta da dimostrare?… Perché è proprio a questo che sta portando l’integralismo ambientalista: esso infatti, col suo martellante allarmismo sull’Effetto Serra, dà modo al Terzo Mondo (i cui Paesi emergenti, quanto a inquinamento, non sono certo da meno) di mettere sotto accusa i Paesi industrializzati dell’Occidente, sui quali trova comodo scaricare le proprie tensioni interne, tanto che è palpabile l’ostilità contro di loro che aleggia nell’atmosfera del Convegno internazionale sul clima che si tiene in questi giorni a Kyoto[4].

E tutto ciò perché non si vuole riconoscere onestamente che i fenomeni climatici, balzati all’onore delle cronache negli ultimi anni, sono del tutto simili a quelli che periodicamente hanno interessato la storia della Terra fin dalle epoche più remote; fenomeni che sono la naturale conseguenza della normale fisiologia del nostro pianeta.

Come abbiamo più volte ripetuto su queste pagine[5], l’atmosfera segue inesorabilmente le leggi della dinamica dei fluidi e pertanto ribolle solo se viene riscaldata dal basso, non dall’alto!

E questo è proprio quanto avviene ad opera della superfice del pianeta, la quale è a sua volta riscaldata dal Sole in modo decrescente dall’Equatore ai Poli. La gradualità di questo riscaldamento, però, è profondamente alterata dalle Correnti oceaniche, tant’è vero che da questa estate[6] le cronache ci bombardano coi disastri climatici e ambientali causati dal Niño, il fenomeno termico[7] che sta interessando una vastissima superfice del Pacifico equatoriale.

Ebbene, poiché pure l’acqua è un fluido, anche le Correnti oceaniche sono prodotte da sorgenti termiche situate alla base delle masse d’acqua: si tratta di sorgenti termiche abissali di potenza spaventosa, costituite dalle spaccature colme di magma delle Dorsali oceaniche e dall’attività vulcanica dei cosidetti Punti Caldi.

Tanto per fare un esempio, la Corrente Equatoriale Atlantica, che dividendosi forma la Corrente del Golfo e la Corrente Brasiliana, è generata dalla concentrazione di ben tre punti caldi situati sul fondo del Golfo di Guinea ed è alimentata poi dalle emissioni termiche del settore equatoriale della Dorsale Atlantica.

Ebbene, oltre che dalla preoccupante rapidità con cui le sue diramazioni stanno sciogliendo le calotte polari, la sua attuale fase di virulenza è provata dalla vistosa accentuazione dell’anomalia termica che caratterizza il suo corso attraverso l’Atlantico.

Analoga origine hanno anche tutte le atre correnti oceaniche, le quali, con la loro carica termica, condizionano in modo determinante i fenomeni atmosferici nelle rispettive aree di pertinenza.

Dunque, anche se il clima della Terra continuerà a riscaldarsi producendo i tremendi guasti prospettati dagli Esperti, tali guasti non saranno da addebitare solo all’Uomo, ma in massima parte saranno dovuti alla Natura.

Tuttavia, dopo la martellante campagna che da molti anni l’integralismo ecologista conduce all’insegna dell’Effetto Serra, Chi potrà convincere le Popolazioni sinistrate che l’Occidente industrializzato non ha colpa delle loro disgrazie in quanto l’Effetto Serra è una teoria avulsa dalla realtà?…

E Chi potrà distogliere tali Popolazioni dalla crescente ostilità verso di noi, quando tale ostilità già ora aleggia palpabile nell’atmosfera del Convegno di Kyoto?


 

Note

[1] Discipline poi, che nulla avevano a che fare con la Climatologia, per cui quegli stessi Contestatori non erano persone qualificate ma erano dei semplici Dilettanti o, se preferite, degli Appassionati).

[2] La teoria sull’Effetto Serra infatti, non ha mai consentito di elaborare previsioni meteo né a breve né a lungo termine.

[3] A questo punto, comincio a pensare che i Sostenitori di tale teoria si sentano come gli Adepti di una Setta tenuti solo a “credere e obbedire”

[4] Ricordo che l’articolo è stato scritto proprio nel dicembre 1997, in concomitanza col Convegno di Kyoto e pochi mesi prima che il Centro Europeo per la Meteorologia a Medio Termine annunciasse il suo successo nelle previsioni meteo basate sullo studio delle Correnti Oceaniche, alle quali attribuisce la capacità di influire sul clima.

[5] Ricordo che l’articolo si riferisce alle pagine del Giornale di Vicenza.

[6] Ricordo ancora che l’articolo è stato pubblicato nel dicembre 1997.

[7] Faccio notare che già allora io non parlavo di Corrente calda del Niño, e questo perché, contrariamente a quello che si va dicendo da decenni, el Niño non è una Corrente calda ma è il ristabilimento, sulla superfice dell’oceano, della temperatura calda propria di quella latitudine a causa della cessazione della Niña, la corrente fresca generata dalle risorgive fertili attive al largo della costa peruviana (si riveda, a questo proposito, quanto detto in CLIMA 4).

Clima 8: La genesi di deserti e uragani

(Assemblaggio del materiale di alcuni articoli pubblicati negli anni ‘90)

Tornando ad esaminare le cause del clima in generale, diamo ora un’occhiata a delle circostanze particolari legate alla presenza delle Correnti Oceaniche in determinate zone della Terra, circostanze che condizionano la formazione dei deserti e degli uragani.

Panoramica sul Sahara

Fg. 1.  Panoramica sul Sahara

Osservando le mappe climatiche dell’intero pianeta, si può notare che le aree desertiche sono sempre situate ad Oriente delle zone interessate dalle Risorgive Fertili: così il Sahara si trova ad Est del comprensorio vulcanico sottomarino delle Azzorre e delle Canarie, il deserto della Namibia è ad Est delle risorgive al largo del Sudafrica, il deserto di Atacama è ad Est delle risorgive che danno origine alla Corrente Sudequatoriale del Pacifico, il deserto della California è ad Est delle sorgenti della Corrente omonima.

Come abbiamo visto nell’articolo precedente, perché questo avvenga è presto detto: la velocità di rotazione della superfice oceanica attorno all’asse terrestre è notevolmente inferiore rispetto a quella dell’aria alle alte quote, poiché questa nelle 24 ore deve percorrere una circonferenza maggiore; calando quindi di quota all’interno di un gorgo anticiclonico, la massa d’aria in discesa si avvantaggia verso Est portando sul vicino continente la sua calura (acquisita per compressione durante la discesa) e la sua aridità, calura e aridità che caratterizzano le brezze torride che succhiano la vita alla vegetazione favorendo la progressiva avanzata del deserto.

Arbusto di tamerici usato per tentare di fermare l’avanzata del deserto.

Fg. 2. Arbusto di tamerici usato per tentare di fermare l’avanzata del deserto.

Da tale sequenza, sembrerebbero discostarsi i deserti del Medio Oriente e dell’Arabia, il deserto australiano ed il deserto della Mongolia: in realtà, però, anche quei deserti rientrano nella norma: i deserti del Medio Oriente, infatti, si trovano ad Est dell’estesa area idrotermale sottomarina collegata ai vulcani dell’Egeo, il Deserto Arabico è ad Est delle risorgive fertili del Mar Rosso, i cui 33° d’estate e 26° d’inverno sono ben poca cosa a confronto con le temperature infernali che affliggono l’interno dell’Arabia e dell’Egitto, ed è appunto tale divario che produce la discesa di aria asciutta dalle alte quote, la quale, giunta al suolo ed espandendosi, produce le micidiali brezze torride che portano alla desertificazione quella parte del pianeta.

Uragano visto dal satellite

Fg. 3.  Uragano visto dal satellite

Quanto al deserto australiano, esso si trova a Sud-Est del vasto bacino idrotermale a Meridione di Giava e immediatamente ad Est della fredda Corrente Australiana Occidentale, la cui temperatura superficiale genera l’anticiclone che desertifica l’Australia.

Infine, il vastissimo deserto della Mongolia, che comprende importanti porzioni della Cina e della Siberia meridionale, deve invece il suo clima arido all’enorme distanza che lo separa dall’umidità esalata dai mari occidentali  (Mediterraneo, M. Nero e M. Caspio), allo sbarramento delle correnti monsoniche operato dalla Catena Imalajana ed alla vicinanza  con la sede  dell’Anticiclone (continentale) Siberiano.

Per quanto riguarda l’origine degli Uragani (detti anche Tifoni e Cicloni), pur essendo note le aree in cui essi si formano, non risulta che siano mai state individuate le cause che determinano la loro formazione.

Ebbene, analizzando le mappe climatiche, notiamo che quegli spaventosi fenomeni nascono sempre ad Ovest dei bacini oceanici lungo l’asse terminale delle Correnti calde: il fenomeno si spiega con l’allargamento del corso di dette correnti in prossimità degli ostacoli che ne frenano o bloccano la corsa, ostacoli come catene di isole o coste continentali, a causa delle quali avviene l’allargamento del fronte della Corrente, il quale aumenta enormemente la superfice di contatto con l’aria soprastante alla quale la Corrente cede calore.

Per aggravare la situazione, poi, fondamentali sono il sopraggiungere di sempre nuova acqua calda in sostituzione di quella raffreddata dall’evaporazione, e l’enorme spessore delle  correnti stesse, spessore che garantisce una scorta energetica inesauribile.

Così, nell’Atlantico gli uragani si formano lungo il corso della calda Corrente della Guiana, che diventa poi Corrente dei Caraibi allargandosi nell’intrico delle isole; nel Pacifico i tifoni si formano sulle scie finali delle calde Correnti Nordequatoriale (con obiettivo il Giappone) e Sudequatoriale (con obiettivo le Filippine, l’Indonesia e la Cina) e sulla scia della calda Corrente Australiana Orientale (che colpisce duramente soprattutto il Nord-Est del Paese).

Autonome rispetto alle condizioni termiche delle superfici oceaniche sono invece le meno spettacolari Trombe d’aria, che in determinate condizioni danno luogo ai paurosi vortici noti anche col nome di Tornado, tutti fenomeni pericolosi e spesso letali, i quali si manifestano per lo più sulla terreferma, dove prendono origine da concentrazioni di calore in zone limitate immerse in aree più fresche ma ricche di umidità nell’aria, umidità portata dalle correnti d’aria di provenienza marina, la quale costituisce il carburante di cui il tornado si nutre fino all’esaurimento.

Abbiamo dunque compreso il ruolo fondamentale sostenuto dalle correnti oceaniche e marine in relazione all’andamento del clima, e questo, come raccomandavo in un mio articolo del 31 agosto 1990, ha consentito di produrre previsioni meteo soddisfacenti, pur se di massima, su tutto il globo a sei mesi. Tele spazio temporale, tuttavia, non basta ancora per la programmazione su vasta scala delle colture agricole al fine di fronteggiare con successo la fame nel mondo, occorre aumentare ancora di qualche mese l’anticipo delle previsioni, ma come?

I punti caldi attivi negli ultimi 10 milioni di anni. Essi sono concentrati lungo le dorsali medio-oceaniche e, in particolare, sulla Dorsale medio-atlantica (da Burke e Wilson, 1976).

Fg. 4.  I punti caldi attivi negli ultimi 10 milioni di anni. Essi sono concentrati lungo le dorsali medio-oceaniche e, in particolare, sulla Dorsale medio-atlantica (da Burke e Wilson, 1976).

Ebbene, anche se sembra che, come di consueto, Climatologi e Geologi non siano interessarsi a scambiarsi informazioni, visto che già esistevano le mappe degli assembramenti vulcanici sottomarini (vedi figura a lato), ancora nel 1990 proponevo di estendere il monitoraggio a detti assembramenti ed ai loro apparati idrotermali, cosa non impossibile con i moderni mezzi di rilevamento subacqueo già disponibili allora: in tal modo, sarebbe possibile monitorare l’andamento dei fenomeni sottomarini e collegarlo col successivo andamento del clima al fine di costituire l’indispensabile archivio dati necessario per dedurre il futuro del clima in base alla situazione subacquea in corso: ciò renderebbe possibile prolungare ancora di qualche mese il tempo delle previsioni meteo di massima, in modo da consentire agli agronomi di attuare una programmazione mirata delle colture agricole, programmazione che, dapprima ovviamente, avverrebbe in via sperimentale e poi, costituito il relativo archivio dati per i raffronti, potrebbe avvenire su scala sempre maggiore a vantaggio di tutta l’Umanità.

Utopie? Mah!… Anche la mia proposta sul controllo delle Correnti Oceaniche in superfice ed in profondità sembrava un’utopia, e invece, qualcuno poi ne ha colto la fondatezza ed i risultati, pur se ancora con un anticipo di soli sei mesi, sono arrivati!… Perché non tentare anche con le “radici più profonde” del clima?

Pennacchio di acqua caldissima, carica di minerali, sgorga da una “bocca sorgente calda” (detta anche “fumatore nero”) fotografato sul Rialzo del Pacifico Orientale. (Da D.B. Foster, Woods Hole Oceanographic Institution).

Fg. 5.  Pennacchio di acqua caldissima, carica di minerali, sgorga da una “bocca sorgente calda” (detta anche “fumatore nero”) fotografato sul Rialzo del Pacifico Orientale.
(Da D.B. Foster, Woods Hole Oceanographic Institution).

A questo punto, visto che l’Uomo dispone di conoscenze adeguate sulla fisiologia della Terra[1] e di mezzi tecnici e finanziari sufficenti, viene da chiedersi se sia mai possibile intervenire sull’ambiente  per dominare in qualche modo gli eccessi del clima[2] e la risposta è «» e il “come” sarà l’oggetto dei prossimi due articoli, perché riguarderà “I disastri del clima: ciò che si potrebbe fare subito” e “Controllo del clima: ciò che richiederebbe tempi lunghi, studi approfonditi, progetti faraonici e volontà politica a livello globale”.

 


Note

[1] Parlo di fisiologia della Terra perché sembra proprio che il nostro pianeta costituisca un organismo vivente e si comporti come tale, un organismo in cui tutte le parti sono legate da una interazione intima e indissolubile.

[2] Questa domanda mi è stata rivolta spesso nel corso delle mie conferenze sul clima, e la risposta è positiva.

 

Clima 7: Il clima e l’Uomo: ciò che i libri di storia non dicono

(Da un mio articolo pubblicato su Il Giornale di Vicenza del 31 agosto 1990 col titolo “Effetto Serra? Ma in passato è andata peggio!”)

“Piuttosto che niente è meglio piuttosto” dice un proverbio traboccante buonsenso.

È questa, forse, la ragione dell’insistenza con cui i grandi mezzi di comunicazione (sia pubblici che privati) parlano ancora del cosidetto “Effetto Serra”.

Hanno un bel dire gli scienziati più avveduti, che le anomalie climatiche di questi tempi non sono da attribuire a tale “effetto”: la Gente non si accontenta di sapere come “non”stanno le cose ma vuole spiegazioni, qualunque esse siano e, possibilmente, che scarichino la responsabilità della situazione su qualcuno!

Stando così le cose, la teoria sull’Effetto Serra risponde egregiamente alle aspettative della Gente, in quanto fornisce una spiegazione ingegnosa e a prima vista credibile e, sopratutto, fornisce un “colpevole” il quale, per di più, è molto di moda: l’inquinamento atmosferico!

Io sono con tutto il cuore dalla parte di coloro che denunciano l’inquinamento, di qualsiasi natura esso sia, e sopratutto sono vicino a coloro che cercano onestamente di prevenire l’inquinamento senza limitarsi furbescamente a trasferirne le fonti in casa d’altri; tuttavia, devo dichiarare il mio perfetto accordo con i Meteorologi più avveduti: pur essendo un fenomeno da tenere costantemente sotto controllo, l’Effetto Serra ha un ruolo solo marginale nell’attuale situazione climatica.[1]

Se osserviamo, infatti, i diagrammi delle temperature della Terra o, meglio, di alcune aree del pianeta (ché le medie globali sono assai poco significative) vediamo che nei dodici millenni  dell’Olocene (il periodo geologico in cui viviamo) il termometro avrebbe registrato degli sbalzi, di fronte ai quali le lievi modifiche attuali sono cose trascurabili.

Se, ad esempio, osserviamo il grafico delle temperature della Val Camonica, vediamo che la linea A-B indica la temperatura media esistente agli inizi del ventesimo secolo (temperatura che prendiamo come fase di riferimento per il suo clima equilibrato) la quale ci dà la chiara idea dell’estremo rigore delle temperature ambientali di 12 mila anni fa, quando per convenzione si conclude l’ultima Grande Glaciazione e con essa il periodo storico detto Paleolitico.

Fg. 1. Grafico dell’andamento termico verificatosi in Europa centro-meridionale negli ultimi 12.000 anni (da un’opera di E. Anati) e, sotto, grafico della piovosità negli ultimi 10.000 anni evidenziato dalle variazioni di livello del lago di Ginevra (da Leone Fasani in Il Veneto nell’antichità).

Fg. 1. Grafico dell’andamento termico verificatosi in Europa centro-meridionale negli ultimi 12.000 anni (da un’opera di E. Anati) e, sotto, grafico della piovosità negli ultimi 10.000 anni evidenziato dalle variazioni di livello del lago di Ginevra (da Leone Fasani in Il Veneto nell’antichità).

Mille anni più tardi, dopo alcuni secoli di clima via via meno rigido, la temperatura ritornò a scendere vertiginosamente fino a riportarsi ai livelli iniziali intorno al 9mila a.C… E fu solo dopo altri duemila anni (intorno al 7mila a.C.) che la temperatura raggiunse i valori di inizi ‘novecento.[2]

Nel millennio seguente, ci fu un clima notevolmente più caldo dell’attuale subito seguito da 500 anni di freddo intenso; poi, il termometro tornò a salire di prepotenza e fu proprio in questo periodo che nella nostra Penisola fiorì l’agricoltura dando inizio alla fase storica fondamentale detta “Periodo Neolitico”.

In breve, però, il caldo si fece torrido, le piogge diminuirono fortemente come mostra il grafico della piovosità (fg. 1 in basso), che scorre ad un livello notevolmente al disotto dell’attuale, e le terre si inaridirono danneggiando enormemente le colture agricole[3].

Incisioni Rupestri in Sahara

IncisioniRupestriSahara-foto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fg. 2 e 3.  A sx due grandi giraffe (in azzurro) ed un elefante (in rosso) incisi sulle rocce della regione sahariana del Fezzan (da Fiumi di pietra, di Angelo e Alfredo Castiglioni e Giancarlo Negro).
A dx: riproduzione grafica della stessa incisione (da Antiche Civiltà del Sahara, di Massimo Baistrocchi)
.

Non ostante ciò, tuttavia, le spece animali tipiche degli ambienti circumpolari, come gli orsi bianchi ed i pinguini dei quali si paventa la prossima estinzione a causa del riscaldamento globale, non scomparvero, e questo ci rassicura sul loro avvenire.

Il culmine del caldo fu raggiunto intorno al 4mila a.C., quindi la temperatura cominciò a diminuire con esasperante lentezza fino a tornare sui nostri valori intorno al 2mila a.C.

Questa “normalizzazione” del clima, pur se provvidenziale per il Sudeuropa, dovette costituire una catastrofe per le attività agricole della parte centrale e nord-orientale del continente dove, grazie al precedente lunghissimo periodo caldo (ma temperato dalla latitudine elevata) la popolazione umana era cresciuta in modo non ancora ben precisabile ma certo assai notevole, cosicché, continuando il raffreddamento del clima che portava le temperature al di sotto dei livelli attuali, di fronte alla drammatica diminuzione delle risorse agricole, si mise in moto una impressionante sequenza di migrazioni, le quali portarono i Nordeuropei ad  invadere con successive ondate migratorie le immense pianure sud-orientali del Vecchio Continente, l’Altopiano Iranico, l’Afghanistan, il Pakistan e l’India nord-occidentale, travolgendo popoli e culture che costituivano la punta di diamante della civiltà[4].

Poi, mentre altre ondate migratorie invadevano la Siberia meridionale e, attraversando l’attuale Mongolia, raggiungevano addirittura le isole più settentrionali dell’Arcipelago Giapponese, ulteriori andate volgevano a Sud e poi ad Ovest, ponendo le basi alle cosidette Civiltà Ittita in Anatolia e Micenea nel meridione della Penisola Balcanica, e portando definitivamente il resto dell’Europa dalla tarda Età della Pietra a quella del Bronzo.

Poi, verso la metà del secondo millennio a.C., la temperatura tornò a crescere sopra i livelli attuali per un paio di secoli, tornando poi a precipitare per mettere nuovamente in crisi l’agricoltura dei paesi a clima continentale e causando le tremende carestie ricordate negli annali egizi ed anatolici, e ciò diede il via a nuove devastanti migrazioni, che produssero la dissoluzione dell’Impero Ittita in Anatolia e della Civiltà Micenea in Grecia, mentre nell’Europa centro-meridionale si stanziavano popolazioni portatrici della Cultura dei Campi di Urne e di una civiltà protourbana che qualche secolo più tardi entrò in crisi per un ulteriore incrudimento del clima fattosi gelido e arido, incrudimento che, mettendo ancor più in crisi l’agricoltura, costrinse gran parte della gente ad abbandonare i centri abitati per tornare alla pratica della pastorizia seminomade.

Anche in Siberia gli sconvolgimenti climatici di fine secondo millennio provocarono disastrose migrazioni: cresciute di numero durante i circa due precedenti secoli a temperatura mite e messe in crisi dal rapido ritorno del freddo, le popolazioni mongolidi del Settentrione calarono a Sud ricacciando progressivamente verso Ovest le popolazioni europidi che vi si erano stanziate mille anni prima.

Queste ultime, note ai Greci col nome collettivo di Sciti e amalgamate in un groviglio etnico che presto assunse le caratteristiche di una travolgente ondata migratoria, nei primi secoli del primo millennio a.C. dilagarono ad Occidente degli Urali, invadendo gli immensi territori ad Est e a Nord del Mar Nero dai quali scacciarono le progredite popolazioni ivi stanziate, popolazioni che i Greci chiamavano Cimmeri.

Divisi in due tronconi dall’invasione giunta da Oriente, per sottrarsi all’incontenibile avanzata delle orde scitiche i Cimmeri fuggirono in parte verso Sud, riparando nell’Anatolia centrale, e in parte, la più numerosa, migrando a loro volta verso Occidente sino alle foci del Danubio.

Da qui, sempre perseguitati dal maltempo che da freddo arido stava volgendo al fresco umido, mentre una parte dei fuggitivi puntava sulla Grecia dando vita a quella che gli Storici chiamano Invasione Dorica, il grosso dell’orda fuggiasca, definita dagli Studiosi d’oltralpe Orda Cimmera o dei Cavalieri Nomadi, risaliva con foga disperata il corso balcanico del Danubio travolgendo ogni ostacolo che si opponeva alla sua avanzata.

Giunte infine sulla Pianura Pannonica, le diverse componenti dell’Orda Cimmera si smembrarono marciando in tutte le direzioni e, grazie alle rivoluzionarie tecniche di combattimento basate sull’uso sapiente della cavalleria e sulla superiorità delle armi, si imposero su gran parte dell’Europa, dove diffusero la pratica della Siderurgia dando così inizio all’Età del Ferro.

Frattanto, dopo un profondo picco di freddo intenso e asciutto che aveva interessato i primi secoli del primo millennio a.C.,  pur mantenendosi piuttosto umido il clima tornò lentamente ad addolcirsi, fino a raggiungere il livello attuale agli inizi dell’era cristiana, per poi superarlo nei secoli successivi favorendo in tal modo l’espansione dell’Impero Romano; quindi, già a partire dal terzo secolo, prese l’avvio una nuova piccola glaciazione, non freddissima ma molto umida, la quale rimise in moto i popoli del Nord e dell’Oriente, innescando così la terribile sequenza delle cosidette “invasioni barbariche” che portarono alla dissoluzione dell’Impero Romano….

Poi, a partire dal nono secolo, la temperatura tornò a salire  portandosi ai livelli attuali intorno all’anno mille e superandoli nell’Età Comunale e del primo Rinascimento, periodi il cui sviluppo fu indubbiamente favorito dalla dolcezza del clima.

Variazione linee di costa nel mediterraneo

Fg. 4.  Variazione linee di costa nel mediterraneo

A questa fase temperata seguì un altro raffreddamento, una breve ma intensa glaciazione certo non estranea alle guerre che per lunghi decenni travagliarono il panorama europeo, come le sanguinose campagne di conquista condotte dalla Svezia sul continente.

In questo breve periodo glaciale magistralmente illustrato dai pittori fiamminghi, l’avanzata dei ghiacciai alpini fu così pronunciata da raggiungere numerose borgate montane vecchie di secoli e provocarne la distruzione.

Infine, dai primi decenni dell’ottocento il clima cominciò ad addolcirsi (qualcuno direbbe “riscaldarsi”) con progressione decisa fino all’optimum climatico di inizi novecento, e ancora oggi la temperatura continua a salire seguendo la netta tendenza del diagramma termico della figura 1.

Durerà così ancora a lungo?

Oggi è impossibile dirlo, quindi, se non saremo capaci di escogitare un sistema per influire sui fattori del clima, dovremo armarci di pazienza e prepararci ad affrontare l’incertezza di un clima forse non peggiore di tanti altri che lo hanno preceduto.

 


Note

[1]  N.d.r: Quest’ultima affermazione ha suscitato le ire di alcuni fra i più accesi Ambientalisti o, meglio, di alcuni cosidetti “Ambientalisti” (diciamo “cosidetti” perché ai “veri” Ambientalisti la ricerca della Verità interessa almeno quanto interessa al nostro Autore).

[2] Quel periodo climaticamente felice è testimoniato dalle  meravigliose raffigurazioni di animali della Savana incise sulle rocce del Sahara, le quali mostrano come in quella lontana epoca il Nord-Africa fosse “verde”.

[3] Di questo terribile periodo, durato ben 2mila anni, abbiamo le testimonianze archeologiche nella Puglia settentrionale, dove i villaggi neolitici sorti numerosi nella fase umida iniziale furono abbandonati a favore di insediamenti sparsi di breve durata dovuta all’impoverimento dei suoli. Anche nel Veneto la siccità si fece sentire fortemente, tanto che nel Lago di Fimon (piccolo bacino di sbarramento situato presso il margine orientale dei Colli Berici, in provincia di Vicenza) il livello delle acque scese ad altre due metri sotto quello attuale, consentendo lo stanziamento di alcune capanne sorte direttamente sulle melme bianche del fondo essiccate dal Sole.

[4] Ed è a questo periodo, caratterizzato dal deciso ritorno delle perturbazioni atlantiche, che risale la forte sequenza nevosa che coprì il corpo del cosidetto Uomo del Similaun preservandolo dalla corruzione fino ai nostri giorni.

Clima 6: I comprensori climatici

(sintesi di alcuni articoli pubblicati sul Giornale di Vicenza nel 1990)

Come abbiamo visto negli articoli precedenti, se non ci fossero le correnti oceaniche a portare in giro per il globo il calore accumulato sotto il Sole dei Tropici, la temperatura terrestre dovuta all’irraggiamento solare sarebbe distribuita in modo decrescente dall’Equatore ai poli; quindi, ricevendo calore prevalentemente dal contatto con la superfice del pianeta (sia questa di terraferma od oceanica) l’atmosfera si scalderebbe maggiormente nelle zone tropicali, dove le masse d’aria, divenute meno dense (e dunque più leggere) si innalzerebbero richiamando incessantemente ai tropici aria fresca (e perciò più densa e pesante) dalle zone temperate e da quelle fredde.

Si formerebbero in questa maniera due grandi sistemi di correnti atmosferiche: uno, costituito da aria calda, viaggerebbe ad alta quota perdendo via via calore e si dirigerebbe verso i poli seguendo un percorso sempre più obliquo verso Oriente[1], mentre l’altro, costituito da aria fredda, viaggerebbe a bassa quota scendendo dalle latitudini elevate con direzione obliqua verso Occidente[2] e stenderebbe su gran parte della Terra una coltre gelida e asciutta, che manterrebbe il nostro pianeta nella morsa di una tremenda glaciazione[3].

Fortunatamente per noi, anche se a volte uno spiffero settentrionale riesce a guastarci qualche giorno delle vacanze estive, il clima terrestre non è così regolarmente ed eternamente rigido, e ciò perché, grazie alla presenza delle superfici marine (che fungono da locali accumulatori di energia termica) e sopratutto grazie all’esistenza delle correnti oceaniche calde, che si spingono fino alle latitudini circumpolari, le masse atmosferiche possono ricevere calore non solo nelle zone tropicali ma anche in altre aree del globo.

Dunque, la diversificazione e l’irregolare dislocazione delle fonti di energia termica garantite dalle correnti oceaniche rimescolano le carte delle correnti atmosferiche, rendendo il clima vario e, per la gioia dei meteorologi, imprevedibile!

Benché l’atmosfera costituisca uno strato gassoso unico attorno all’intero pianeta, esistono poi dei fattori ambientali che in qualche modo ne incrinano l’unità: innanzitutto, ci sono le masse continentali che, con la loro estensione in un senso o nell’altro e con gli arcipelaghi ad esse collegati, frazionano la superfice acquea in vari oceani più o meno vasti e in numerosissimi bacini di dimensioni minori costituiti dai mari e dai laghi… E noi sappiamo quanto diversa sia l’interazione con l’atmosfera da parte delle superfici emerse rispetto quelle oceaniche o marine…

E poi ci sono le catene montane, le quali, formando delle barriere fisiche più o meno elevate ed estese, minano alla base l’unitarietà dell’atmosfera, e noi sappiamo che l’ambiente aereo in cui viviamo, la Biosfera, ha uno spessore assai sottile (meno di una decina di kilometri) che si rivela pertanto molto sensibile agli ostacoli.

Ebbene, tutti questi fattori contribuiscono a determinare le caratteristiche climatiche delle diverse aree del nostro pianeta, aree che chiameremo Comprensori climatici perché, pur essendo inevitabilmente collegati per reciproche influenze ai climi di altre aree, se ne distinguono tuttavia per determinate peculiarità e per una certa quale autonomia.

Prima, però, di affrontare l’argomento riguardante i Comprensori Climatici, è bene dare un’occhiata a dei fenomeni particolari, legati alla presenza delle Correnti Oceaniche in determinate zone del pianeta, fenomeni che condizionano la formazione dei deserti e degli uragani.

Osservando le mappe climatiche dell’intero pianeta, si può notare che le aree desertiche sono sempre situate ad Oriente delle zone interessate dalle Risorgive fertili: così il Sahara si trova ad Est del comprensorio vulcanico sottomarino delle Azzorre e delle Canarie, il deserto della Namibia è ad Est delle risorgive al largo del Sudafrica, il deserto di Atacama è ad Est delle risorgive che danno origine alla Corrente Sudequatoriale del Pacifico, il deserto della California è ad Est delle sorgenti della Corrente omonima.

Perché questo avvenga è presto detto: dovendo percorrere una circonferenza maggiore nelle 24 ore, alle alte quote la velocità di rotazione dell’aria attorno all’asse terrestre è notevolmente maggiore di quella della superfice dell’oceano, cosicché, calando di quota all’interno di un gorgo di alta pressione, la massa d’aria discendente si avvantaggia verso Est portando sul vicino continente la sua calura (acquistata per compressione durante la discesa) e la sua aridità, calura e aridità che caratterizzano le brezze torride che succhiano la vita alla vegetazione favorendo l’avanzata del deserto.

Da tale sequenza, sembrerebbero discostarsi i deserti del Medio Oriente e dell’Arabia, il deserto australiano ed il deserto della Mongolia: in realtà, però, i deserti del Medio Oriente si trovano ad Est dell’estesa area idrotermale sottomarina collegata ai vulcani dell’Egeo, il Deserto Arabico è ad Est delle risorgive fertili del Mar Rosso, i cui 33° d’estate e 26° d’inverno sono ben poca cosa a confronto con le temperature infernali che affliggono l’interno dell’Arabia e dell’Egitto, ed è appunto tale divario che produce la discesa di aria asciutta dalle alte quote, la quale, giunta al suolo ed espandendosi, produce le micidiali brezze torride che portano alla desertificazione.

Quanto al deserto australiano, esso si trova immediatamente ad Est della fredda Corrente Australiana Occidentale e a Sud-Est del vasto bacino idrotermale a Meridione di Giava.

Il vastissimo deserto della Mongolia, che comprende importanti porzioni della Cina e della Siberia meridionale, deve invece il suo clima arido all’enorme distanza dall’umidità esalata dai mari occidentali  (Mediterraneo, M. Nero e M. Caspio), dallo sbarramento delle correnti monsoniche operato dalla Catena Imalajana e dalla vicinanza  con la sede  dell’Anticiclone (continentale) Siberiano.

Per quanto riguarda l’origine degli Uragani (detti anche Cicloni e Tifoni) analizzando le mappe climatiche, notiamo che quegli spaventosi fenomeni nascono sempre lungo l’asse terminale delle Correnti Oceaniche calde: il fenomeno si spiega con l’allargamento del corso di dette correnti in prossimità degli ostacoli che ne frenano o bloccano la corsa, come catene di isole o coste continentali, allargamento che aumenta enormemente la superfice che cede calore all’aria soprastante, fondamentali sono poi il sopraggiungere di sempre nuova acqua calda in sostituzione di quella raffreddata dall’evaporazione, e l’enorme spessore delle  correnti stesse, spessore che garantisce una scorta energetica inesauribile.

Così, nell’Atlantico gli uragani si formano lungo il corso della calda Corrente della Guyana, che diventa poi Corrente dei Caraibi allargandosi nell’intrico delle isole; nel Pacifico si formano sulle scie finali delle calde Correnti Nordequatoriale (obiettivo Giappone) e Sudequatoriale (obiettivo Filippine, Indonesia e Cina) e sulla scia della calda Corrente Australiana Orientale (che colpisce duramente soprattutto il Nord-Est del Paese).

Infine, non potendo ovviamente affrontare in questa sede i fattori ambientali che determinano le caratteristiche di tutte le aree della Terra, ci limiteremo qui ad appuntare la nostra attenzione sul Comprensorio Climatico Nordatlantico.

Già dal nome si comprende che esso è delimitato ad Est dall’Europa (soprattutto quella centro-occidentale) e dal Nordafrica; ad Ovest dalla fascia caraibica del Sudamerica, dall’America Centrale e dalla fascia centrorientale del Nordamerica; a Nord dall’Artide e a Sud dall’Equatore.

Ovviamente, il protagonista principale del nostro studio è l’Atlantico centro-settentrionale, nel cui ambito, altre alla già nota (per noi) attività termoregolatrice attuata a livello locale dalla Corrente del Golfo e dalle sue Derivate, esistono due grandi poli di influenza climatica: la vasta Depressione d’Islanda e l’immenso spazio interessato dal cosidetto Anticiclone delle Azzorre.

Oltre ai “primi attori” però, è bene ricordare l’esistenza di altri fattori che, pur non avendo un ruolo primario, non sono tuttavia neppure delle semplici “comparse”: parlo dei mari interni, quali il Mediterraneo con i suoi vari bacini, il Mar Nero ed il Mar Rosso, e parlo delle montagne: la lunga catena dell’Atlante in Nordafrica disposta di traverso rispetto ai venti dominanti, l’Arco Alpino che i venti dominanti tende a fenderli, gli Appennini disposti un po’ di traverso, e tutte le altre catene montuose del continente europeo.

Il “motore” del clima del nostro Comprensorio è certamente la Depressione d’Islanda, la quale, quando si trova con le batterie al massimo come in questi primi mesi del 2014, è in grado di produrre ondate di maltempo a raffica, con cadenze di pochissimi giorni l’una dall’altra.

Questa Depressione è generata dall’intrusione, nelle fredde acque del Nordatlantico, dell’immenso fiume caldo costituito dalla Corrente del Golfo, le cui acque, scontrandosi con gli estesi basamenti sottomarini dell’Islanda e delle Isole Britanniche, sono costrette a risalire in massa verso la superfice, allargando così enormemente la loro area di contatto con la soprastante atmosfera.

Ed è attraverso tale contatto che avviene la straordinaria cessione di energia alla porzione di atmosfera stazionante in zona: riscaldata alla base, e divenendo perciò più espansa e leggera, l’immane massa d’aria si innalza sotto la spinta della pesante aria fredda circostante, la quale però si riscalda a sua volta alimentando così all’infinito il risucchio di aria da zone circostanti sempre più vaste… e qui entra in gioco la diversa velocità di rotazione attorno all’asse terrestre delle masse d’aria provenienti dalle diverse latitudini, diversità che determina il senso di rotazione antiorario del vortice depressionario[4].

La depressione generata dall'intrusione termica della Corrente del Golfo nelle gelide acque del Nordatlantico.

La depressione d’Islanda è generata dall’intrusione termica della Corrente del Golfo nelle gelide acque del Nordatlantico.

La Dorsale Nordatlantica emerge dalle acque a formare l'Islanda.

La Dorsale Nordatlantica emerge dalle acque a formare l’Islanda.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando detto vortice è ben cresciuto in spessore e in altezza, viene catturato dai venti dominanti da Ovest e spinto con forza contro il Continente Europeo dove, continuando a risucchiare aria da ogni parte, la sua azione è anticipata nella corsa dal braccio meridionale che costituisce il fronte caldo, il quale, oltre all’aumento della temperatura ambientale, provoca le vaste coperture nuvolose che danno piogge copiose e persistenti. Proseguendo la corsa del vortice verso Est, sopraggiunge un po’ in ritardo il braccio settentrionale delle spirali, il quale, oltre a rinfrescare repentinamente l’ambiente, con la sua aria fredda, pesante e poco umida (o addirittura asciutta) si insinua sotto l’aria carica di umidità lasciata dal fronte caldo e la solleva: all’inizio, tale azione dà origine a violente manifestazioni temporalesche ma, passate queste, avendo il sollevamento in quota spremuto l’umidità dell’aria[5], ritorna il  sereno.

Ovviamente, persistendo il pesante scambio energetico oceano-atmosfera a Sud dell’Islanda, la Depressione che da tale isola prende il nome continua la sua potente attività di attrazione e ciò, oltre alle conseguenze climatiche che abbiamo visto sul suo versante orientale, agisce a volte molto pesantemente anche sul versante occidentale dell’Atlantico: quando, infatti, il fronte freddo del vortice sia abbatte sulle coste orientali del Canada e degli USA sommandosi all’azione refrigerante portata sulle medesime coste dalla fredda Corrente del Labrador, le regioni nordorientali del continente americano vengono avvolte da un tremendo sudario di gelo; quando invece, sulle medesime regioni si abbatte il fronte caldo della Depressione, scorrendo in quota sullo strato gelido al suolo detto fronte si accanisce con copiosissime precipitazioni nevose.

Questa è la sequenza evolutiva di tutti i vortici perturbati generati dalla Depressione d’Islanda, il cui fronte di avanzata verso Est, a seconda della loro intensità e se non intervengono fattori di disturbo, può spaziare dal Nordafrica al Nordeuropa.

E questo è esattamente quanto vedremo nel prossimo articolo dal titolo I fattori di disturbo.


Note

[1]  Ricordiamo che, allontanandosi dall’Equatore mantenendo la velocità di rotazione attorno all’asse terrestre propria dei tropici, man mano che si spostano verso le latitudini elevate, le masse d’aria in quota si trovano a correre per inerzia ad una velocità superiore a quella della sottostante superfice del pianeta, sulla corsa della quale, perciò, si avvantaggiano, tanto che, giunte nella zona delle latitudini medie, la loro direzione di marcia è orientata decisamente ad Est dando origine alle cosidette “Correnti a getto”.

[2]  Ovviamente, la circonferenza dei paralleli aumenta man mano che ci si allontana dai poli cosicché, per un fenomeno analogo ma inverso rispetto a quello descritto nella nota precedente, partendo con una velocità di rotazione bassa per la vicinanza all’asse terrestre, le masse d’aria fredda dirette verso i tropici si attarderebbero per inerzia sempre più verso Ovest rispetto alla rotazione della sottostante superfice del pianeta, dando così origine ai venti Alisei.

[3] In realtà, per i motivi descritti alle note precedenti, il movimento delle due opposte correnti subisce un’interruzione a metà strada: qui infatti, nel suo moto circolare da Ovest ad Est, la calda corrente in quota perde progressivamente calore e si appesantisce scendendo fino a tornare al suolo dove subisce il risucchio verso Sud prodotto dal calore dei Tropici. Dalle medesime latitudini intermedie poi, a causa del forte divario fra la temperatura del suolo in quell’area rispetto alle zone polari, il gioco si ripete con correnti di aria mite che si innalzano di quota muovendo verso i poli in avvantaggiamento verso Oriente, e correnti fredde che scendono dai poli in attardamento verso Occidente.

Pur con quella interruzione intermedia, però, l’effetto glaciale sul clima terrestre non cambierebbe.

[4]  Dotata di una velocità di rotazione minima, la fredda aria proveniente dalle latitudini settentrionali tende ad attardarsi ad Ovest rispetto al centro depressionario che la risucchia, poi si mischia con la tiepida aria proveniente dalle zone occidentali (che ha la stessa velocità del centro depressionario) dando corpo al braccio della spirale detto fronte freddo. Dal canto suo, l’aria calda e umida proveniente dalle latitudini meridionali è dotata di una velocità di rotazione maggiore, per cui tende ad avvantaggiarsi verso Est rispetto al centro depressionario, poi, mischiandosi con l’aria tiepida proveniente dalle zone orientali, va a formare il braccio della spirale detto fronte caldo, il quale, analogamente a quello freddo, si precipita con foga verso il centro della depressione incrementando l’energia termica che alimenta l’immane vortice.

[5] È noto che la quota di umidità in sospensione nell’aria è direttamente proporzionale alla temperatura ed alla pressione dell’aria stessa, pertanto, quando questa viene spinta in alto, la sua pressione diminuisce e con questa anche la temperatura, e ciò fa condensare e precipitare l’umidità tanto più rapidamente e violentemente quanto rapida è la risalita, dopo di che, esaurita la disponibilità di vapore acqueo, torna il sereno.

Clima 5: le correnti oceaniche “secondarie”

(sintesi di alcuni articoli pubblicati sul Giornale di Vicenza nel 1990)

Nel Golfo di Guinea, difronte alle coste degli Stati centroafricani, è attivo un raggruppamento di vulcani sottomarini corredato da notevoli apparati idrotermali, la cui attività dà vita ad una vasta risalita di acque abissali che, col loro attardamento, danno a loro volta origine alla cosidetta Corrente Equatoriale Atlantica, la quale costituisce il tipico modello di quella, che definirei “Corrente Primaria” od anche “Corrente Madre”, poiché da essa prendono poi origine due “Correnti Figlie” o “Secondarie”.

Mappa delle correnti oceaniche nell’Atlantico: si noti la vasta Corrente Equatoriale che, da fredda nel Golfo di Guinea, diventa calda al largo del Brasile, a nord del quale si dirige la sua diramazione più larga. (da World Atlas dell’Enciclopedia britannica).

Mappa delle correnti oceaniche nell’Atlantico: si noti la vasta Corrente Equatoriale che, da fredda nel Golfo di Guinea, diventa calda al largo del Brasile, a nord del quale si dirige la sua diramazione più larga. (da World Atlas dell’Enciclopedia britannica).

Non ostante la sua vastità[1] e non ostante la carica di sali minerali che rendono fertili le sue acque, nel primo tratto del suo percorso verso Ovest questa Corrente non appare granché insolita, tuttavia, durante la traversata del medio Atlantico, essa naviga a lungo sopra il tratto equatoriale della Dorsale Medio Atlantica[2], dalle cui emissioni riceve un apporto idrico e termico di un’imponenza straordinaria.

Rilevamento radar del fondale atlantico, dal quale si nota il tratto della Dorsale che corre quasi esattamente lungo la linea dell’Equatore, aumentando in tal modo la portata idrica e termica della Corrente Equatoriale. (da Atlante geografico Rizzoli-Zanichelli).

Rilevamento radar del fondale atlantico, dal quale si nota il tratto della Dorsale che corre quasi esattamente lungo la linea dell’Equatore, aumentando in tal modo la portata idrica e termica della Corrente Equatoriale. (da Atlante geografico Rizzoli-Zanichelli).

Giunta a ridosso della piattaforma continentale sudamericana e cozzando contro il Nordest del Brasile, questa colossale massa d’acqua in apparente moto verso Ovest si divide in due possenti “rami”, che da questo punto, sotto la spinta continua di altra acqua, sono costretti ad abbandonare la rotta materna ed a muoversi seguendo due opposte direzioni.

Il “ramo” meridionale, infatti, viene deviato verso Sud e, muovendosi ora non più per attardamento ma con moto proprio (derivante però dalla spinta prodotta dall’inarrestabile sopraggiungere di altra acqua portata dalla “Corrente madre”), segue per lunghissimo tratto la costa del Sudamerica prendendo il nome di Corrente Brasiliana (corrente che gioca un ruolo fondamentale sul clima di quel continente[3]) per poi dare luogo alla Corrente Circumantartica.

Temperature nel mese di febbraio in una sezione  della corrente del Golfo al  largo di ChesaPeake Bay (Florida) secondo le misure della Atlantis.

Temperature nel mese di febbraio in una sezione della corrente del Golfo al largo di ChesaPeake Bay (Florida) secondo le misure della Atlantis.

Pur deviando lievemente a Nord rispetto alla rotta “materna”, l’altro “figlio” della Corrente Equatoriale, il più robusto, continua col suo “moto apparente per attardamento” verso Ovest[4], assumendo dapprima il nome di Corrente della Guiana e poi quello di Corrente dei Caraibi, e con tale nome esso si inoltra nel Golfo del Messico, dove termina la sua corsa poiché la lieve striscia montuosa dell’America Centrale non solo gli impedisce di proseguire verso Ovest, ma gli imprime pure la velocità di rotazione attorno all’asse terrestre propria di quella latitudine.

Si noti la grande profondità a cui giungono le acque calde trasportate dalla corrente del Golfo, la cui portata è di ben 4 Kilometri cubi al minuto ed una velocità, nello stretto fra Cuba e la Florida, di ben 8 Km orari.

Da questo momento quindi, non muovendosi più per attardamento rispetto alla rotazione terrestre, anche questo ramo della Corrente Equatoriale Atlantica cessa la sua esistenza come Corrente Primaria e, sotto la spinta della pressione prodotta all’interno del Golfo del Messicco dall’inarrestabile afflusso di acqua portato dalla Corrente dei Caraibi, trova una via d’uscita attraverso lo stretto fra la Florida e l’isola di Cuba.

Nasce così la nuova Corrente nota col nome di Corrente del Golfo, che tanta importanza riveste per il clima dell’intero Comprensorio Nordatlantico e in particolare per l’Europa Nordoccidentale.

Mossa dunque dalla spinta della pressione idrostatica permanente nel Golfo del Messico, spinta che fa di essa una Corrente Secondaria, la Corrente del Golfo si muove dapprima costeggiando la piattaforma continentale del Nord America, poi, man mano che, col crescere della latitudine, si trova a percorrere circonferenze sempre più brevi attorno all’asse del globo, grazie alla sua maggiore velocità iniziale devia gradualmente verso Oriente fino a che, cozzando contro la piattaforma delle isole britanniche, si divide in due rami: di questi, uno si mantiene sull’Atlantico e, pur continuando la sua marcia verso Est, va ad aggredire con la sua carica termica la calotta artica,[5] mentre l’altro si divide a sua volta in due diramazioni, la maggiore delle quali si infila nel Canale della Manica per mitigare il clima del Nord Europa, mentre l’altra vira a Sud attirata dall’immane circuito mosso dalle risorgive fertili attivate dal vasto bacino vulcanico delle Azzorre e delle Canarie.

Non è il presunto riscaldamento dell’aria ai poli che aggredisce i ghiacci: che li scioglie è il calore dell’acqua in cui essi sono immersi.

Non è il presunto riscaldamento dell’aria ai poli che aggredisce i ghiacci: che li scioglie è il calore dell’acqua in cui essi sono immersi.

Per quanto riguarda invece la Corrente Circumantartica, il discorso è più complesso di quanto potrebbe apparire dalle semplicistiche raffigurazioni, che di solito si trovano negli atlanti.

Come suggerisce la presenza di vari apparati vulcanici lungo la fascia perimetrale della sua piattaforma continentale, attorno all’Antartide esistono sicuramente le condizioni per la formazione di una o più Correnti Primarie per attardamento, la cui indubbia esistenza è testimoniata dalla fertilità delle acque dell’intera area; tuttavia, a causa dell’elevata latitudine e, di conseguenza, a causa della forte inclinazione della superfice dell’area stessa rispetto all’asse terrestre, la differenza fra la velocità di rotazione della superfice e quella del fondo del mare è minima, cosicché la tendenza all’attardamento per inerzia delle acque in risalita è molto debole…

Mappa del Continente antartico sulla quale si notano varie aree vulcaniche (triangolini rossi) che danno origine a numerose ma deboli Correnti in attardamento (frecce sotto costa puntate in senso antiorario) le quali vengono subito catturate dalla Corrente Cir-cumantartica che scorre più al largo (frecce puntate in senso orario). (dal Novissimo Atlante geografico mondiale del Touring Club Italiano)

Mappa del Continente antartico sulla quale si notano varie aree vulcaniche (triangolini rossi) che danno origine a numerose ma deboli Correnti in attardamento (frecce sotto costa puntate in senso antiorario) le quali vengono subito catturate dalla Corrente Cir-cumantartica che scorre più al largo (frecce puntate in senso orario). (dal Novissimo Atlante geografico mondiale del Touring Club Italiano)

Schema grafico che mostra la progressiva riduzione del divario di velocità di rotazione attorno all’asse terrestre fra superfice e fondo oceanico.

Schema grafico che mostra la progressiva riduzione del divario di velocità di rotazione attorno all’asse terrestre fra superfice e fondo oceanico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le linee rosse disposte a raggera indicano il dislivello effettivo superato dalle acque fertili in risalita; le linee brune orizzontali indicano l’effettivo allontanamento (alle diverse latitudini) delle masse d’acqua in risalita dal livello di rotazione iniziale sul fondo, livello rappresentato dalle sottili linee verticali nere parallele all’asse di rotazione.

 Ed è appunto tale debolezza che impedisce loro di vincere l’impeto della calda Corrente Brasiliana, la quale, giunta in prossimità dell’Antartide, ha orientato la propria rotta decisamente verso Est, cosicché, avvantaggiata dalla elevata velocità  di rotazione attorno all’asse terrestre[6] grazie alla minore circonferenza da percorrere alle latitudini elevate, la cospicua massa delle sue acque ha buon gioco nel travolgere e trascinare con sé le deboli risorgive fertili presenti in zona, dando luogo alla Corrente Circumantartica famosa per la sua pescosità.

Al pari della Corrente del Golfo, anche questa corrente è potenzialmente pericolosa per i ghiacci polari, tuttavia, dato che questi sono in gran parte situati al sicuro sulla terraferma, e dato che la temperatura delle sue acque è mitigata dal rimescolamento con quelle fredde delle Risorgive Fertili, la sua azione demolitrice verso la copertura glaciale del Polo Sud è meno incisiva.

Riguardo, infine, allo straordinario andirivieni delle correnti oceaniche nell’area tropicale del Pacifico, osservando la mappa di dette correnti notiamo che, all’estremità orientale tanto della corsia Nord[7] quanto di quella Sud, esistono due vaste aree di risorgiva fertile, le cui acque fresche formano a Nord la Corrente (primaria) della California (famoso vivaio per le balene, che qui, per la fertilità delle acque, trovano abbondanza di nutrimento) la quale assume poi il nome di Corrente Nord-equaroriale, e a Sud la Corrente (primaria) Sudequatoriale meglio nota come La Niña (anche questa famosa per la pescosità delle sue acque, finché non si arresta di tanto in tanto per dare luogo a El Niño portatore di carestia).

Durante la lunghissima traversata oceanica sotto i raggi cocenti del Sole dei Tropici, le acque di entrambe le correnti si riscaldano fino a raggiungere la temperatura normale per quella latitudine e, una volta giunte a ridosso degli arcipelaghi che formano l’immenso Arco Vulcanico ad Est dell’Asia e dell’Australia, pur subendo un forte rallentamento riescono in parte ad intrufolarsi nei numerosi varchi fra le isole e a passare oltre, verso l’oceano Indiano, incrementando con la propria, la carica termica e la portata delle numerose risorgive fertili generate dagli innumerevoli apparati idrotermali attivi nell’ambito di detto arco vulcanico.

Il settore occidentale delle correnti oceaniche del Pacifico  (dal Grande Atlante di Selezione dal Reader’s Digest)

Il settore occidentale delle correnti oceaniche del Pacifico  (dal Grande Atlante di Selezione dal Reader’s Digest)

 

A causa, però, dell’ingorgo prodotto della barriera di isole che ne ostacola il deflusso verso Ovest, e pressate dalla spinta incessante delle Correnti Madri, le acque della parte più esterna della Corsia Nord deviano verso Settentrione dando vita alla Corrente Secondaria detta Curo Shio (Corrente Nera) la cui carica termica va a contribuire così all’aggressione della Calotta Artica, mentre le acque più esterne della Corsia Sud, ostacolate dalla piattaforma che regge le innumerevoli isole del Pacifico meridionale, già da tempo hanno cominciato a disperdersi verso Sud.

Ma non è tutto: le due Correnti Primarie testé descritte scorrono[8] ben discoste l’una dall’altra, cosicché tra di loro c’è spazio sufficiente per il riflusso dell’acqua in esubero sul fronte della Corrente Sudequatoriale, acqua che, costretta a tornare verso Est, dà origine alla Corrente Secondaria detta Controcorrente Equatoriale, il cui percorso coincide dunque con quello che, con termine di carattere stradale, potremmo definire “lo spartitraffico” fra le corsie Nord e Sud.

Chiarito il problema costituito delle origini delle Correnti Oceaniche, appare ovvio che ci si debba ora occupare dell’influenza, che tali Correnti esercitano sul clima delle diverse aree che attraversano, aree che, quando sono sufficentemente vaste e in certo qual modo autonome rispetto al resto del globo[9], in questo studio saranno per semplicità definite Comprensori Climatici.


Note

[1]  La vastità di queste Correnti supera in larghezza quella degli agglomerati vulcanici che le hanno generate, e questo a causa dell’attrito con le acque circostanti che, seguendo più velocemente la rotazione terrestre, oppongono loro resistenza provocando l’allargamento del loro fronte sotto la spinta incessante del sopraggiungere di altre acque.

[2] Quel tratto della Dorsale Atlantica si estende per qualche migliaio di chilometri in direzione quasi parallela all’Equatore, ed il suo immenso apparato idrotermale produce una quantità inimmaginabile di acqua caldissima ricca di minerali in sospensione, la quale, risalendo verso la superfice, va ad incrementare in modo straordinario la portata idrica e termica della Corrente Equatoriale Atlantica.

[3] Lasciamo per il momento questa corrente secondaria per parlare della sua “gemella”, riservandoci però di tornare ad interessarci di essa più taldi per il ruolo che essa gioca nei movimenti delle acque dell’Emisfero Sud.

[4] Continuando nel moto apparente per attardamento, questo ramo della Corrente Equatoriale Atlantica mantiene per il momento la caratteristica delle Correnti primarie.

[5] Ed è appunto questo fatto che provoca lo scioglimento dei ghiacci polari, mentre, come vedremo in altro articolo, il riscaldamento globale è semmai una conseguenza della riduzione delle superfici glaciali che riflettono l’energia solare,

[6] Ricordiamo che la velocità di rotazione di questa corrente attorno all’asse terrestre è ancora quella impostale dall’orto con la costa brasiliana da cui essa ha avuto origine, velocità, dunque, adeguata alle latitudini tropicali e molto superiore a quella necessaria per compiere la stessa rotazione giornaliera nell’area circumantartica.

[7]  Mi si perdoni l’uso di termini “stradali”, ma la fascia tropicale del Pacifico ricorda proprio un’autostrada a più corsie con sensi di marcia opposti, cosicché i termini di uso stradale risultano di più immediata comprensione.

[8] Ricordiamo che il verbo “scorrere” è usato qui solo in senso figurato, poiché in realtà entrambe le Correnti sono solo in attardamento rispetto alle acque stanziate a quella latitudine in accordo con la velocità di rotazione terrestre.

[9] In realtà, sulla superfice della Terra non esistono aree climatiche autonome, poiché ognuna di esse è soggetta all’influenza “a catena” di ciò che avviene in tutte le altre, tuttavia, grazie all’esistenza di barriere fisiche (come le grandi catene montuose) alcune di esse godono di una certa autonomia, che rende il loro clima particolare.