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L’ORIGINE DEL TERRITORIO VICENTINO ED I SUOI MINERALI

Come i mattoni che formano un muro, pur essendo saldamente cementati fra di loro, rimangono chiaramente distinguibili gli uni dagli altri, così i Minerali, che sono i componenti delle Rocce, all’interno di queste conservano la loro identità individuale: ad esempio, nel Granito, che è una roccia plutonica molto robusta, sono chiaramente distinguibili la Biotite (di colore nero), l’Ortoclasio (di colore rosa), l’Albite (di colore bianco), ed il Quarzo (incolore).
A loro volta, i minerali sono formati da vari Elementi; questi però sono così intimamente legati fra loro da formare un tutto uniforme: così ad esempio, in un cristallo di Calcite non è possibile distinguere il Calcio, il Carbonio e l’Ossigeno che la compongono.
Ogni tipo di roccia ha la sua combinazione caratteristica di minerali, la quale è dovuta alle condizioni che si sono verificate nel territorio al momento della sua formazione e ciò consente, a Chi conosce i minerali e le rocce, di leggere in essi la Storia degli avvenimenti che hanno portato alla loro formazione.

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El Niňo e la morte dei coralli

Fg. 1: Le barriere coralline, che prosperano in acque pulite e ricche di nutrienti, ospitano una varietà infinita di organismi meravigliosi.

Fg. 1: Le barriere coralline, che prosperano in acque pulite e ricche di nutrienti, ospitano una varietà infinita di organismi meravigliosi..

L’idea che, a provocare la Morte dei Coralli, sia l’aumento della temperatura delle acque causato dal famigerato Riscaldamento Globale, è ormai accettata universalmente, tanto che la si trova riportata nero su bianco in tutti i testi più recenti di Geografia Fisica.

In detti lavori, però, la spiegazione dei fenomeni appare alquanto nebulosa e talvolta contraddittoria, quasi che, intuendo forse l’inconsistenza della teoria, gli Autori si sentano tuttavia obbligati a sostenerla in qualche modo poiché essa è la sola accettata universalmente(1).
A suffragio di detta teoria, vari Autori portano l’esempio della nefasta influenza, che i coralli subirebbero dall’avvento del fenomeno detto El Niño(2) combinato con l’ENSO (l’Oscillazione della pressione atmosferica nell’area centro-meridionale del Pacifico), e lo fanno con date precise e col nome di luoghi in cui sono avvenuti lo sbiancamento e la morìa dei polipi corallini.
Uno di quei casi sarebbe avvenuto nei mesi a cavallo degli anni 1982-83, quando, oltre a violenti sconvolgimenti climatici in tutto il globo definiti i più disastrosi in epoca storica, ed oltre ad estese morìe di pesci e uccelli, El Niño avrebbe causato lo sbiancamento e la morte dei coralli fin lungo le isole dell’Oceano Indiano, e tutto ciò spingendo, su una fascia del Pacifico equatoriale lunga 12.800 Km, una vasta ondata di acqua calda con temperature fino a 8°C superiori a quelle normali!
E allora viene da chiedersi: “Ma quelle temperature definite “normali” sono veramente normali?”
Una situazione simile a quella, che abitualmente avviene nel Pacifico in assenza del Niño, si verifica anche nell’Atlantico dove, proprio in corrispondenza del percorso della Corrente Equatoriale, la temperatura superficiale dell’oceano presenta una diversità di ben 9 gradi fra quella fresca rilevata abitualmente nella parte Est dell’oceano (appena 16 gradi) rispetto a quella calda rilevata ad Ovest (25 gradi), e ciò fa pensare che i due fenomeni, così simili, non siano dovuti ad una fortuita coincidenza…
E dunque viene da chiedersi: quale sarebbe la temperatura da ritenere normale per quelle aree dei due oceani interessate da quei fenomeni?… È la temperatura più fresca rilevata ad Est oppure è quella più calda ad Ovest?
Per rispondere alla domanda, occorre ricordare che le temperature superficiali degli oceani sono spesso alterate dal rimescolamento delle acque prodotto dalle correnti, cosicché, per avere una risposta credibile, bisogna confrontare le temperature in oggetto con quelle rilevabili nei bacini marini non disturbati dalle correnti: ebbene, in area tropicale, detti tranquilli bacini presentano valori di temperatura superficiale compresi fra i 26 e i 28 gradi.
Dunque, appare evidente che, nella fascia tropicale, le temperature da considerare normali sono sicuramente quelle più alte!… Pertanto, se nel settore Est della fascia tropicale del Pacifico, la temperatura delle acque è abitualmente inferiore a quella che normalmente dovrebbe essere sotto l’azione del Sole, è evidente che è tale situazione che costituisce una anomalia termica, benché essa sia un fatto abituale, mentre il ritorno alla temperatura più calda col Niño costituisce un ritorno alla normalità, benché esso sia un evento temporaneo.
Di tutto questo, però, sembra che gli Studiosi non si rendano conto…

Fg. 2  Nella fascia tropicale dell’oceano Pacifico è evidenziata con due tonalità di rosa l’area interessata da El Niño, il fenomeno oceanico considerato una dannosa corrente calda.

Fg. 2 Nella fascia tropicale dell’oceano Pacifico è evidenziata con due tonalità di rosa l’area interessata da El Niño, il fenomeno oceanico considerato una dannosa corrente calda.

L’equivoco nasce dal fatto che, considerando normale lo stato abituale delle temperature superficiali degli oceani rilevate mediante i satelliti, appena questo stato si modifica, viene considerato una anomalia. E ciò benché le acque del Niño raggiungano i 28 gradi, che costituiscono la temperatura normale per quella latitudine quando l’area non è disturbata dalla “fertile” e fresca Corrente Equatoriale (la cui temperatura iniziale è abitualmente di soli 18-19 gradi)..
In tal modo, essi rappresentano con un medesimo tono di colore le diverse situazioni termiche abitualmente presenti nel Pacifico (si veda, nella figura 2, l’omogenea tonalità azzurrina che ricopre tutti gli oceani non evidenziando le innegabili diversità di temperatura rilevate dalle isoterme nella figura 3) diversità dovute alla varia inclinazione dei raggi solari sulla superfice oceanica alle diverse latitudini, ed evidenziano invece con varie gradazioni di rosso il saltuario ritorno della normalità termica dovuta al Niño nella fascia tropicale del Pacifico, producendo così la fuorviante impressione di un surriscaldamento abnorme della medesima area, impressione, alla cui suggestione sembra che gli inconsapevoli Studiosi non sappiano sottrarsi, tanto che nessuno di essi si chiede mai: “Ma surriscaldamento dovuto a cosa, se nei diversi settori della superfice oceanica posti alla medesima latitudine, il Sole picchia con la stessa intensità?

fg. 3  Le diverse temperature della superfice degli oceani sono perfettamente note alla Scienza e accuratamente mappata: perché, allora, non vengono evidenziate con tonalità diverse di colore in modo da non ingenerare equivoci e inammissibili fraintendimenti?

fg. 3 Le diverse temperature della superfice degli oceani sono perfettamente note alla Scienza e accuratamente mappata: perché, allora, non vengono evidenziate con tonalità diverse di colore in modo da non ingenerare equivoci e inammissibili fraintendimenti?

Anche su internet troviamo che uno Studioso di una prestigiosa Università americana(2) attribuisce allo stesso episodio del Niño del 1998, la moria di coralli che colpì l’arcipelago delle Maldive e molte altre aree dell’Oceano Indiano.
Ebbene, tale ipotesi sembra alquanto azzardata, poiché, oltre alla sterminata distanza esistente fra le isole dell’Oceano Indiano e l’area di origine del Niño, lo stesso oceano è separato dal Pacifico dalla possente barriera costituita dagli arcipelaghi delle Filippine e dell’Indonesia; dunque, appare verosimile che la moria di coralli negli arcipelaghi indiani sia una semplice coincidenza con l’avvento del Niño nel Pacifico, coincidenza dovuta a cause locali prodotte dal fatto, che anche quelle isole dell’oceano Indiano sono di origine vulcanica, così come i menzionati arcipelaghi indonesiano e filippino che le proteggono dalle correnti del Pacifico, i quali sono entrambi ricchissimi di vulcani attivi fra i più temibili al mondo(3) .
Quanto sia confusa quella teoria è suggerito da ciò che scrivono altri Autori, i quali, sostenendo la medesima tesi circa l’influenza del Niño sulla decadenza vitale dei coralli, riguardo alla connessione fra El Niño ed ENSO dicono però che: «Sebbene la connessione non fosse sempre rilevabile, tutti questi avvenimenti furono attribuiti alla combinazione El Niño/ENSO»… Dunque, la mancata rilevazione di detta connessione lascia intendere che l’attribuzione di colpa a El Niño è quantomeno arbitraria, frutto di opinioni personali non suffragate da prove scientifiche.

Fg. 4  Ipotesi ufficiale del fenomeno del Niño.

Ma quale potrebbe essere la causa che dà origine al Niño? Da molti anni, l’ipotesi prevalente sembra essere quella che incomprensibilmente indica i colpevoli nei venti Alisei (fg. 4 sopra) i quali, scavalcando da est la Catena Andina dell’Equador e del Perù, produrrebbero ad Ovest di queste una sorta di vuoto simile a quello che si forma dietro le automobili veloci, vuoto che risucchierebbe verso la superfice acque abissali fredde e ricche di nutrienti minerali, le quali, spinte verso Ovest dalla persistente azione degli Alisei, darebbero origine alla fresca e fertilissima Corrente Equatoriale del Pacifico, quella che i pescatori equadoregni e peruviani chiamano La Niña…
Quando, dunque, per qualche motivo gli Alisei cessano di soffiare, ad ovest delle Ande non si formerebbe più il vuoto e questo non richiamerebbe più in superfice le fresche e fertili acque abissali che formano la Niña…
Già il fatto che agli Alisei sia attribuita la capacità di produrre, ad Ovest delle Ande, una depressione tale da risucchiare verso la superfice oceanica le fredde acque abissali (pesanti per l’alto contenuto di sali minerali) è una cosa che lascia perplessi: con una velocità media di 5 metri a secondo, infatti, velocità pari a circa 18 Km orari, difficilmente gli Alisei avrebbero la forza di produrre la straordinaria depressione che viene loro attribuita, spece considerando che il loro fronte di azione è diviso dalla larga fascia definita equatore termico, al cui interno gli Alisei si riducono a deboli brezze o addirittura cessano del tutto.
Ma poi, se fossero gli Alisei il motore che forma la Niña e la spinge verso Ovest, quale dovrebbe essere la forza che darebbe origine a quella che è definita la “vasta ondata di acqua calda che, inoltrandosi nel Pacifico equatoriale“ formerebbe El Niño? Certamente, non la forza di venti occidentali contrari agli Alisei, perché quei venti si muoverebbero in direzione opposta a quella attribuita al Niño, e dunque? La domanda sembrerebbe destinata a non avere risposta!

Fg 5 Si noti l'alta concentrazione di vulcani fra Galapagos, Equador e Perù.

Fg 5 Si noti l’alta concentrazione di vulcani fra Galapagos, Equador e Perù.

C’è anche un’altra domanda che richiede una spiegazione seria: poiché l’imponente Cordigliera delle Ande costeggia tutta la sponda sud-americana del Pacifico, perché mai solo in corrispondenza della costa equadoregna e peruviana si verificano i fenomeni detti el Niño e la Niña?… Cosa c’è su quel limitato tratto di costa che non esiste su tutto il resto della sponda sudamericana del Pacifico?

La risposta è semplice: lungo quella costa, c’è una straordinaria concentrazione di grandi vulcani attivi (tanto che sulle Ande equadoregne se ne contano più di 50) e i vulcani sono numerosi anche al largo di essa, in corrispondenza del vicino Arcipelago delle Galapagos.
Ebbene, alla base di quelle due estese concentrazioni vulcaniche è abitualmente attivo un vastissimo apparato idrotermale, il quale vomita negli abissi acque caldissime arricchite di nutrienti minerali.
Data la loro altissima temperatura iniziale (intorno ai 400°), quelle acque schizzano verso l’alto disperdendo per via calore e nutrienti, coinvolgendo così nella risalita masse crescenti di altra acqua fertilizzata, la cui temperatura però decresce in proporzione inversa al loro volume, cosicché alla fine esse presentano una temperatura inferiore rispetto a quella delle acque superficiali riscaldate dal Sole: attardandosi però per inerzia rispetto alla rotazione terrestre, le fertili acque risalite dagli abissi scorrono sotto le calde acque superficiali, alle quali si mescolano poi per attrito abbassandone la temperatura e trascinandole con sè verso Ovest.

Fg 6  Il Plancton costituisce la delicatissima base su cui poggia tutta la catena alimentare marina: nell'acqua "fertile", il fitoplancton trasforma i nutrienti minerali in sospensione nella sostanza organica di cui si nutre lo zooplancton, ed entrambi forniscono, direttamente o indirettamente, il cibo a tutti gli animali superiori, dal pesciolino più piccolo al più grande predatore... E tutto grazie ai nutrienti minerali trasportati in giro fra mari ed oceani dalle acque "iniettate" negli abissi dai comprensori idrotermale "attivi" collegati ai grandi apparati vulcanici sottomarini o prossimi alle coste.

Fg. 6 Il Plancton costituisce la delicatissima base su cui poggia tutta la catena alimentare marina: nell’acqua “fertile”, il fitoplancton trasforma i nutrienti minerali in sospensione nella sostanza organica di cui si nutre lo zooplancton, ed entrambi forniscono, direttamente o indirettamente, il cibo a tutti gli animali superiori, dal pesciolino più piccolo al più grande predatore… E tutto grazie ai nutrienti minerali trasportati in giro fra mari ed oceani dalle acque “iniettate” negli abissi dai comprensori idrotermale “attivi” collegati ai grandi apparati vulcanici sottomarini o prossimi alle coste.

Risalendo verso la superfice, infatti, le acque abissali si allontanano dall’asse di rotazione terrestre, trovandosi così a dover percorrere nelle 24 ore circonferenze sempre più lunghe rispetto a quella che percorrevano sul fondo degli abissi e questo, tendendo esse a mantenere per inerzia la velocità di rotazione iniziale(4), ne provoca un progressivo attardamento rispetto all’ambiente circostante… Ed è così che ha origine la Niña, la corrente fresca portatrice di vita rigogliosa per le creature del mare e prosperità per la locale industria della pesca.
Dunque, il Vero Motore di questa come di altre Correnti Oceaniche non è costituito dai venti dominanti o da altre fantasiose cause, ma è l’attardamento per inerzia verso ovest delle acque abissali in risalita dal fondo degli oceani!

Quando tuttavia, alla base della su menzionata concentrazione di vulcani, avviene una forte riduzione o addirittura una cessazione dell’attività idrotermale(5), si riduce fortemente o addirittura cessa anche la risalita dagli abissi dell’acqua fertile, cosicché, rimanendo immobile sotto il Sole dei Tropici, la superfice dell’oceano viene riscaldata fino a riportarne la temperatura ai livelli naturali per quella latitudine, mentre la carenza o la mancanza di nutrienti in risalita dal fondo semina strage nell’ambiente sommerso, provocando apocalittiche morìe del plancton, dei pesci che di esso si nutrono e di quelli di cui gli stessi sono preda, e poi degli uccelli che dei pesci si cibano e, infine, anche dei coralli i quali, pur se situati lontanissimi dall’area da cui hanno origine le acque fertili, non ricevendo più il consueto nutrimento deperiscono sbiancandosi per morire poi d’inedia.
Dunque, la vera causa di questa immane tragedia è la stasi delle grandi emissioni idrotermali da parte dei comprensori vulcanici peruviano, equadoregno e delle Galapagos, stasi a cui consegue l’immobilità delle acque evidenziata dal riscaldamento solare della loro superfice: e nasce El Niño!

Note

1 Un comportamento simile da parte degli Studiosi è stato notato anni fa, subito dopo che due noti scienziati dettero al mondo il sensazionale annuncio della realizzazione della “fusione a freddo”: subito, infatti, numerosi loro colleghi vollero ripetere l’esperimento secondo le modalità indicate dagli eroi del momento, e molti di loro riferirono esultanti di esserci riusciti. Dopo qualche tempo, però, essendo stato accertato da Istituti Scientifici seri, che l’esperimento non funzionava, sull’intera faccenda scese il silenzio, e molti sperarono che tutto finisse nell’oblio.

2 Fra tanti altri, tale argomento è riportato anche in un ponderoso volume pubblicato nel 2002 da un paio di Autori di Area anglosassone, Area dalla quale, si sa, provengono le teorie più varie, le quali di regola, dal Mondo Scientifico internazionale vengono accolte con ossequio-sa reverenza, come fossero rivelazioni ispirate dal Celo (e la Scienza italiana non fà eccezione). (NB: non cito mai il nome degli Autori dalle cui teorie dissento per correttezza nei loro confronti, affinché non si sentano attaccati personalmente senza che su queste pagine possa essere loro garantito il diritto di replica).

3 Sulla fondamentale importanza degli apparati vulcanici (spece quelli sottomarini) nella genesi delle correnti oceaniche abbiamo già parlato in altri articoli, comunque, riparleremo della cosa anche in questo.

4 Ovviamente, dovendo muoversi in acque dotate di velocità di rotazione crescente man mano che risalgono dall’abisso, le acque di origine idrotermale ne subiscono in parte il trascinamento, cosicché, giunte alla superfice, esse non conservano la loro bassa andatura iniziale ma sono un po’ meno lente, ed è questa loro lentezza che le fa apparentemente muovere verso Ovest!

5 È possibile che quella riduzione dell’attività idrotermale sia provocata da un forte calo della pressione interna all’apparato vulcanico, calo dovuto verosimilmente allo sfogo della stessa pressione prodotto da qualche prolungata eruzione (sia essa sub-aerea o sottomarina) che si verifica in zona. Questa ipotesi, lo dico per i Professionisti della Ricerca scientifica, meriterebbe una attenta verifica da parte dei Vulcanologi, ai quali non dovrebbe risultare difficile individuare, in quell’area, l’eventuale evenienza di eruzioni vulcaniche (siano esse subaeree o sottomarine) nell’immediata precedenza e in concomitanza con l’avvento del Niño.

La morte dei coralli

Esempi di coralli

Fg. 1 Una barriera corallina in salute presenta una fittissima e straordinaria varietà di forme viventi, le quali la rendono tanto meravigliosa da non temere confronti con qualsiasi altro luogo della Terra

In un documentario (inglese?) dal titolo OCEANI (messo in onda da RAI 5 l’8 gennaio 2015), durante una spedizione di studio nel Mar Rosso meridionale, due scienziati (un uomo e una donna) si immergono in profondità fra le pareti del baratro tettonico che separa la placca continentale africana da quella araba.
Entrando nella zona più angusta di una profonda spaccatura, larga forse solo tre metri, essi vi rilevano una temperatura dell’acqua straordinariamente elevata, intorno a 34 gradi C., temperatura che, secondo l’opinione corrente della Scienza, dovrebbe causare la morte dei coralli della zona poiché, in tutte le barriere coralline in cui si verifica lo sbiancamento dei coralli seguito dalla loro morte, l’ambiente è caratterizzato dall’innalzamento della temperatura delle acque attribuito, neanche a dirlo, dal famigerato Riscaldamento Globale.
Secondo la Scienza infatti, provocando l’innalzamento delle temperature degli oceani, il Riscaldamento Globale ucciderebbe le microalghe simbiotiche dei coralli che, grazie alla fotosintesi clorofilliana, producono il nutrimento dei polipi corallini, i quali, con la loro scomparsa, prima perderebbero il colore e poi morirebbero d’inedia.
Ebbene, con somma meraviglia dei due scienziati del documentario, nell’area calda da essi esplorata i coralli sono invece in pieno rigoglio, tanto che di notte, esposti alla luce ultravioletta, essi risplendono meravigliosamente per la loro fluorescenza.
Come si spiega tale contraddizione ai dettami della Scienza?
Un tentativo di risposta viene suggerita dagli stessi due studiosi, che riportano quanto sostiene la teoria di non so quale rispettabilissimo scienziato, secondo il quale sarebbe la fluorescenza che, proteggendo in qualche modo le microalghe dalla forza letale del Sole, ne garantirebbe la salute anche in ambiente avverso, consentendo in tal modo anche la sopravvivenza dei polipi del corallo.
Sarà!… Ma le cose stanno veramente così?…
In realtà, infatti:

emissioni di vapore ad altissima temperatura da uno "sfiato" idrotermale alla base di un comprensorio vulcanico abissale. La densità ed il colore del getto lasciano facilmente intendere quanto forte sia la carica di composti minerali che donano elevata fertilità alle acque in risalita dal fondo (a destra), fertilità che garantisce un'elevatissima capacità di sostentamento della flora e della fauna nell'area marina interessata dal fenomeno.

Fg. 2 emissioni di vapore ad altissima temperatura da uno “sfiato” idrotermale alla base di un comprensorio vulcanico abissale. La densità ed il colore del getto lasciano facilmente intendere quanto forte sia la carica di composti minerali che donano elevata fertilità alle acque in risalita dal fondo. 

1- La fluorescenza delle microalghe è prodotta dall’assorbimento da parte loro di elementi radioattivi di origine magmatica immessi nelle profondità delle barriere coralline dall’attività idrotermale in atto nelle spaccature tettoniche e negli apparati vulcanici sottomarini.
2- Di norma, risalendo dalle spaccature tettoniche attive, dove è stata surriscaldata dal contatto col magma e resa fertile per i minerali che da esso riceve, l’acqua profonda si raffredda per via cedendo calore a masse crescenti di altra acqua che coinvolge nella risalita, cosicché in superfice giunge una quantità d’acqua enormemente superiore a quella iniziale, la cui temperatura, tuttavia, risulta inferiore a quella delle acque superficiali riscaldate dal Sole, con le quali poi essa si mescola per attrito rinfrescandole…
Ed è appunto da tale meccanismo che deriva la temperatura mite delle acque nelle zone di barriera.

La carica di composti minerali espulsi dai sistemi idrotermali sottomarini donano elevata fertilità alle acque in risalita dal fondo garantendo  un'elevatissima  capacità di sostentamento della flora e della fauna nell'area marina interessata dal fenomeno.

Fg 3 La carica di composti minerali espulsi dai sistemi idrotermali sottomarini donano elevata fertilità alle acque in risalita dal fondo garantendo un’elevatissima capacità di sostentamento della flora e della fauna nell’area marina interessata dal fenomeno.

3- Quando però, l’attività magmatica profonda si attenua o ristagna, diminuisce o addirittura cessa anche la risalita delle acque fertili profonde, cosicché, mancando la loro presenza rinfrescante, le acque di superfice riacquistano la temperatura elevata dovuta al riscaldamento da parte del Sole dei tropici: temperatura elevata, dunque, che non è la causa del deperimento dei coralli ma costituisce il segnale, che qualcosa è cambiato nel sistema nutrizionale della zona.
Dunque, che garantisce la salute e la proliferazione dei coralli è la carica di nutrienti minerali trasportati verso la superfice dalle acque fertili risalenti dal fondo, nutrienti che, favorendo la vita del fitoplancton e delle microalghe che vivono in simbiosi coi coralli, consentono il meraviglioso sviluppo di vita vegetale ed animale che caratterizza le barriere coralline.
Pertanto, è possibile affermare che il deperimento dei coralli in determinate aree di barriera degli oceani NON DIPENDE DAL RISCALDAMENTO GLOBALE, ma è dovuto alla penuria di nutrienti minerali causata dalla minore risalita dal fondo di acque fertili dovuta al rallentamento (quando non addirittura alla stagnazione) dell’attività idrotermale collegata alla presenza più o meno vivace di attività magmatica all’interno delle spaccature tettoniche e degli apparati vulcanici sottomarini.
Tutti questi discorsi, però, sembrerebbero contraddetti dalla elevata temperatura ambientale rilevata dai due scienziati all’interno dell’immane spaccatura della crosta all’estremo sud del Mar Rosso: infatti – si dirà – poiché, come abbiamo visto, cedendo calore per via, l’acqua di origine profonda si raffredda abbassando poi la temperatura delle acque superficiali riscaldate dal Sole, se la temperatura dell’acqua riscontrata dai due studiosi è così elevata, ciò dovrebbe significare che c’è scarsa risalita di acque fertili dal fondo del mare, cosicché i coralli dovrebbero essere in agonia. Come si spiega, invece, il loro straordinario rigoglio?
La risposta è facile ed è data dall’angustia dell’ambiente in cui è stata rilevata l’anomalia termica: la ristrettezza del baratro tettonico, infatti, limita il rimescolamento dell’acqua fertile in risalita dagli abissi con le fredde acque stazionanti nelle circostanti profondità marine, cosicché detta acqua fertile può conservare una maggiore quantità della carica termica iniziale, e ciò spiega l’elevata temperatura riscontrata dagli studiosi al livello della barriera corallina…

Fg 4 L'angustia del baratro, attraverso il quale le calde acque di origine idrotermale salgono verso la superfice, consente un minore rimescolamento delle acque stesse con quelle fredde stazionanti nelle profondità, cosicché esse possono raggiungere la barriera corallina conservando una maggiore quantità di calore ed una maggiore concentrazione di nutrienti minerali.  (in primo piano, le apparecchiature di rilevamento di un minisommergibile teleguidato).

Fg. 4 L’angustia del baratro, attraverso il quale le calde acque di origine idrotermale salgono verso la superfice, consente un minore rimescolamento delle acque stesse con quelle fredde stazionanti nelle profondità, cosicché esse possono raggiungere la barriera corallina conservando una maggiore quantità di calore ed una maggiore concentrazione di nutrienti minerali.
(in primo piano, le apparecchiature di rilevamento di un minisommergibile teleguidato).

Ma non solo: infatti, il limitato rimescolamento delle acque limita anche la diluizione della carica dei nutrienti minerali di provenienza abissale da esse trasportati verso la superfice, nutrienti, la cui maggiore concentrazione favorisce appunto lo straordinario rigoglio dei coralli evidenziato nel documentario, inoltre, il loro più concentrato contenuto di elementi radioattivi di origine magmatica, assorbito con gli altri nutrienti dalle microalghe, ne impregna i tessuti, dando così ragione della straordinaria e splendida fluorescenza dei coralli alla luce ultravioletta, che tanto ha meravigliato i due studiosi in immersione lungo la barriera corallina all’estremità meridionale del Mar Rosso!

I maremoti

considerazioni sulle teorie correnti e sulla realtà delle cose

[rielaborazione del materiale per un articolo del 31-1-2005]

CHIACCHERE AL CAPEZZALE DEL PIANETA

Effetti prodotti dallo tsunami dell'Alaska (1964) a Kodiak (Alaska). Le barche nella foto sono state trasportate in citta`dalle onde, a qualche decina di metri dalla costa. (Foto tratta da NOOA Photo Library  in http://www.photolib.noaa.gov/historic/c&gs/theb0964.htm).

Effetti prodotti dallo tsunami dell’Alaska (1964) a Kodiak (Alaska). Le barche nella foto sono state trasportate in citta`dalle onde, a qualche decina di metri dalla costa. (Foto tratta da NOOA Photo Library in http://www.photolib.noaa.gov/historic/c&gs/theb0964.htm).

Quando avviene una grande catastrofe, subito si scatena la ridda delle congetture scientifiche tese a spiegare al Volgo le cause e i meccanismi degli spaventosi fenomeni, e puntualmente, già poche ore dopo il fortissimo terremoto del 26 dicembre 2004 che, generando un devastante tsunami, travolse il Sud-est asiatico provocando danni immensi e centinaia di migliaia di vittime, da parte di numerosi Scienziati e addirittura di prestigiosi Istituti scientifici internazionali cominciò la gara a chi indovinava la diagnosi.
Sembrava di sentire i medici al capezzale di Pinocchio morente, che dicevano tutto e il contrario di tutto: ipotesi sparate a caldo non per reale e ponderata convinzione ma, spesso, solo per potersi vantare, in vista di una eventuale conferma dai fatti, di averlo detto per primi!
Lungi però dal fare chiarezza sui fenomeni, quella gara aumentò la confusione nell’opinione pubblica e, quel che è peggio, anche negli addetti alla prevenzione delle calamità ed al soccorso delle popolazioni: e quanto ciò sia vero è confermato dalla indeterminatezza delle risoluzioni, a cui era giunta la conferenza internazionale tenutasi a Kobe sul tema, appunto, delle catastrofi naturali.
Più che dimostrare la competenza degli scienziati, l’evidente contradittorietà delle loro sparate mostrava una certa leggerezza nel comportamento e l’inadeguatezza della loro preparazione, ma non solo: il fatto, che si possa dire tutto e il contrario di tutto sulla base di una unica teoria scientifica accettata ormai universalmente, è la dimostrazione lampante, che quella teoria è quanto meno non idonea a fornire spiegazioni credibili e univoche sulle cause di cataclismi come quello del 26 dicembre 2004, e non solo di quello!
Formulata quale sintesi di varie ipotesi espresse per dare una spiegazione apparentemente razionale e realistica ai fenomeni della Deriva dei continenti e della Espansione dei fondi oceanici, quella teoria è fondata sulla presunta suddivisione della Crosta oceanica in innumerevoli particelle adagiate su altrettante cellule convettive in cui sarebbe frazionato il Mantello (l’immane strato magmatico sul quale galleggia la crosta terrestre) le quali, coi loro flussi verticali attivi e passivi, darebbero ragione dell’espansione dei fondi oceanici mediante la formazione di nuova crosta da un lato e della consunzione della crosta vecchia dall’altro, e di come, agendo come un nastro trasportatore sul quale sarebbero adagiati i continenti, questi verrebbero spostati in qua e in là sulla superfice del pianeta.
In pratica dunque, tutta questa costruzione teorica si fonda sulla presunzione, che il magma del Mantello salga e scenda nelle viscere della Terra come fa l’acqua che si scalda in una pentola posta sul fuoco, i cui moti convettivi sono evidenziati dal continuo saliscendi dei fagioli messi a cuocere.

UNA TEORIA CHE NON STA A GALLA…

Per quanto possa apparire suggestivo, però, il modello basato sull’esempio della pentola d’acqua messa a bollire non è realistico, poiché si riferisce al comportamento di un fluido semplice e stabile: l’acqua appunto, la quale, formata solo dalla forte unione di Ossigeno e Idrogeno, pur se esposta a forte calore non è soggetta a disgregazione.
Al contrario, essendo costituito da tutti gli elementi presenti sul nostro pianeta e dalle loro più svariate combinazioni (che ne rendono la composizione estremamente complessa) il magma che sale dalle viscere della Terra non è assolutamente stabile, cosicché, montando verso la superfice, subisce una profonda riorganizzazione interna a causa del rapidissimo calo della pressione ambientale e della temperatura, fattori che agiscono grazie ai diversissimi punti di fusione dei suoi componenti.
Per spiegarci meglio, ricordiamo che il magma fonde ad una temperatura di soli 8-900 gradi e che a 1.200° esso è fluido quasi come l’olio, mentre i suoi componenti fondono a temperature diversissime: come il ferro, che fonde a 1.500° e il platino che fonde a 1.775°, mentre altri suoi componenti pure molto pesanti fondono a temperature nettamente inferiori, come l’antimonio, che fonde a 630°, il piombo che fonde a 327°, lo stagno, che fonde a soli 232°, e come il mercurio, che addirittura è già fuso alla nostra temperatura ambiente.
Ebbene, fino a che il magma si trova a grandissima profondità ed è sottoposto a pressioni di migliaia di atmosfere, la sua densità è altissima e la sua temperatura si mantiene a livelli di molte migliaia di gradi, cosicché tutti i suoi componenti rimangono allo stato fluido.
Quando però, si presenta una profonda spaccatura nella Crosta terrestre (detta Spaccatura tettonica) che consente un’ampia via di fuga, come avviene nei vulcani lineari che costituiscono l’asse originario delle Dorsali oceaniche, la pressione ambientale all’interno del Mantello precipita rapidamente e ciò consente al magma di espandersi prepotentemente aumentando così in modo incontenibile il proprio volume.
Questo processo rende il magma sempre più fluido e instabile, facilitando così la mobilità dei suoi componenti anche a grande profondità, i quali sgusciano sempre più rapidamente verso la via di fuga facendo in tal modo diminuire sempre più estesamente la consistenza del Mantello (1).
Quest’ultimo, progressivamente depauperato ed oppresso dal proprio peso e da quello della soprastante Crosta oceanica, nonché dal peso dello spessore dell’oceano, avvia un processo di assestamento che avviene mediante la diminuzione del proprio volume, assestamento che provoca di conseguenza, nel soprastante fondo oceanico, una progressiva subsidenza (abbassamento), la quale, con l’estendersi del fenomeno della migrazione dei componenti del magma verso la via di fuga, si propaga lentamente dalle vicinanze della spaccatura tettonica fin verso l’estremità distale della particella, in prossimità della Fossa che segna in genere il limite fra la placca oceanica e quella continentale.
Secondo la teoria corrente più accreditata, detta Fossa costituirebbe l’imboccatura del varco, attraverso il quale la crosta oceanica vecchia sprofonderebbe nel Mantello, dando luogo, si dice, al cosidetto processo di Subduzione, e questo perché, affermano i sostenitori di tale teoria, raffreddandosi, il basalto della crosta oceanica si addenserebbe appesantendosi fino a perdere la capacità di galleggiare sul magma del Mantello.
Ebbene, sorvolando sulla reale trafila, che il magma subisce nella fase di risalita dalle viscere del Mantello alla superfice della crosta oceanica, fino al suo consolidamento in forma di basalto (trafila legata agli effetti dovuti alla diversità dei punti di fusione a cui abbiamo accennato), questa ipotesi si scontra con una serie di contraddizioni imbarazzanti, cosicché viene da chiedersi:
– Perché mai il basalto non torna ad immergersi nelle profondità del Mantello subito dopo essersi formato, subito dopo, cioè, che il magma che lo ha generato si è raffreddato e dunque addensato e appesantito al punto di perdere la capacità di galleggiamento?
– E perché mai, prima di dileguarsi nella cosidetta Fossa di Subduzione, ciascuna porzione di crosta basaltica rimane a galleggiare sul Mantello per decine di milioni di anni, fino a completare la traversata del fondo oceanico?
– E come potrebbe, la stessa sottile crosta basaltica (2), rimanere in immersione allo stato solido per milioni e milioni di anni pur se sottoposta a temperature di molte migliaia di gradi (3), tanto da riuscire, con la sua rigidità, a provocare ancora scosse sismiche ad oltre 700 (settecento) Km di profondità (4), come rivelano chiaramente i sismografi?»
Non potendo, la teoria in auge, dare risposte credibili a tali domande, torniamo alle vicende della crosta oceanica e vediamo che, all’estremità distale di una delle sue Particelle, dove la sottile crosta oceanica si addossa alla possente piattaforma continentale, la sua subsidenza al seguito dell’assestamento del mantello incontra serie difficoltà dovute al forte attrito fra i due diversi elementi (crosta oceanica e crosta continentale), attrito che ne impedisce il regolare andamento.
In tal modo, fra le due diverse placche crostali (oceanica e continentale) si formano delle fortissime tensioni, che fanno inarcare la sottile crosta oceanica (5) tenendone incastrato il margine contro il bordo della piattaforma continentale, bordo che a sua volta tende ad abbassarsi sotto il peso dell’immane fardello che si trova a reggere suo malgrado (6).
Quando, infine, lo sforzo supera la resistenza dei materiali lungo la linea di contatto fra le due placche, avviene improvviso l’assestamento: il margine della placca oceanica collassa rapidamente per adagiarsi completamente sul sottostante Mantello mentre, alleggerito del peso, il margine continentale si rialza grazie alla propria spinta di galleggiamento… E avviene la catastrofe!
E tutto questo è proprio quanto avvenne il 26 dicembre 2004 al largo dell’Indonesia, dove risulta che il margine della placca continentale si sia rialzato di una ventina di metri rispetto alla quota iniziale.

MA… IL MAREMOTO?

Anche riguardo all’origine dei maremoti ci sarebbe da ridire, perché le spiegazioni offerte dagli addetti ai lavori non quadrano con la robusta consistenza della crosta continentale né con la quantità di acqua movimentata da un maremoto delle dimensioni di quello che colpi le coste dell’oceano Indiano il 26 dicembre 2004.
Innanzitutto, va detto che i veri maremoti (quelli cioè di grandi proporzioni, in grado di seminare morte e distruzione sulle coste) sono generati esclusivamente dai terremoti sussultori, i quali, pur non producendo in genere gravi danni diretti, provocano consistenti variazioni nella profondità dell’oceano a livello regionale.

Abbassamento di un margine di faglia di oltre quattro metri in seguito ad un terremoto sussultorio in Nevada (da: La Terra, di A. Beiser. Ed Life-Epoca 1962)

Abbassamento di un margine di faglia di oltre quattro metri in seguito ad un terremoto sussultorio in Nevada (da: La Terra, di A. Beiser. Ed Life-Epoca 1962)

E ciò contrariamente a quanto avviene con i terremoti ondulatori, i quali sono direttamente distruttivi ma senza produrre in genere variazioni nel livello del fondo marino.

Evidente dislocamento di porzioni di territorio causato dal terremoto ondulatorio di S. Francisco del 1906 (da La Terra id.c.s)

Evidente dislocamento di porzioni di territorio causato dal terremoto ondulatorio di S. Francisco del 1906 (da La Terra id.c.s)

Secondo gli studiosi, il maremoto sarebbe provocato dallo spostamento verticale di una enorme quantità di acqua prodotto dallo scatto verso l’alto, che la placca continentale compie nel momento in cui si riprende dalla deformazione elastica causatale dall’attrito con la crosta oceanica in fase di subduzione, e come esempio propongono l’immagine del trampolino, che quando si libera dal peso del tuffatore scatta verso l’alto per riacquistare la posizione orizzontale.
A questo proposito, c’è da osservare innanzitutto che, se la crosta terrestre fosse realmente elastica come proposto dall’esempio del trampolino, essa non presenterebbe la miriade di faglie, crepe e fratture evidenti nella sua struttura anche a livelli quasi millimetrici: per rendersene conto, infatti, basta osservare quanto fittamente sono frammentate le rocce delle nostre montagne.
Il 26 dicembre 2004, dunque, il margine indonesiano della placca continentale non si risollevò per la sua presunta elasticità, ma per la spinta al galleggiamento ricevuta dalla sua parte immersa nel magma del Mantello quando si liberò del peso del margine della crosta oceanica in assestamento: scrollatosi di dosso l’immane fardello, il margine indonesiano della placca continentale si sollevò per ritornare ad una posizione di equilibrio “idrostatico”.
In secondo luogo, scivolando ipoteticamete dal trampolino dopo essere stata sollevata di qualche decina di metri sopra il livello del mare (7) , l’acqua non avrebbe assolutamente potuto raggiungere la velocità vertiginosa con cui le onde di maremoto attraversano gli oceani (8); inoltre, per quanto fosse grande il volume delle acque spostate dello scatto del trampolino, esso sarebbe stato in ogni caso enormemente inferiore al volume delle acque coinvolto nel maremoto indonesiano, cosicché, disperdendosi nell’oceano in tutte direzioni, tale volume si sarebbe talmente diluito da raggiungere le coste con onde praticamente innocue (9).
Infine, a contraddire l’ipotesi del trampolino c’è il fenomeno del ritiro del mare dalle linee di costa, fenomeno che costituisce un preavviso importante per le popolazioni delle regioni costiere, ma che non può essere provocato dall’innalzamento delle acque da parte dal presunto scatto del trampolino.
Il 26 dicembre 2004, invece, il ritiro del mare avvenne su tutte le coste dell’oceano Indiano e ciò consentì ad un ragazzino inglese (evidentemente preparato nella materia) di dare l’allarme tsunami sulla spiaggia tailandese in cui era in vacanza con la famiglia, allarme che consentì di salvare in zona innumerevoli vite umane.
E dunque, come si spiega questo fenomeno?
Ebbene, il ritiro del mare dalle linee di costa si spiega in maniera inoppugnabile con l’improvviso abbassamento del fondo marino, abbassamento che, provocando un forte aumento dello spazio disponibile, provoca il violento risucchio in zona delle acque oceaniche circostanti, producendo in tal modo un abbassamento di livello in fasce sempre più vaste dell’oceano, le quali a loro volta attirano masse crescenti d’acqua provenienti dalle aree più lontane e così via fino a giungere ai margini dell’oceano, dove si verifica così il ritiro delle acque dalle linee di spiaggia: esattamente come avvenne in quel 26 dicembre.
L’entità del volume d’acqua messo in moto in tal modo è enormemente superiore al volume reso disponibile dall’abbassamento del fondo oceanico, cosicché l’acqua proveniente dal largo non solo colma la depressione nella superfice oceanica ma, spinta dallo slancio (forza d’inerzia) continua ad affluire in zona producendo un enorme accumulo che subito, sotto l’azione della forza di gravità, si squaglia sparando in tutte le direzioni l’acqua in eccesso, dando così origine all’onda anomala che, sfrecciando ad altissima velocità ed ergendosi per decine di metri sui bassi fondali, si precipita sulle coste seminando distruzione e morte.

UN FENOMENO APPARENTEMENTE PARADOSSALE

«Ma… – viene da chiedersi – che ne è stato dell’innalzamento di 20 metri del margine continentale sui fondali indonesiani?»
Ebbene, lungi dall’essere una concausa del maremoto, quell’innalzamento fu provvidenziale, poiché consentì di diminuire la portata del maremoto.
Agli occhi degli esperti, tale affermazione potrebbe sembrare paradossale, e invece è sostenuta da una ragione più che valida.
Infatti, l’innalzamento del margine continentale indonesiano (dovuto non al rimbalzo del trampolino ma alla sua forza di galleggiamento sul magma del Mantello) ha occupato in parte il volume del “vuoto” prodotto dal repentino abbassamento del fondale oceanico, vuoto che, così ridotto, ha richiamato in zona una quantità di acqua enormemente minore rispetto a quella, che sarebbe stata necessaria a colmarlo se non si fosse verificato il provvidenziale innalzamento del margine continentale!
In tal modo, pur se terribilmente spaventosa, l’entità dei disastri prodotti dal maremoto del 26 dicembre 2004 fu notevolmente inferiore a quanto avrebbe potuto essere, se la spinta di galleggiamento non avesse riportato a livello il margine della placca continentale indonesiana.

NOTE

1) Per comprendere meglio il fenomeno, ricordiamo ciò che avviene in una bottiglia di spumante aperta maldestramente; l’improvviso calo della pressione consente ai gas compressi di espandersi facen-do aumentare enormemente il volume del vino, che così sgorga con violenza dalla bottiglia.

2) La crosta terrestre al disotto degli oceani ha uno spessore che si aggira intorno ai dieci o dodici chilometri.

3) Non dimentichiamo che il basalto torna a fondere a meno di mille gradi.

4) Considerando che la distanza fra la Dorsale Atlantica e le coste continentali si aggira sui 3.000 Km e che in questo oceano non esi-stono Fosse di subduzione che consentano alla crosta di immerger-si nelle profondità del pianeta, appare ovvio che la parte più antica della crosta atlantica risalga ai primi tempi della formazione dell’o-ceano, cosicché i 3.000 Km anzidetti si sarebbero formati nei 65 milioni di anni di vita dell’oceano. Pertanto, considerando che 3.000 Km : 700 Km dà 4,3, dividendo 65 milioni di anni per 4,3 si ottiene il tempo di formazione di 700 Km di crosta, tempo che risulta pari ad oltre 15milioni di anni, il quale dunque corrisponde a quello duran-te il quale, secondo gli studiosi, la crosta immersa rimarrebbe allo stato solido benché sottoposta a temperature di molte migliaia di gradi… La cosa non è assolutamente credibile!

5) L’inarcamento della crosta oceanica è reso possibile dalla sotti-liezza della crosta stessa (pari a circa 10 Km) ed all’indebolimento della sua struttura dovuto alla miriade di “valli” trasversali che ne riducono ulteriormente lo spessore, valli che corrispondono ad ogni fase di fine ed inizio dei processi di accrescimento della crosta (si veda in proposito l’opuscolo “I CICLI VITALI DELLA TERRA”)

6) Questo fenomeno si manifesta con maggiore evidenza quando la placca continentale ha uno sviluppo trasversale ridotto, proprio come avviene per una chiatta galleggiante sull’acqua, la quale, oltre al proprio carico normale, deve sopportare anche il peso di qualche ingombro agganciato fuori bordo ad una sua fiancata

7) Ricordiamo che, secondo gli Scienziati, il margine della placca indonesiana si sarebbe innalzato di venti rispetto al livello precedente.

8) Si consideri, a questo proposito, la relativamente bassa velocità a cui scorre l’acqua dei fiumi appena precipitata dalle cascate, anche le più imponenti, velocità che non si avvicina minimamente a quella delle onde di maremoto.

9) Anche in occasione di terremoti sottomarini recenti, l’onda ano-mala è giunta sulle spiagge senza alcun preavviso e con dimensioni talmente ridotte da non recare alcun danno.

Terremoti: innesco di vulcani?

Riguardo al Vesuvio, qualche studioso ipotizza una consequenzialità tra scosse telluriche ed eruzioni vulcaniche.
L’autore spiega i meccanismi di funzionamento dei fenomeni ed invita i lettori a verificare la fondatezza delle teorie.

[Scarica opuscolo “Terremoti: innesco di vulcani?]  (PDF 900 KByte)

La voce della terra

Frattura in una strada dovuta a terremoto in Giappone

Forte dell’incoraggiamento espresso da alcune frasi pronunciate da due premi Nobel nei riguardi degli appassionati, l’autore dissente energicamente dalle esternazioni gratuite di uno fra i più importanti sismologi italiani riguardo la possibilità di prevedere i terremoti.

[Scarica opuscolo “La voce della Terra”(PDF 430 KByte)