El Niňo e la morte dei coralli

Fg. 1: Le barriere coralline, che prosperano in acque pulite e ricche di nutrienti, ospitano una varietà infinita di organismi meravigliosi.

Fg. 1: Le barriere coralline, che prosperano in acque pulite e ricche di nutrienti, ospitano una varietà infinita di organismi meravigliosi..

L’idea che, a provocare la Morte dei Coralli, sia l’aumento della temperatura delle acque causato dal famigerato Riscaldamento Globale, è ormai accettata universalmente, tanto che la si trova riportata nero su bianco in tutti i testi più recenti di Geografia Fisica.

In detti lavori, però, la spiegazione dei fenomeni appare alquanto nebulosa e talvolta contraddittoria, quasi che, intuendo forse l’inconsistenza della teoria, gli Autori si sentano tuttavia obbligati a sostenerla in qualche modo poiché essa è la sola accettata universalmente(1).
A suffragio di detta teoria, vari Autori portano l’esempio della nefasta influenza, che i coralli subirebbero dall’avvento del fenomeno detto El Niño(2) combinato con l’ENSO (l’Oscillazione della pressione atmosferica nell’area centro-meridionale del Pacifico), e lo fanno con date precise e col nome di luoghi in cui sono avvenuti lo sbiancamento e la morìa dei polipi corallini.
Uno di quei casi sarebbe avvenuto nei mesi a cavallo degli anni 1982-83, quando, oltre a violenti sconvolgimenti climatici in tutto il globo definiti i più disastrosi in epoca storica, ed oltre ad estese morìe di pesci e uccelli, El Niño avrebbe causato lo sbiancamento e la morte dei coralli fin lungo le isole dell’Oceano Indiano, e tutto ciò spingendo, su una fascia del Pacifico equatoriale lunga 12.800 Km, una vasta ondata di acqua calda con temperature fino a 8°C superiori a quelle normali!
E allora viene da chiedersi: “Ma quelle temperature definite “normali” sono veramente normali?”
Una situazione simile a quella, che abitualmente avviene nel Pacifico in assenza del Niño, si verifica anche nell’Atlantico dove, proprio in corrispondenza del percorso della Corrente Equatoriale, la temperatura superficiale dell’oceano presenta una diversità di ben 9 gradi fra quella fresca rilevata abitualmente nella parte Est dell’oceano (appena 16 gradi) rispetto a quella calda rilevata ad Ovest (25 gradi), e ciò fa pensare che i due fenomeni, così simili, non siano dovuti ad una fortuita coincidenza…
E dunque viene da chiedersi: quale sarebbe la temperatura da ritenere normale per quelle aree dei due oceani interessate da quei fenomeni?… È la temperatura più fresca rilevata ad Est oppure è quella più calda ad Ovest?
Per rispondere alla domanda, occorre ricordare che le temperature superficiali degli oceani sono spesso alterate dal rimescolamento delle acque prodotto dalle correnti, cosicché, per avere una risposta credibile, bisogna confrontare le temperature in oggetto con quelle rilevabili nei bacini marini non disturbati dalle correnti: ebbene, in area tropicale, detti tranquilli bacini presentano valori di temperatura superficiale compresi fra i 26 e i 28 gradi.
Dunque, appare evidente che, nella fascia tropicale, le temperature da considerare normali sono sicuramente quelle più alte!… Pertanto, se nel settore Est della fascia tropicale del Pacifico, la temperatura delle acque è abitualmente inferiore a quella che normalmente dovrebbe essere sotto l’azione del Sole, è evidente che è tale situazione che costituisce una anomalia termica, benché essa sia un fatto abituale, mentre il ritorno alla temperatura più calda col Niño costituisce un ritorno alla normalità, benché esso sia un evento temporaneo.
Di tutto questo, però, sembra che gli Studiosi non si rendano conto…

Fg. 2  Nella fascia tropicale dell’oceano Pacifico è evidenziata con due tonalità di rosa l’area interessata da El Niño, il fenomeno oceanico considerato una dannosa corrente calda.

Fg. 2 Nella fascia tropicale dell’oceano Pacifico è evidenziata con due tonalità di rosa l’area interessata da El Niño, il fenomeno oceanico considerato una dannosa corrente calda.

L’equivoco nasce dal fatto che, considerando normale lo stato abituale delle temperature superficiali degli oceani rilevate mediante i satelliti, appena questo stato si modifica, viene considerato una anomalia. E ciò benché le acque del Niño raggiungano i 28 gradi, che costituiscono la temperatura normale per quella latitudine quando l’area non è disturbata dalla “fertile” e fresca Corrente Equatoriale (la cui temperatura iniziale è abitualmente di soli 18-19 gradi)..
In tal modo, essi rappresentano con un medesimo tono di colore le diverse situazioni termiche abitualmente presenti nel Pacifico (si veda, nella figura 2, l’omogenea tonalità azzurrina che ricopre tutti gli oceani non evidenziando le innegabili diversità di temperatura rilevate dalle isoterme nella figura 3) diversità dovute alla varia inclinazione dei raggi solari sulla superfice oceanica alle diverse latitudini, ed evidenziano invece con varie gradazioni di rosso il saltuario ritorno della normalità termica dovuta al Niño nella fascia tropicale del Pacifico, producendo così la fuorviante impressione di un surriscaldamento abnorme della medesima area, impressione, alla cui suggestione sembra che gli inconsapevoli Studiosi non sappiano sottrarsi, tanto che nessuno di essi si chiede mai: “Ma surriscaldamento dovuto a cosa, se nei diversi settori della superfice oceanica posti alla medesima latitudine, il Sole picchia con la stessa intensità?

fg. 3  Le diverse temperature della superfice degli oceani sono perfettamente note alla Scienza e accuratamente mappata: perché, allora, non vengono evidenziate con tonalità diverse di colore in modo da non ingenerare equivoci e inammissibili fraintendimenti?

fg. 3 Le diverse temperature della superfice degli oceani sono perfettamente note alla Scienza e accuratamente mappata: perché, allora, non vengono evidenziate con tonalità diverse di colore in modo da non ingenerare equivoci e inammissibili fraintendimenti?

Anche su internet troviamo che uno Studioso di una prestigiosa Università americana(2) attribuisce allo stesso episodio del Niño del 1998, la moria di coralli che colpì l’arcipelago delle Maldive e molte altre aree dell’Oceano Indiano.
Ebbene, tale ipotesi sembra alquanto azzardata, poiché, oltre alla sterminata distanza esistente fra le isole dell’Oceano Indiano e l’area di origine del Niño, lo stesso oceano è separato dal Pacifico dalla possente barriera costituita dagli arcipelaghi delle Filippine e dell’Indonesia; dunque, appare verosimile che la moria di coralli negli arcipelaghi indiani sia una semplice coincidenza con l’avvento del Niño nel Pacifico, coincidenza dovuta a cause locali prodotte dal fatto, che anche quelle isole dell’oceano Indiano sono di origine vulcanica, così come i menzionati arcipelaghi indonesiano e filippino che le proteggono dalle correnti del Pacifico, i quali sono entrambi ricchissimi di vulcani attivi fra i più temibili al mondo(3) .
Quanto sia confusa quella teoria è suggerito da ciò che scrivono altri Autori, i quali, sostenendo la medesima tesi circa l’influenza del Niño sulla decadenza vitale dei coralli, riguardo alla connessione fra El Niño ed ENSO dicono però che: «Sebbene la connessione non fosse sempre rilevabile, tutti questi avvenimenti furono attribuiti alla combinazione El Niño/ENSO»… Dunque, la mancata rilevazione di detta connessione lascia intendere che l’attribuzione di colpa a El Niño è quantomeno arbitraria, frutto di opinioni personali non suffragate da prove scientifiche.

Fg. 4  Ipotesi ufficiale del fenomeno del Niño.

Ma quale potrebbe essere la causa che dà origine al Niño? Da molti anni, l’ipotesi prevalente sembra essere quella che incomprensibilmente indica i colpevoli nei venti Alisei (fg. 4 sopra) i quali, scavalcando da est la Catena Andina dell’Equador e del Perù, produrrebbero ad Ovest di queste una sorta di vuoto simile a quello che si forma dietro le automobili veloci, vuoto che risucchierebbe verso la superfice acque abissali fredde e ricche di nutrienti minerali, le quali, spinte verso Ovest dalla persistente azione degli Alisei, darebbero origine alla fresca e fertilissima Corrente Equatoriale del Pacifico, quella che i pescatori equadoregni e peruviani chiamano La Niña…
Quando, dunque, per qualche motivo gli Alisei cessano di soffiare, ad ovest delle Ande non si formerebbe più il vuoto e questo non richiamerebbe più in superfice le fresche e fertili acque abissali che formano la Niña…
Già il fatto che agli Alisei sia attribuita la capacità di produrre, ad Ovest delle Ande, una depressione tale da risucchiare verso la superfice oceanica le fredde acque abissali (pesanti per l’alto contenuto di sali minerali) è una cosa che lascia perplessi: con una velocità media di 5 metri a secondo, infatti, velocità pari a circa 18 Km orari, difficilmente gli Alisei avrebbero la forza di produrre la straordinaria depressione che viene loro attribuita, spece considerando che il loro fronte di azione è diviso dalla larga fascia definita equatore termico, al cui interno gli Alisei si riducono a deboli brezze o addirittura cessano del tutto.
Ma poi, se fossero gli Alisei il motore che forma la Niña e la spinge verso Ovest, quale dovrebbe essere la forza che darebbe origine a quella che è definita la “vasta ondata di acqua calda che, inoltrandosi nel Pacifico equatoriale“ formerebbe El Niño? Certamente, non la forza di venti occidentali contrari agli Alisei, perché quei venti si muoverebbero in direzione opposta a quella attribuita al Niño, e dunque? La domanda sembrerebbe destinata a non avere risposta!

Fg 5 Si noti l'alta concentrazione di vulcani fra Galapagos, Equador e Perù.

Fg 5 Si noti l’alta concentrazione di vulcani fra Galapagos, Equador e Perù.

C’è anche un’altra domanda che richiede una spiegazione seria: poiché l’imponente Cordigliera delle Ande costeggia tutta la sponda sud-americana del Pacifico, perché mai solo in corrispondenza della costa equadoregna e peruviana si verificano i fenomeni detti el Niño e la Niña?… Cosa c’è su quel limitato tratto di costa che non esiste su tutto il resto della sponda sudamericana del Pacifico?

La risposta è semplice: lungo quella costa, c’è una straordinaria concentrazione di grandi vulcani attivi (tanto che sulle Ande equadoregne se ne contano più di 50) e i vulcani sono numerosi anche al largo di essa, in corrispondenza del vicino Arcipelago delle Galapagos.
Ebbene, alla base di quelle due estese concentrazioni vulcaniche è abitualmente attivo un vastissimo apparato idrotermale, il quale vomita negli abissi acque caldissime arricchite di nutrienti minerali.
Data la loro altissima temperatura iniziale (intorno ai 400°), quelle acque schizzano verso l’alto disperdendo per via calore e nutrienti, coinvolgendo così nella risalita masse crescenti di altra acqua fertilizzata, la cui temperatura però decresce in proporzione inversa al loro volume, cosicché alla fine esse presentano una temperatura inferiore rispetto a quella delle acque superficiali riscaldate dal Sole: attardandosi però per inerzia rispetto alla rotazione terrestre, le fertili acque risalite dagli abissi scorrono sotto le calde acque superficiali, alle quali si mescolano poi per attrito abbassandone la temperatura e trascinandole con sè verso Ovest.

Fg 6  Il Plancton costituisce la delicatissima base su cui poggia tutta la catena alimentare marina: nell'acqua "fertile", il fitoplancton trasforma i nutrienti minerali in sospensione nella sostanza organica di cui si nutre lo zooplancton, ed entrambi forniscono, direttamente o indirettamente, il cibo a tutti gli animali superiori, dal pesciolino più piccolo al più grande predatore... E tutto grazie ai nutrienti minerali trasportati in giro fra mari ed oceani dalle acque "iniettate" negli abissi dai comprensori idrotermale "attivi" collegati ai grandi apparati vulcanici sottomarini o prossimi alle coste.

Fg. 6 Il Plancton costituisce la delicatissima base su cui poggia tutta la catena alimentare marina: nell’acqua “fertile”, il fitoplancton trasforma i nutrienti minerali in sospensione nella sostanza organica di cui si nutre lo zooplancton, ed entrambi forniscono, direttamente o indirettamente, il cibo a tutti gli animali superiori, dal pesciolino più piccolo al più grande predatore… E tutto grazie ai nutrienti minerali trasportati in giro fra mari ed oceani dalle acque “iniettate” negli abissi dai comprensori idrotermale “attivi” collegati ai grandi apparati vulcanici sottomarini o prossimi alle coste.

Risalendo verso la superfice, infatti, le acque abissali si allontanano dall’asse di rotazione terrestre, trovandosi così a dover percorrere nelle 24 ore circonferenze sempre più lunghe rispetto a quella che percorrevano sul fondo degli abissi e questo, tendendo esse a mantenere per inerzia la velocità di rotazione iniziale(4), ne provoca un progressivo attardamento rispetto all’ambiente circostante… Ed è così che ha origine la Niña, la corrente fresca portatrice di vita rigogliosa per le creature del mare e prosperità per la locale industria della pesca.
Dunque, il Vero Motore di questa come di altre Correnti Oceaniche non è costituito dai venti dominanti o da altre fantasiose cause, ma è l’attardamento per inerzia verso ovest delle acque abissali in risalita dal fondo degli oceani!

Quando tuttavia, alla base della su menzionata concentrazione di vulcani, avviene una forte riduzione o addirittura una cessazione dell’attività idrotermale(5), si riduce fortemente o addirittura cessa anche la risalita dagli abissi dell’acqua fertile, cosicché, rimanendo immobile sotto il Sole dei Tropici, la superfice dell’oceano viene riscaldata fino a riportarne la temperatura ai livelli naturali per quella latitudine, mentre la carenza o la mancanza di nutrienti in risalita dal fondo semina strage nell’ambiente sommerso, provocando apocalittiche morìe del plancton, dei pesci che di esso si nutrono e di quelli di cui gli stessi sono preda, e poi degli uccelli che dei pesci si cibano e, infine, anche dei coralli i quali, pur se situati lontanissimi dall’area da cui hanno origine le acque fertili, non ricevendo più il consueto nutrimento deperiscono sbiancandosi per morire poi d’inedia.
Dunque, la vera causa di questa immane tragedia è la stasi delle grandi emissioni idrotermali da parte dei comprensori vulcanici peruviano, equadoregno e delle Galapagos, stasi a cui consegue l’immobilità delle acque evidenziata dal riscaldamento solare della loro superfice: e nasce El Niño!

Note

1 Un comportamento simile da parte degli Studiosi è stato notato anni fa, subito dopo che due noti scienziati dettero al mondo il sensazionale annuncio della realizzazione della “fusione a freddo”: subito, infatti, numerosi loro colleghi vollero ripetere l’esperimento secondo le modalità indicate dagli eroi del momento, e molti di loro riferirono esultanti di esserci riusciti. Dopo qualche tempo, però, essendo stato accertato da Istituti Scientifici seri, che l’esperimento non funzionava, sull’intera faccenda scese il silenzio, e molti sperarono che tutto finisse nell’oblio.

2 Fra tanti altri, tale argomento è riportato anche in un ponderoso volume pubblicato nel 2002 da un paio di Autori di Area anglosassone, Area dalla quale, si sa, provengono le teorie più varie, le quali di regola, dal Mondo Scientifico internazionale vengono accolte con ossequio-sa reverenza, come fossero rivelazioni ispirate dal Celo (e la Scienza italiana non fà eccezione). (NB: non cito mai il nome degli Autori dalle cui teorie dissento per correttezza nei loro confronti, affinché non si sentano attaccati personalmente senza che su queste pagine possa essere loro garantito il diritto di replica).

3 Sulla fondamentale importanza degli apparati vulcanici (spece quelli sottomarini) nella genesi delle correnti oceaniche abbiamo già parlato in altri articoli, comunque, riparleremo della cosa anche in questo.

4 Ovviamente, dovendo muoversi in acque dotate di velocità di rotazione crescente man mano che risalgono dall’abisso, le acque di origine idrotermale ne subiscono in parte il trascinamento, cosicché, giunte alla superfice, esse non conservano la loro bassa andatura iniziale ma sono un po’ meno lente, ed è questa loro lentezza che le fa apparentemente muovere verso Ovest!

5 È possibile che quella riduzione dell’attività idrotermale sia provocata da un forte calo della pressione interna all’apparato vulcanico, calo dovuto verosimilmente allo sfogo della stessa pressione prodotto da qualche prolungata eruzione (sia essa sub-aerea o sottomarina) che si verifica in zona. Questa ipotesi, lo dico per i Professionisti della Ricerca scientifica, meriterebbe una attenta verifica da parte dei Vulcanologi, ai quali non dovrebbe risultare difficile individuare, in quell’area, l’eventuale evenienza di eruzioni vulcaniche (siano esse subaeree o sottomarine) nell’immediata precedenza e in concomitanza con l’avvento del Niño.