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TERREMOTI E TSUNAMI

Considerazioni sul comportamento umano di fronte ad immani catastrofi avvenute in questo inizio di millennio

I recenti terremoti, che hanno interessato l’area appenninica dell’Italia centrale, hanno riproposto al grande Pubblico il disorientamento degli esperti di fronte ai fenomeni sismici, disorientamento evidenziato dalla indeterminatezza dei loro tentativi di spiegazione rilasciati ai mezzi di comunicazione, e ciò sembra riportare alla stretta attualità quanto pubblicai anni fa sulla materia.[1]
Prima però di quell’articolo gradirei che fossero lette anche le seguenti considerazioni tese a spiegare il tono non proprio di plauso nei confronti di certi luminari della Sismologia non solo italiana.
Com’è noto, il 26 dicembre 2004, poco al largo delle coste indonesiane che si affacciano sull’oceano Indiano, si verificò un violentissimo terremoto sottomarino, il quale, in quanto di carattere sussultorio, non provocò le distruzioni ed i lutti che ci si sarebbero potuti aspettare a causa della sua violenza.[2]
Ebbene, se gli scienziati del Sud-est asiatico avessero saputo comprendere i chiari segnali di avvertimento offerti loro dagli avvenimenti in corso,[3] avrebbero potuto scongiurare una immensa catastrofe umanitaria, ma così non avvenne: incapaci di discernere fra le conseguenze di un sisma sottomarino di carattere sussultorio da quelle di un sisma ondulatorio, e convinti forse che l’esiguità dei danni materiali significasse che non c’era ulteriore pericolo, benché il sisma fosse stato di carattere sussultorio i geologi attivi in quell’area ritennero di non lanciare alcun particolare allarme[4]
E quella decisione, accolta dalle autorità rispettose dell’opinione degli esperti, condannò ad una morte orribile circa 250mila persone ignare del pericolo tsunami che incombeva su tutte le coste dell’oceano Indiano.[5]
A contrario, notando il rapido ed anomalo ritiro delle acque dalla spiaggia ed intuendo l’imminente pericolo di maremoto, un ragazzino inglese in vacanza con la famiglia in Tailandia riferì subito le sue osservazioni ai genitori, i quali avvertirono immediatamente le autorità locali che, accogliendo fortunatamente la segnalazione benché questa non provenisse da esperti professionisti, lanciarono l’allarme tsunami consentendo alla popolazione di mettersi in salvo, tanto che in quell’area, non ostante i gravissimi danni prodotti dalle onde di maremoto, non vi furono vittime.
Dunque, mentre l’opinione di un inesperto ragazzino consentiva la salvezza di migliaia di vite, l’autorevolissima opinione degli esperti di professione condannava a morte centinaia di migliaia di altre persone[6].
La conferma dell’autorevolezza (cioè affidabilità) dell’opinione di quegli esperti di professione si ebbe il giorno di Pasquetta dell’anno successivo, quando nella medesima area si verificò un altro violentissimo terremoto che, essendo questa volta di carattere ondulatorio, provocò immani distruzioni che causarono innumerevoli vittime: ebbene, pur se il carattere ondulatorio del nuovo sisma escludesse la possibilità di maremoti, questa volta gli esperti lanciarono l’allarme tsunami, il quale puntualmente non si verificò

Terremoto dell’Aquila

Un fenomeno per certi versi analogo avvenne qualche anno dopo in Italia centrale, nella zona dell’Aquila, dove un prolungato sciame sismico produsse diversi danni mantenendo la popolazione in costante apprensione: ebbene, confrontando le sequenze sismiche con i grafici prodotti dai sofisticati sismografi dei laboratori sotterranei del Gran Sasso dov’era impiegato, ad un tecnico parve di poter prevedere l’approssimarsi delle scosse più pericolose e cominciò a diffondere le sue osservazioni che presto divennero di dominio pubblico.
Risentiti per l’indebita ingerenza nel campo della loro esclusiva competenza, i luminari che seguivano gli eventi ottennero dalle autorità che a quel tecnico fosse proibito di diffondere il panico fra la popolazione, dopo di che, per tranquillizzare tutti, dissero che non c’erano pericoli.
Rassicurati, molti degli abitanti della zona tornarono nelle loro case, mentre gli studenti universitari tornarono nel loro Istituto… E poi avvenne la tragedia: una scossa molto più violenta delle altre seminò devastazione e morte nell’area dell’Aquilano…
Oltre alle consuete condoglianze ed ai discorsi di rito delle autorità, il fatto destò il risentimento dei parenti delle decine di vittime, morte a loro dire per avere dato ascolto alle parole dei luminari, e fioccarono le denunce, a cui seguirono processi di durata pluriennale; processi conclusisi non molto tempo fa con una sorprendente sentenza di assoluzione, perché i terremoti non sono prevedibili e dunque i luminari non hanno colpe!
E qui sorge spontanea una domanda: Se i terremoti non sono prevedibili, come si fa a prevedere che non avverranno?
Il confronto con quei fatti ormai lontani richiama l’attenzione sull’evidente inadeguatezza della Sismologia di fronte ai problemi posti dalla serie di violenti terremoti (e delle loro innumerevoli repliche) che da mesi stanno scuotendo una vasta area dell’Appennino centrale, terremoti riguardo ai quali i notiziari televisivi hanno largheggiato nel trasmettere le opinioni dei Geologi, in particolare di quelli specializzati in Sismologia, di fatto quasi obbligandoli a spiegare in qualche maniera la meccanica degli avvenimenti.
In tal modo, agli Ascoltatori, ma sopratutto ai poveri Terremotati ed alle Autorità preposte alla gestione dell’emergenza, sono stati elargiti una quantità di discorsi confusi e inconcludenti, corroborati però da una quantità di termini tecnici oscuri e sovente espressi in inglese (si sa, l’uso dell’inglese rende meglio l’idea di scientificità delle argomentazioni e poi risulta efficacissimo per coprire il vuoto dei discorsi).
In particolare, gli Esperti hanno accentrato le loro argomentazioni sulla riattivazione di una cosidetta “faglia” dovuta alla Tettonica delle Placche[7], riattivazione a cui si sarebbe poi associato il risveglio di faglie vicine, cosa che spiegherebbe il lungo protrarsi nel tempo delle scosse e la progressiva estensione delle aree interessate dai fenomeni.
A conferma delle loro affermazioni, gli Esperti mostravano delle vistose crepe nei terreni (definite faglie) e, in particolare, una lunga fessura sul versante di uno dei monti che coronano l’area disastrata.
Ebbene, quelle crepe presentano il margine a valle alquanto ribassato rispetto al livello originale attestato dal margine a monte e ciò, oltre all’esiguità della loro larghezza (da qualche centimetro a neanche mezzo metro)[8] dimostra che il sisma non è stato provocato dalla dislocazione di una placca locale della Crosta terrestre causata da movimenti in profondità del Magma, ma si tratta di una serie di assestamenti di masse rocciose non molto profonde (si parla di 8 o 10 Km di profondità) dovuti al processo di compattazione, che da sempre interessa le montagne giovani (cioè formate da un corrugamento recente della Crosta) caratterizzate da Deficit Gravitazionale, cioè dalla presenza di una quantità di vuoti, i quali determinano una densità (e dunque un peso) nettamente inferiori a quelli che dovrebbero essere in base al volume apparente delle montagne stesse.

Ed ora passiamo alla lettura dell’articolo intitolato LA VOCE DELLA TERRA .

5 dicembre 216

Sono gradite osservazioni e critiche motivate da inviare a:  gianni_bassi@alice.it


Appendice a  TERREMOTI E TSUNAMI: Considerazioni sul comportamento umano di fronte ad immani catastrofi avvenute in questo inizio di millennio

La sera di lunedì 20 marzo 2017, in Palazzo Festari a Valdagno, invitato dal locale Istituto Tecnico Industriale, il sismologo Alessandro Amato (dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) ha presentato il suo libro dal titolo SOTTO I NOSTRI PIEDI: STORIE DI TERREMOTI, SCIENZIATI E CIARLATANI.
Terminata la lunga esposizione della materia trattata, durante la quale l’Autore non ha lesinato gratuite derisioni riguardo agli Appassionati, che egli (bonariamente dice lui) definisce ciarlatani, al momento delle domande da parte dei presenti, io chiesi come mai, in occasione del terremoto dell’Aquila, i Sismologi avevano tranquillizzato la popolazione dicendo che non c’era alcun pericolo, se da sempre essi affermano che i terremoti non sono prevedibili.
Per rispondere, l’autore si profuse in una lunga e fumosa dissertazione, il succo della quale era: dopo le scosse pomeridiane, per prudenza gli Aquilani avrebbero dovuto trascorrere la notte all’aperto (dunque erano morti per essere stati imprudenti) eppoi, nessuno dei Sismologi aveva detto che non c’era pericolo: si sarebe trattato di una voce dovuta ad un malinteso e sparsa da chissà chi.
A questo punto, però, sorge un’altra domanda: Se nessuno dei Sismologi aveva assicurato che non c’era pericolo, la loro assoluzione avrebbe dovuto essere stata “per non aver commesso il fatto”, non perché essi non erano responsabili poiché i terremoti non si possono prevedere!
Dunque, la lunga dissertazione in difesa dei colleghi di quel signore (che si definisce scienziato) non sta in piedi… e per di più appare offensiva nei confronti delle vittime di quel terremoto!
Mancando altri interventi, sempre a proposito di ciarlatani chiesi come mai, in occasione dell’allarme terremoto previsto a Roma per l’l’11 maggio 2011, in un’intervista televisiva l’eminente scienziato (che, a detta del Relatore, era stato il suo capo nel dipartimento di Sismologia dell’INGV) disse che non c’era memoria di terremoti a Roma da tremila anni a questa parte, quando a Roma sono documentati ben 24 grossi episodi sismici, molti dei quali provocarono gravissimi danni ai monumenti.
Alla precisa domanda, lo scienziato abbozzò un imbarazzato tentativo di difesa del suo capo, tentativo che si potrebbe riassumere così: beh, cosa vuole, il mio capo è fatto così, a volte spara le cose senza pensarci tanto su!

Ebbene, questa giustificazione, se si può definirla tale, fa sorgere un’altra domanda:
Ma chi sono i Ciarlatani?…

La risposta al Lettore!


[1] Si veda l’articolo dal titolo La voce della Terra.

[2] Quando non sono causati da attività vulcanica, i terremoti sussultori sono provocati da assestamenti verticali di cospicue masse crostali profonde, assestamenti a cui consegue una più o meno accentuata subsidenza della soprastante area superficiale. A differenza dei sismi ondulatori (che, scuotendo orizzontalmente le costruzioni, ne disgregano le strutture provocando gravissimi danni o addirittura la completa distruzione) pur se violento, l’improvviso sobbalzo verticale prodotto dal sisma sussultorio non provoca in genere gravi danni negli edifici.

[3] Quando il terremoto si verifica in area oceanica, a seconda della sua natura le conseguenze da esso provocate sono diversissime: il sisma ondulatorio, infatti, consistendo in scuotimenti orizzontali della crosta, non provoca in genere variazioni di livello nel fondale; al contrario, il sisma sussultorio è generato dalla repentina subsidenza del fondale, e ciò provoca un immediato abbassamento della superfice marina, cioè una depressione, per colmare la quale viene richiamata acqua da tutte le direzioni, anche da grandissima distanza, determinando il fenomeno dell’arretramento del mare dalle linee di costa di tutto il bacino interessato dal terremoto.

[4] Associato alla forza del fenomeno sismico, l’arretramento del mare dalle linee di costa costituisce l’avvertimento sicuro che si sta organizzando un maremoto.
Provenendo infatti da tutte le direzioni e da grandissime distanze dove si erano ritirate dalle linee di costa, ed accorrendo a grandissima velocità, quelle acque giungono sempre in quantità enormemente superiore a quella necessaria a colmare la depressione della superfice marina provocata dalla subsidenza del fondale, cosicché, sullo slancio della velocità a cui hanno viaggiato, giunte nell’area del sisma esse producono un vasto accumulo, il quale si accresce via via sotto la spinta di altra acqua che continua a precipitarsi in zona. Quando infine il peso dell’accumulo acqueo giunge a pareggiare e poi a superare la forza della spinta dell’ultima acqua in arrivo, esso comincia a squagliarsi rapidamente rispedendo in tutte le direzioni ed a grandissima velocità l’acqua in eccesso, acqua che innesca così la formazione della micidiale onda dello tsunami destinata ad abbattersi sulle coste con violenza devastante, per poi ritirarsi nuovamente verso l’epicentro del fenomeno dove torna ad accumularsi per poi rilanciarsi contro le coste in un andirivieni disastroso che si protrae fino ad esaurimento dell’energia.

[5] Data la vastità dell’oceano interessato dal fenomeno sismico, la fase di accumulo delle acque in zona (con conseguente ritiro dalle linee di costa) poté durare diverse ore, cosicché, se gli scienziati del Sud-Est asiatico avessero compreso ciò che stava maturando nella loro area di competenza, sarebbe stato loro possibile allarmare per tempole autorità e le popolazioni rivierasche salvando gran parte delle vittime, che invece, a causa della loro inerzia, furono falciate dallo tsunami.

[6] È possibile forse che, constatando l’esiguità dei danni,  quegli esperti abbiano taciuto per paura di brutte figure nel caso in cui lo tsunami non si fosse formato. Ciò tuttavia, più che un’attenuante, costituirebbe una gravissima prova della loro scarsa competenza

[7] Va notato però, che i movimenti crostali causati dalla Tettonica delle Placche sono dovuti ai movimenti del Magma al disotto della Crosta terrestre, i quali avvengono a molte decine di kilometri di profondità, mentre le scosse sismiche in oggetto sono dovute ad assestamenti di ammassi crostali a  profondità di soli 8 o10 Km!

[8] Quante di quelle fessure, pur se meno vistose, compaiono sull’asfalto delle nostre strade di montagna per segnalare un cedimento in corso nel terreno sottostante!

Clima 8: La genesi di deserti e uragani

(Assemblaggio del materiale di alcuni articoli pubblicati negli anni ‘90)

Tornando ad esaminare le cause del clima in generale, diamo ora un’occhiata a delle circostanze particolari legate alla presenza delle Correnti Oceaniche in determinate zone della Terra, circostanze che condizionano la formazione dei deserti e degli uragani.

Panoramica sul Sahara

Fg. 1.  Panoramica sul Sahara

Osservando le mappe climatiche dell’intero pianeta, si può notare che le aree desertiche sono sempre situate ad Oriente delle zone interessate dalle Risorgive Fertili: così il Sahara si trova ad Est del comprensorio vulcanico sottomarino delle Azzorre e delle Canarie, il deserto della Namibia è ad Est delle risorgive al largo del Sudafrica, il deserto di Atacama è ad Est delle risorgive che danno origine alla Corrente Sudequatoriale del Pacifico, il deserto della California è ad Est delle sorgenti della Corrente omonima.

Come abbiamo visto nell’articolo precedente, perché questo avvenga è presto detto: la velocità di rotazione della superfice oceanica attorno all’asse terrestre è notevolmente inferiore rispetto a quella dell’aria alle alte quote, poiché questa nelle 24 ore deve percorrere una circonferenza maggiore; calando quindi di quota all’interno di un gorgo anticiclonico, la massa d’aria in discesa si avvantaggia verso Est portando sul vicino continente la sua calura (acquisita per compressione durante la discesa) e la sua aridità, calura e aridità che caratterizzano le brezze torride che succhiano la vita alla vegetazione favorendo la progressiva avanzata del deserto.

Arbusto di tamerici usato per tentare di fermare l’avanzata del deserto.

Fg. 2. Arbusto di tamerici usato per tentare di fermare l’avanzata del deserto.

Da tale sequenza, sembrerebbero discostarsi i deserti del Medio Oriente e dell’Arabia, il deserto australiano ed il deserto della Mongolia: in realtà, però, anche quei deserti rientrano nella norma: i deserti del Medio Oriente, infatti, si trovano ad Est dell’estesa area idrotermale sottomarina collegata ai vulcani dell’Egeo, il Deserto Arabico è ad Est delle risorgive fertili del Mar Rosso, i cui 33° d’estate e 26° d’inverno sono ben poca cosa a confronto con le temperature infernali che affliggono l’interno dell’Arabia e dell’Egitto, ed è appunto tale divario che produce la discesa di aria asciutta dalle alte quote, la quale, giunta al suolo ed espandendosi, produce le micidiali brezze torride che portano alla desertificazione quella parte del pianeta.

Uragano visto dal satellite

Fg. 3.  Uragano visto dal satellite

Quanto al deserto australiano, esso si trova a Sud-Est del vasto bacino idrotermale a Meridione di Giava e immediatamente ad Est della fredda Corrente Australiana Occidentale, la cui temperatura superficiale genera l’anticiclone che desertifica l’Australia.

Infine, il vastissimo deserto della Mongolia, che comprende importanti porzioni della Cina e della Siberia meridionale, deve invece il suo clima arido all’enorme distanza che lo separa dall’umidità esalata dai mari occidentali  (Mediterraneo, M. Nero e M. Caspio), allo sbarramento delle correnti monsoniche operato dalla Catena Imalajana ed alla vicinanza  con la sede  dell’Anticiclone (continentale) Siberiano.

Per quanto riguarda l’origine degli Uragani (detti anche Tifoni e Cicloni), pur essendo note le aree in cui essi si formano, non risulta che siano mai state individuate le cause che determinano la loro formazione.

Ebbene, analizzando le mappe climatiche, notiamo che quegli spaventosi fenomeni nascono sempre ad Ovest dei bacini oceanici lungo l’asse terminale delle Correnti calde: il fenomeno si spiega con l’allargamento del corso di dette correnti in prossimità degli ostacoli che ne frenano o bloccano la corsa, ostacoli come catene di isole o coste continentali, a causa delle quali avviene l’allargamento del fronte della Corrente, il quale aumenta enormemente la superfice di contatto con l’aria soprastante alla quale la Corrente cede calore.

Per aggravare la situazione, poi, fondamentali sono il sopraggiungere di sempre nuova acqua calda in sostituzione di quella raffreddata dall’evaporazione, e l’enorme spessore delle  correnti stesse, spessore che garantisce una scorta energetica inesauribile.

Così, nell’Atlantico gli uragani si formano lungo il corso della calda Corrente della Guiana, che diventa poi Corrente dei Caraibi allargandosi nell’intrico delle isole; nel Pacifico i tifoni si formano sulle scie finali delle calde Correnti Nordequatoriale (con obiettivo il Giappone) e Sudequatoriale (con obiettivo le Filippine, l’Indonesia e la Cina) e sulla scia della calda Corrente Australiana Orientale (che colpisce duramente soprattutto il Nord-Est del Paese).

Autonome rispetto alle condizioni termiche delle superfici oceaniche sono invece le meno spettacolari Trombe d’aria, che in determinate condizioni danno luogo ai paurosi vortici noti anche col nome di Tornado, tutti fenomeni pericolosi e spesso letali, i quali si manifestano per lo più sulla terreferma, dove prendono origine da concentrazioni di calore in zone limitate immerse in aree più fresche ma ricche di umidità nell’aria, umidità portata dalle correnti d’aria di provenienza marina, la quale costituisce il carburante di cui il tornado si nutre fino all’esaurimento.

Abbiamo dunque compreso il ruolo fondamentale sostenuto dalle correnti oceaniche e marine in relazione all’andamento del clima, e questo, come raccomandavo in un mio articolo del 31 agosto 1990, ha consentito di produrre previsioni meteo soddisfacenti, pur se di massima, su tutto il globo a sei mesi. Tele spazio temporale, tuttavia, non basta ancora per la programmazione su vasta scala delle colture agricole al fine di fronteggiare con successo la fame nel mondo, occorre aumentare ancora di qualche mese l’anticipo delle previsioni, ma come?

I punti caldi attivi negli ultimi 10 milioni di anni. Essi sono concentrati lungo le dorsali medio-oceaniche e, in particolare, sulla Dorsale medio-atlantica (da Burke e Wilson, 1976).

Fg. 4.  I punti caldi attivi negli ultimi 10 milioni di anni. Essi sono concentrati lungo le dorsali medio-oceaniche e, in particolare, sulla Dorsale medio-atlantica (da Burke e Wilson, 1976).

Ebbene, anche se sembra che, come di consueto, Climatologi e Geologi non siano interessarsi a scambiarsi informazioni, visto che già esistevano le mappe degli assembramenti vulcanici sottomarini (vedi figura a lato), ancora nel 1990 proponevo di estendere il monitoraggio a detti assembramenti ed ai loro apparati idrotermali, cosa non impossibile con i moderni mezzi di rilevamento subacqueo già disponibili allora: in tal modo, sarebbe possibile monitorare l’andamento dei fenomeni sottomarini e collegarlo col successivo andamento del clima al fine di costituire l’indispensabile archivio dati necessario per dedurre il futuro del clima in base alla situazione subacquea in corso: ciò renderebbe possibile prolungare ancora di qualche mese il tempo delle previsioni meteo di massima, in modo da consentire agli agronomi di attuare una programmazione mirata delle colture agricole, programmazione che, dapprima ovviamente, avverrebbe in via sperimentale e poi, costituito il relativo archivio dati per i raffronti, potrebbe avvenire su scala sempre maggiore a vantaggio di tutta l’Umanità.

Utopie? Mah!… Anche la mia proposta sul controllo delle Correnti Oceaniche in superfice ed in profondità sembrava un’utopia, e invece, qualcuno poi ne ha colto la fondatezza ed i risultati, pur se ancora con un anticipo di soli sei mesi, sono arrivati!… Perché non tentare anche con le “radici più profonde” del clima?

Pennacchio di acqua caldissima, carica di minerali, sgorga da una “bocca sorgente calda” (detta anche “fumatore nero”) fotografato sul Rialzo del Pacifico Orientale. (Da D.B. Foster, Woods Hole Oceanographic Institution).

Fg. 5.  Pennacchio di acqua caldissima, carica di minerali, sgorga da una “bocca sorgente calda” (detta anche “fumatore nero”) fotografato sul Rialzo del Pacifico Orientale.
(Da D.B. Foster, Woods Hole Oceanographic Institution).

A questo punto, visto che l’Uomo dispone di conoscenze adeguate sulla fisiologia della Terra[1] e di mezzi tecnici e finanziari sufficenti, viene da chiedersi se sia mai possibile intervenire sull’ambiente  per dominare in qualche modo gli eccessi del clima[2] e la risposta è «» e il “come” sarà l’oggetto dei prossimi due articoli, perché riguarderà “I disastri del clima: ciò che si potrebbe fare subito” e “Controllo del clima: ciò che richiederebbe tempi lunghi, studi approfonditi, progetti faraonici e volontà politica a livello globale”.

 


Note

[1] Parlo di fisiologia della Terra perché sembra proprio che il nostro pianeta costituisca un organismo vivente e si comporti come tale, un organismo in cui tutte le parti sono legate da una interazione intima e indissolubile.

[2] Questa domanda mi è stata rivolta spesso nel corso delle mie conferenze sul clima, e la risposta è positiva.