Clima 6: I comprensori climatici

(sintesi di alcuni articoli pubblicati sul Giornale di Vicenza nel 1990)

Come abbiamo visto negli articoli precedenti, se non ci fossero le correnti oceaniche a portare in giro per il globo il calore accumulato sotto il Sole dei Tropici, la temperatura terrestre dovuta all’irraggiamento solare sarebbe distribuita in modo decrescente dall’Equatore ai poli; quindi, ricevendo calore prevalentemente dal contatto con la superfice del pianeta (sia questa di terraferma od oceanica) l’atmosfera si scalderebbe maggiormente nelle zone tropicali, dove le masse d’aria, divenute meno dense (e dunque più leggere) si innalzerebbero richiamando incessantemente ai tropici aria fresca (e perciò più densa e pesante) dalle zone temperate e da quelle fredde.

Si formerebbero in questa maniera due grandi sistemi di correnti atmosferiche: uno, costituito da aria calda, viaggerebbe ad alta quota perdendo via via calore e si dirigerebbe verso i poli seguendo un percorso sempre più obliquo verso Oriente[1], mentre l’altro, costituito da aria fredda, viaggerebbe a bassa quota scendendo dalle latitudini elevate con direzione obliqua verso Occidente[2] e stenderebbe su gran parte della Terra una coltre gelida e asciutta, che manterrebbe il nostro pianeta nella morsa di una tremenda glaciazione[3].

Fortunatamente per noi, anche se a volte uno spiffero settentrionale riesce a guastarci qualche giorno delle vacanze estive, il clima terrestre non è così regolarmente ed eternamente rigido, e ciò perché, grazie alla presenza delle superfici marine (che fungono da locali accumulatori di energia termica) e sopratutto grazie all’esistenza delle correnti oceaniche calde, che si spingono fino alle latitudini circumpolari, le masse atmosferiche possono ricevere calore non solo nelle zone tropicali ma anche in altre aree del globo.

Dunque, la diversificazione e l’irregolare dislocazione delle fonti di energia termica garantite dalle correnti oceaniche rimescolano le carte delle correnti atmosferiche, rendendo il clima vario e, per la gioia dei meteorologi, imprevedibile!

Benché l’atmosfera costituisca uno strato gassoso unico attorno all’intero pianeta, esistono poi dei fattori ambientali che in qualche modo ne incrinano l’unità: innanzitutto, ci sono le masse continentali che, con la loro estensione in un senso o nell’altro e con gli arcipelaghi ad esse collegati, frazionano la superfice acquea in vari oceani più o meno vasti e in numerosissimi bacini di dimensioni minori costituiti dai mari e dai laghi… E noi sappiamo quanto diversa sia l’interazione con l’atmosfera da parte delle superfici emerse rispetto quelle oceaniche o marine…

E poi ci sono le catene montane, le quali, formando delle barriere fisiche più o meno elevate ed estese, minano alla base l’unitarietà dell’atmosfera, e noi sappiamo che l’ambiente aereo in cui viviamo, la Biosfera, ha uno spessore assai sottile (meno di una decina di kilometri) che si rivela pertanto molto sensibile agli ostacoli.

Ebbene, tutti questi fattori contribuiscono a determinare le caratteristiche climatiche delle diverse aree del nostro pianeta, aree che chiameremo Comprensori climatici perché, pur essendo inevitabilmente collegati per reciproche influenze ai climi di altre aree, se ne distinguono tuttavia per determinate peculiarità e per una certa quale autonomia.

Prima, però, di affrontare l’argomento riguardante i Comprensori Climatici, è bene dare un’occhiata a dei fenomeni particolari, legati alla presenza delle Correnti Oceaniche in determinate zone del pianeta, fenomeni che condizionano la formazione dei deserti e degli uragani.

Osservando le mappe climatiche dell’intero pianeta, si può notare che le aree desertiche sono sempre situate ad Oriente delle zone interessate dalle Risorgive fertili: così il Sahara si trova ad Est del comprensorio vulcanico sottomarino delle Azzorre e delle Canarie, il deserto della Namibia è ad Est delle risorgive al largo del Sudafrica, il deserto di Atacama è ad Est delle risorgive che danno origine alla Corrente Sudequatoriale del Pacifico, il deserto della California è ad Est delle sorgenti della Corrente omonima.

Perché questo avvenga è presto detto: dovendo percorrere una circonferenza maggiore nelle 24 ore, alle alte quote la velocità di rotazione dell’aria attorno all’asse terrestre è notevolmente maggiore di quella della superfice dell’oceano, cosicché, calando di quota all’interno di un gorgo di alta pressione, la massa d’aria discendente si avvantaggia verso Est portando sul vicino continente la sua calura (acquistata per compressione durante la discesa) e la sua aridità, calura e aridità che caratterizzano le brezze torride che succhiano la vita alla vegetazione favorendo l’avanzata del deserto.

Da tale sequenza, sembrerebbero discostarsi i deserti del Medio Oriente e dell’Arabia, il deserto australiano ed il deserto della Mongolia: in realtà, però, i deserti del Medio Oriente si trovano ad Est dell’estesa area idrotermale sottomarina collegata ai vulcani dell’Egeo, il Deserto Arabico è ad Est delle risorgive fertili del Mar Rosso, i cui 33° d’estate e 26° d’inverno sono ben poca cosa a confronto con le temperature infernali che affliggono l’interno dell’Arabia e dell’Egitto, ed è appunto tale divario che produce la discesa di aria asciutta dalle alte quote, la quale, giunta al suolo ed espandendosi, produce le micidiali brezze torride che portano alla desertificazione.

Quanto al deserto australiano, esso si trova immediatamente ad Est della fredda Corrente Australiana Occidentale e a Sud-Est del vasto bacino idrotermale a Meridione di Giava.

Il vastissimo deserto della Mongolia, che comprende importanti porzioni della Cina e della Siberia meridionale, deve invece il suo clima arido all’enorme distanza dall’umidità esalata dai mari occidentali  (Mediterraneo, M. Nero e M. Caspio), dallo sbarramento delle correnti monsoniche operato dalla Catena Imalajana e dalla vicinanza  con la sede  dell’Anticiclone (continentale) Siberiano.

Per quanto riguarda l’origine degli Uragani (detti anche Cicloni e Tifoni) analizzando le mappe climatiche, notiamo che quegli spaventosi fenomeni nascono sempre lungo l’asse terminale delle Correnti Oceaniche calde: il fenomeno si spiega con l’allargamento del corso di dette correnti in prossimità degli ostacoli che ne frenano o bloccano la corsa, come catene di isole o coste continentali, allargamento che aumenta enormemente la superfice che cede calore all’aria soprastante, fondamentali sono poi il sopraggiungere di sempre nuova acqua calda in sostituzione di quella raffreddata dall’evaporazione, e l’enorme spessore delle  correnti stesse, spessore che garantisce una scorta energetica inesauribile.

Così, nell’Atlantico gli uragani si formano lungo il corso della calda Corrente della Guyana, che diventa poi Corrente dei Caraibi allargandosi nell’intrico delle isole; nel Pacifico si formano sulle scie finali delle calde Correnti Nordequatoriale (obiettivo Giappone) e Sudequatoriale (obiettivo Filippine, Indonesia e Cina) e sulla scia della calda Corrente Australiana Orientale (che colpisce duramente soprattutto il Nord-Est del Paese).

Infine, non potendo ovviamente affrontare in questa sede i fattori ambientali che determinano le caratteristiche di tutte le aree della Terra, ci limiteremo qui ad appuntare la nostra attenzione sul Comprensorio Climatico Nordatlantico.

Già dal nome si comprende che esso è delimitato ad Est dall’Europa (soprattutto quella centro-occidentale) e dal Nordafrica; ad Ovest dalla fascia caraibica del Sudamerica, dall’America Centrale e dalla fascia centrorientale del Nordamerica; a Nord dall’Artide e a Sud dall’Equatore.

Ovviamente, il protagonista principale del nostro studio è l’Atlantico centro-settentrionale, nel cui ambito, altre alla già nota (per noi) attività termoregolatrice attuata a livello locale dalla Corrente del Golfo e dalle sue Derivate, esistono due grandi poli di influenza climatica: la vasta Depressione d’Islanda e l’immenso spazio interessato dal cosidetto Anticiclone delle Azzorre.

Oltre ai “primi attori” però, è bene ricordare l’esistenza di altri fattori che, pur non avendo un ruolo primario, non sono tuttavia neppure delle semplici “comparse”: parlo dei mari interni, quali il Mediterraneo con i suoi vari bacini, il Mar Nero ed il Mar Rosso, e parlo delle montagne: la lunga catena dell’Atlante in Nordafrica disposta di traverso rispetto ai venti dominanti, l’Arco Alpino che i venti dominanti tende a fenderli, gli Appennini disposti un po’ di traverso, e tutte le altre catene montuose del continente europeo.

Il “motore” del clima del nostro Comprensorio è certamente la Depressione d’Islanda, la quale, quando si trova con le batterie al massimo come in questi primi mesi del 2014, è in grado di produrre ondate di maltempo a raffica, con cadenze di pochissimi giorni l’una dall’altra.

Questa Depressione è generata dall’intrusione, nelle fredde acque del Nordatlantico, dell’immenso fiume caldo costituito dalla Corrente del Golfo, le cui acque, scontrandosi con gli estesi basamenti sottomarini dell’Islanda e delle Isole Britanniche, sono costrette a risalire in massa verso la superfice, allargando così enormemente la loro area di contatto con la soprastante atmosfera.

Ed è attraverso tale contatto che avviene la straordinaria cessione di energia alla porzione di atmosfera stazionante in zona: riscaldata alla base, e divenendo perciò più espansa e leggera, l’immane massa d’aria si innalza sotto la spinta della pesante aria fredda circostante, la quale però si riscalda a sua volta alimentando così all’infinito il risucchio di aria da zone circostanti sempre più vaste… e qui entra in gioco la diversa velocità di rotazione attorno all’asse terrestre delle masse d’aria provenienti dalle diverse latitudini, diversità che determina il senso di rotazione antiorario del vortice depressionario[4].

La depressione generata dall'intrusione termica della Corrente del Golfo nelle gelide acque del Nordatlantico.

La depressione d’Islanda è generata dall’intrusione termica della Corrente del Golfo nelle gelide acque del Nordatlantico.

La Dorsale Nordatlantica emerge dalle acque a formare l'Islanda.

La Dorsale Nordatlantica emerge dalle acque a formare l’Islanda.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando detto vortice è ben cresciuto in spessore e in altezza, viene catturato dai venti dominanti da Ovest e spinto con forza contro il Continente Europeo dove, continuando a risucchiare aria da ogni parte, la sua azione è anticipata nella corsa dal braccio meridionale che costituisce il fronte caldo, il quale, oltre all’aumento della temperatura ambientale, provoca le vaste coperture nuvolose che danno piogge copiose e persistenti. Proseguendo la corsa del vortice verso Est, sopraggiunge un po’ in ritardo il braccio settentrionale delle spirali, il quale, oltre a rinfrescare repentinamente l’ambiente, con la sua aria fredda, pesante e poco umida (o addirittura asciutta) si insinua sotto l’aria carica di umidità lasciata dal fronte caldo e la solleva: all’inizio, tale azione dà origine a violente manifestazioni temporalesche ma, passate queste, avendo il sollevamento in quota spremuto l’umidità dell’aria[5], ritorna il  sereno.

Ovviamente, persistendo il pesante scambio energetico oceano-atmosfera a Sud dell’Islanda, la Depressione che da tale isola prende il nome continua la sua potente attività di attrazione e ciò, oltre alle conseguenze climatiche che abbiamo visto sul suo versante orientale, agisce a volte molto pesantemente anche sul versante occidentale dell’Atlantico: quando, infatti, il fronte freddo del vortice sia abbatte sulle coste orientali del Canada e degli USA sommandosi all’azione refrigerante portata sulle medesime coste dalla fredda Corrente del Labrador, le regioni nordorientali del continente americano vengono avvolte da un tremendo sudario di gelo; quando invece, sulle medesime regioni si abbatte il fronte caldo della Depressione, scorrendo in quota sullo strato gelido al suolo detto fronte si accanisce con copiosissime precipitazioni nevose.

Questa è la sequenza evolutiva di tutti i vortici perturbati generati dalla Depressione d’Islanda, il cui fronte di avanzata verso Est, a seconda della loro intensità e se non intervengono fattori di disturbo, può spaziare dal Nordafrica al Nordeuropa.

E questo è esattamente quanto vedremo nel prossimo articolo dal titolo I fattori di disturbo.


Note

[1]  Ricordiamo che, allontanandosi dall’Equatore mantenendo la velocità di rotazione attorno all’asse terrestre propria dei tropici, man mano che si spostano verso le latitudini elevate, le masse d’aria in quota si trovano a correre per inerzia ad una velocità superiore a quella della sottostante superfice del pianeta, sulla corsa della quale, perciò, si avvantaggiano, tanto che, giunte nella zona delle latitudini medie, la loro direzione di marcia è orientata decisamente ad Est dando origine alle cosidette “Correnti a getto”.

[2]  Ovviamente, la circonferenza dei paralleli aumenta man mano che ci si allontana dai poli cosicché, per un fenomeno analogo ma inverso rispetto a quello descritto nella nota precedente, partendo con una velocità di rotazione bassa per la vicinanza all’asse terrestre, le masse d’aria fredda dirette verso i tropici si attarderebbero per inerzia sempre più verso Ovest rispetto alla rotazione della sottostante superfice del pianeta, dando così origine ai venti Alisei.

[3] In realtà, per i motivi descritti alle note precedenti, il movimento delle due opposte correnti subisce un’interruzione a metà strada: qui infatti, nel suo moto circolare da Ovest ad Est, la calda corrente in quota perde progressivamente calore e si appesantisce scendendo fino a tornare al suolo dove subisce il risucchio verso Sud prodotto dal calore dei Tropici. Dalle medesime latitudini intermedie poi, a causa del forte divario fra la temperatura del suolo in quell’area rispetto alle zone polari, il gioco si ripete con correnti di aria mite che si innalzano di quota muovendo verso i poli in avvantaggiamento verso Oriente, e correnti fredde che scendono dai poli in attardamento verso Occidente.

Pur con quella interruzione intermedia, però, l’effetto glaciale sul clima terrestre non cambierebbe.

[4]  Dotata di una velocità di rotazione minima, la fredda aria proveniente dalle latitudini settentrionali tende ad attardarsi ad Ovest rispetto al centro depressionario che la risucchia, poi si mischia con la tiepida aria proveniente dalle zone occidentali (che ha la stessa velocità del centro depressionario) dando corpo al braccio della spirale detto fronte freddo. Dal canto suo, l’aria calda e umida proveniente dalle latitudini meridionali è dotata di una velocità di rotazione maggiore, per cui tende ad avvantaggiarsi verso Est rispetto al centro depressionario, poi, mischiandosi con l’aria tiepida proveniente dalle zone orientali, va a formare il braccio della spirale detto fronte caldo, il quale, analogamente a quello freddo, si precipita con foga verso il centro della depressione incrementando l’energia termica che alimenta l’immane vortice.

[5] È noto che la quota di umidità in sospensione nell’aria è direttamente proporzionale alla temperatura ed alla pressione dell’aria stessa, pertanto, quando questa viene spinta in alto, la sua pressione diminuisce e con questa anche la temperatura, e ciò fa condensare e precipitare l’umidità tanto più rapidamente e violentemente quanto rapida è la risalita, dopo di che, esaurita la disponibilità di vapore acqueo, torna il sereno.