(Da un mio articolo pubblicato su Il Giornale di Vicenza del 31 agosto 1990 col titolo “Effetto Serra? Ma in passato è andata peggio!”)
“Piuttosto che niente è meglio piuttosto” dice un proverbio traboccante buonsenso.
È questa, forse, la ragione dell’insistenza con cui i grandi mezzi di comunicazione (sia pubblici che privati) parlano ancora del cosidetto “Effetto Serra”.
Hanno un bel dire gli scienziati più avveduti, che le anomalie climatiche di questi tempi non sono da attribuire a tale “effetto”: la Gente non si accontenta di sapere come “non”stanno le cose ma vuole spiegazioni, qualunque esse siano e, possibilmente, che scarichino la responsabilità della situazione su qualcuno!
Stando così le cose, la teoria sull’Effetto Serra risponde egregiamente alle aspettative della Gente, in quanto fornisce una spiegazione ingegnosa e a prima vista credibile e, sopratutto, fornisce un “colpevole” il quale, per di più, è molto di moda: l’inquinamento atmosferico!
Io sono con tutto il cuore dalla parte di coloro che denunciano l’inquinamento, di qualsiasi natura esso sia, e sopratutto sono vicino a coloro che cercano onestamente di prevenire l’inquinamento senza limitarsi furbescamente a trasferirne le fonti in casa d’altri; tuttavia, devo dichiarare il mio perfetto accordo con i Meteorologi più avveduti: pur essendo un fenomeno da tenere costantemente sotto controllo, l’Effetto Serra ha un ruolo solo marginale nell’attuale situazione climatica.[1]
Se osserviamo, infatti, i diagrammi delle temperature della Terra o, meglio, di alcune aree del pianeta (ché le medie globali sono assai poco significative) vediamo che nei dodici millenni dell’Olocene (il periodo geologico in cui viviamo) il termometro avrebbe registrato degli sbalzi, di fronte ai quali le lievi modifiche attuali sono cose trascurabili.
Se, ad esempio, osserviamo il grafico delle temperature della Val Camonica, vediamo che la linea A-B indica la temperatura media esistente agli inizi del ventesimo secolo (temperatura che prendiamo come fase di riferimento per il suo clima equilibrato) la quale ci dà la chiara idea dell’estremo rigore delle temperature ambientali di 12 mila anni fa, quando per convenzione si conclude l’ultima Grande Glaciazione e con essa il periodo storico detto Paleolitico.
Mille anni più tardi, dopo alcuni secoli di clima via via meno rigido, la temperatura ritornò a scendere vertiginosamente fino a riportarsi ai livelli iniziali intorno al 9mila a.C… E fu solo dopo altri duemila anni (intorno al 7mila a.C.) che la temperatura raggiunse i valori di inizi ‘novecento.[2]
Nel millennio seguente, ci fu un clima notevolmente più caldo dell’attuale subito seguito da 500 anni di freddo intenso; poi, il termometro tornò a salire di prepotenza e fu proprio in questo periodo che nella nostra Penisola fiorì l’agricoltura dando inizio alla fase storica fondamentale detta “Periodo Neolitico”.
In breve, però, il caldo si fece torrido, le piogge diminuirono fortemente come mostra il grafico della piovosità (fg. 1 in basso), che scorre ad un livello notevolmente al disotto dell’attuale, e le terre si inaridirono danneggiando enormemente le colture agricole[3].
Fg. 2 e 3. A sx due grandi giraffe (in azzurro) ed un elefante (in rosso) incisi sulle rocce della regione sahariana del Fezzan (da Fiumi di pietra, di Angelo e Alfredo Castiglioni e Giancarlo Negro).
A dx: riproduzione grafica della stessa incisione (da Antiche Civiltà del Sahara, di Massimo Baistrocchi).
Non ostante ciò, tuttavia, le spece animali tipiche degli ambienti circumpolari, come gli orsi bianchi ed i pinguini dei quali si paventa la prossima estinzione a causa del riscaldamento globale, non scomparvero, e questo ci rassicura sul loro avvenire.
Il culmine del caldo fu raggiunto intorno al 4mila a.C., quindi la temperatura cominciò a diminuire con esasperante lentezza fino a tornare sui nostri valori intorno al 2mila a.C.
Questa “normalizzazione” del clima, pur se provvidenziale per il Sudeuropa, dovette costituire una catastrofe per le attività agricole della parte centrale e nord-orientale del continente dove, grazie al precedente lunghissimo periodo caldo (ma temperato dalla latitudine elevata) la popolazione umana era cresciuta in modo non ancora ben precisabile ma certo assai notevole, cosicché, continuando il raffreddamento del clima che portava le temperature al di sotto dei livelli attuali, di fronte alla drammatica diminuzione delle risorse agricole, si mise in moto una impressionante sequenza di migrazioni, le quali portarono i Nordeuropei ad invadere con successive ondate migratorie le immense pianure sud-orientali del Vecchio Continente, l’Altopiano Iranico, l’Afghanistan, il Pakistan e l’India nord-occidentale, travolgendo popoli e culture che costituivano la punta di diamante della civiltà[4].
Poi, mentre altre ondate migratorie invadevano la Siberia meridionale e, attraversando l’attuale Mongolia, raggiungevano addirittura le isole più settentrionali dell’Arcipelago Giapponese, ulteriori andate volgevano a Sud e poi ad Ovest, ponendo le basi alle cosidette Civiltà Ittita in Anatolia e Micenea nel meridione della Penisola Balcanica, e portando definitivamente il resto dell’Europa dalla tarda Età della Pietra a quella del Bronzo.
Poi, verso la metà del secondo millennio a.C., la temperatura tornò a crescere sopra i livelli attuali per un paio di secoli, tornando poi a precipitare per mettere nuovamente in crisi l’agricoltura dei paesi a clima continentale e causando le tremende carestie ricordate negli annali egizi ed anatolici, e ciò diede il via a nuove devastanti migrazioni, che produssero la dissoluzione dell’Impero Ittita in Anatolia e della Civiltà Micenea in Grecia, mentre nell’Europa centro-meridionale si stanziavano popolazioni portatrici della Cultura dei Campi di Urne e di una civiltà protourbana che qualche secolo più tardi entrò in crisi per un ulteriore incrudimento del clima fattosi gelido e arido, incrudimento che, mettendo ancor più in crisi l’agricoltura, costrinse gran parte della gente ad abbandonare i centri abitati per tornare alla pratica della pastorizia seminomade.
Anche in Siberia gli sconvolgimenti climatici di fine secondo millennio provocarono disastrose migrazioni: cresciute di numero durante i circa due precedenti secoli a temperatura mite e messe in crisi dal rapido ritorno del freddo, le popolazioni mongolidi del Settentrione calarono a Sud ricacciando progressivamente verso Ovest le popolazioni europidi che vi si erano stanziate mille anni prima.
Queste ultime, note ai Greci col nome collettivo di Sciti e amalgamate in un groviglio etnico che presto assunse le caratteristiche di una travolgente ondata migratoria, nei primi secoli del primo millennio a.C. dilagarono ad Occidente degli Urali, invadendo gli immensi territori ad Est e a Nord del Mar Nero dai quali scacciarono le progredite popolazioni ivi stanziate, popolazioni che i Greci chiamavano Cimmeri.
Divisi in due tronconi dall’invasione giunta da Oriente, per sottrarsi all’incontenibile avanzata delle orde scitiche i Cimmeri fuggirono in parte verso Sud, riparando nell’Anatolia centrale, e in parte, la più numerosa, migrando a loro volta verso Occidente sino alle foci del Danubio.
Da qui, sempre perseguitati dal maltempo che da freddo arido stava volgendo al fresco umido, mentre una parte dei fuggitivi puntava sulla Grecia dando vita a quella che gli Storici chiamano Invasione Dorica, il grosso dell’orda fuggiasca, definita dagli Studiosi d’oltralpe Orda Cimmera o dei Cavalieri Nomadi, risaliva con foga disperata il corso balcanico del Danubio travolgendo ogni ostacolo che si opponeva alla sua avanzata.
Giunte infine sulla Pianura Pannonica, le diverse componenti dell’Orda Cimmera si smembrarono marciando in tutte le direzioni e, grazie alle rivoluzionarie tecniche di combattimento basate sull’uso sapiente della cavalleria e sulla superiorità delle armi, si imposero su gran parte dell’Europa, dove diffusero la pratica della Siderurgia dando così inizio all’Età del Ferro.
Frattanto, dopo un profondo picco di freddo intenso e asciutto che aveva interessato i primi secoli del primo millennio a.C., pur mantenendosi piuttosto umido il clima tornò lentamente ad addolcirsi, fino a raggiungere il livello attuale agli inizi dell’era cristiana, per poi superarlo nei secoli successivi favorendo in tal modo l’espansione dell’Impero Romano; quindi, già a partire dal terzo secolo, prese l’avvio una nuova piccola glaciazione, non freddissima ma molto umida, la quale rimise in moto i popoli del Nord e dell’Oriente, innescando così la terribile sequenza delle cosidette “invasioni barbariche” che portarono alla dissoluzione dell’Impero Romano….
Poi, a partire dal nono secolo, la temperatura tornò a salire portandosi ai livelli attuali intorno all’anno mille e superandoli nell’Età Comunale e del primo Rinascimento, periodi il cui sviluppo fu indubbiamente favorito dalla dolcezza del clima.
A questa fase temperata seguì un altro raffreddamento, una breve ma intensa glaciazione certo non estranea alle guerre che per lunghi decenni travagliarono il panorama europeo, come le sanguinose campagne di conquista condotte dalla Svezia sul continente.
In questo breve periodo glaciale magistralmente illustrato dai pittori fiamminghi, l’avanzata dei ghiacciai alpini fu così pronunciata da raggiungere numerose borgate montane vecchie di secoli e provocarne la distruzione.
Infine, dai primi decenni dell’ottocento il clima cominciò ad addolcirsi (qualcuno direbbe “riscaldarsi”) con progressione decisa fino all’optimum climatico di inizi novecento, e ancora oggi la temperatura continua a salire seguendo la netta tendenza del diagramma termico della figura 1.
Durerà così ancora a lungo?
Oggi è impossibile dirlo, quindi, se non saremo capaci di escogitare un sistema per influire sui fattori del clima, dovremo armarci di pazienza e prepararci ad affrontare l’incertezza di un clima forse non peggiore di tanti altri che lo hanno preceduto.
Note
[1] N.d.r: Quest’ultima affermazione ha suscitato le ire di alcuni fra i più accesi Ambientalisti o, meglio, di alcuni cosidetti “Ambientalisti” (diciamo “cosidetti” perché ai “veri” Ambientalisti la ricerca della Verità interessa almeno quanto interessa al nostro Autore).
[2] Quel periodo climaticamente felice è testimoniato dalle meravigliose raffigurazioni di animali della Savana incise sulle rocce del Sahara, le quali mostrano come in quella lontana epoca il Nord-Africa fosse “verde”.
[3] Di questo terribile periodo, durato ben 2mila anni, abbiamo le testimonianze archeologiche nella Puglia settentrionale, dove i villaggi neolitici sorti numerosi nella fase umida iniziale furono abbandonati a favore di insediamenti sparsi di breve durata dovuta all’impoverimento dei suoli. Anche nel Veneto la siccità si fece sentire fortemente, tanto che nel Lago di Fimon (piccolo bacino di sbarramento situato presso il margine orientale dei Colli Berici, in provincia di Vicenza) il livello delle acque scese ad altre due metri sotto quello attuale, consentendo lo stanziamento di alcune capanne sorte direttamente sulle melme bianche del fondo essiccate dal Sole.
[4] Ed è a questo periodo, caratterizzato dal deciso ritorno delle perturbazioni atlantiche, che risale la forte sequenza nevosa che coprì il corpo del cosidetto Uomo del Similaun preservandolo dalla corruzione fino ai nostri giorni.