Da molti mesi ormai (siamo a fine maggio del 2014) il tempo fa le bizze in modo incontrollato, sferzando l’Europa con una sequenza interminabile di perturbazioni, che si susseguono con una media di una ogni tre giorni.
E si ha un bel dire che le vaste aree di alta pressione, che si presentano fra una perturbazione e l’altra, dovrebbero stabilizzare il tempo o, quanto meno, frenare l’avanzata del maltempo verso le nostre regioni: rapidamente come si sono formate, quelle aree di stabilità si dissolvono vigliaccamente senza opporre resistenza.
A fronte di tale situazione, viene spontaneo il raffronto col clima straordinariamente mite e asciutto dell’autunno-inverno e della primavera di qualche anno fa, quando, per dare un po’ di speranza al mondo dell’agricoltura in grande allarme per il persistere della siccità invernale e primaverile, i meteorologi mostravano le grandi perturbazioni atlantiche, le quali si avventavano sull’Europa cariche di promesse di pioggia per le nostre regioni, ma che, giunte in vista delle coste mediterranee, viravano sgommando a Nord-Est respinte da una vasta area di alta pressione saldamente ancorata sul mar Tirreno.
E viene spontaneo anche il ricordo della storica e interminabile calura del 2003, la quale oppresse le nostre regioni con temperature insopportabili ed una siccità senza fine provocata da una vasta e robustissima “bolla” di alta pressione che, ancorata sul Tirreno, dominava sul Mediterraneo.
Ma allora, si dirà, per quale motivo quest’anno l’alta pressione non riesce a bloccare il maltempo per restituirci un clima più equilibrato?
Benché non se ne senta mai parlare, la risposta a tale legittima domanda non è difficile ma richiede un po’ di attenzione, poiché si basa su una classificazione delle aree di alta pressione riferita alle diverse modalità che portano alla formazione di dette aree, modalità che determinano la loro resistenza o la loro vulnerabilità rispetto alle perturbazioni.
Contrariamente a quanto affermano i sostenitori della teoria sull’effetto serra, alla base di tutto il meccanismo del clima c’è la temperatura del suolo (cioè della superfice del pianeta, sia essa di terraferma o di mare) temperatura che, se è elevata, provoca il riscaldamento dell’aria soprastante determinandone la dilatazione con conseguente spinta verso l’alto: tale meccanismo, infatti, dà origine tanto ai semplici mulinelli d’aria quanto ai più terrificanti uragani .
In determinati casi, però, quando le condizioni di temperatura sono “ancorate” ad una determinata area geografica, il fenomeno dà origine ad una depressione non violentissima ma molto estesa che, con un’immagine colorata, potremmo definire “depressione madre”, perché dà origine ad una serie continua di vortici ciclonici, i quali si dirigono ad est andando ad investire i territori continentali, sui quali scaricano a ritmo incalzante la loro energia sotto forma di tempeste di vento e di precipitazioni copiose, proprio come avviene da mesi in Europa ad opera della Depressione d’Islanda.
Al contrario, se la superfice al suolo è fredda, anche l’aria soprastante si raffredda, cosicché essa si addensa e, divenendo pesante, si abbassa verso il suolo dilagando poi lateralmente.
Di conseguenza, la discesa di tale massa d’aria risucchia verso il basso l’aria soprastante, dando così origine ad un ampio movimento discendente caratterizzato da una rotazione in senso orario[1], che possiamo immaginare come un enorme gorgo atmosferico[2], gorgo definito dai tecnici “vortice anticiclonico” perché, essendo formato da aria asciutta[3], è in grado di fagocitare o di respingere le perturbazioni.
Ebbene, l’efficacia di tale gorgo anticiclonico è dovuta al fatto che esso è ancorato alla superfice “fredda” che lo ha originato, la quale è in grado di mantenerlo attivo a tempo indeterminato, consentendogli, appunto, di esercitare la sua azione stabilizzatrice anticiclonica per tutto il tempo in cui essa rimane “fredda” (come avviene nel caso dell’Anticiclone delle Azzorre).
Con l’aumento della pressione atmosferica e col conseguente riscaldamento (fenomeni dovuti entrambi alla compressione che avviene nel corso della discesa nel gorgo) l’aria secca proveniente dalle alte quote assume una crescente capacità di assorbire umidità, capacità che le consente di fagocitare le perturbazioni che le si avvicinano sottraendo loro l’umidità delle nubi così da mantenere il sereno; oppure, addirittura, quando il gorgo anticiclonico è veramente potente, la spinta dilagante delle sue masse d’aria riesce a respingere l’avanzata delle perturbazioni costringendole a cambiare la direzione della loro corsa, esattamente come avveniva nei lunghi periodi siccitosi descritti all’inizio.
Ebbene, si dirà, perché non avviene così anche ai nostri giorni? Cosa rende tanto deboli e fugaci i cosidetti “promontori di alta pressione” che si alternano con l’interminabile sequenza delle perturbazioni che ci affliggono da mesi?
Quella Cosa è il fatto che i “promontori di alta pressione” non sono “ancorati al suolo” come i gorghi anticiclonici generati dalla bassa temperatura superficiale di determinate aree geografiche, ma sono generati dall’espansione dell’aria asciutta dilagante dai margini di un ampio anticlone e risucchiata ad opera dei vortici ciclonici attivi nelle vicinanze, tant’è vero, che essi non si producono mai come fenomeni autonomi ma (come suggerisce il nome promontorio) costituiscono sempre una propaggine di un gorgo vero e proprio situato nelle vicinanze; inoltre, la pressione atmosferica al loro interno non è mai molto elevata o, comunque, non raggiunge mai livelli paragonabili a quelli che si possono verificare nel cuore del gorgo che li alimenta: dunque, benché portino condizioni di bel tempo, non essendo ancorati all’area geografica in cui si formano, i promontori di alta pressione vengono trascinati in qua o in là dal risucchio generato dagli spostamenti dei vortici ciclonici.
Dunque, l’azione stabilizzatrice sul clima da parte delle aree anticloniche è condizionata dalla loro genesi, cosicché si ha:
- alta efficacia e lunga persistenza da parte dei gorghi anticlonici ancorati all’area geografica che, con le basse temperature al suolo, li genera e li mantiene attivi[1].
- scarsa efficacia, breve durata e mobilità dei promontori di alta pressione (costituiti da aria asciutta proveniente da lontano) attirati dal risucchio prodotto da potenti vortici ciclonici in movimento.
A questo punto, qualcuno si chiederà da cosa dipenda il “raffreddamento al suolo” delle aree geografiche in cui si formano i gorghi anticiclonici più potenti e persistenti.
Ebbene, poiché la risposta a tale quesito richiede un lungo discorso, invito il Lettore a leggere gli articoli che seguono, a partire da quello che porta il titolo Alle origini dei fenomeni climatici.
Note
1) Oltre all’innesco iniziale del vortice prodotto dal calore ricevuto al suolo, a determinare l’ingrossamento del vortice stesso fino alle grandi dimensioni è l’energia termica rilasciata nell’aria dall’umidità in essa contenuta, umidità che condensa cedendo calore a causa della progressiva diminuzione della pressione atmosferica dovuta alla risalita in quota.Ed è appunto tale capacità di autoalimentarsi, che consente agli uragani di muoversi poi in modo indipendente dalle condizioni di temperatura al suolo.2) L’attuale alta frequenza e la violenza di tali “figli” è dovuta all’insolita forza della Depressione d’Islanda, forza generata dal contrasto fra la bassa temperatura che caratterizza le acque del Nordatlantico (spece nei periodi tardo-autunnale, invernale e primaverile) e la straordinaria carica termica trasportata dalla Corrente del Golfo dovuta probabilmente ad un inconsueto aumento della sua portata idrica. 3) Sia la rotazione in senso antiorario dei vortici ciclonici che la rotazione in senso orario dei gorghi anticiclonici sono caratteristiche dell’Emisfero Nord, mentre nell’Emisfero Sud i sensi di rotazione si inverrtono. 4) Al pari dei gorghi che si formano nell’acqua, questo tipo di vortice anticiclonico presenta un’area centrale ben definita, all’interno della quale la pressione atmosferica è massima, e una vasta area marginale grossomodo circolare, nel cui ambito la pressione diminuisce gradualmente fin sulle fasce di confine con le aree depressionarie, alle quali fornisce l’aria che quelle attraggono .5) Poiché l’umidità dell’aria è direttamente proporzionale alla temperatura ed alla pressione dell’aria stessa, alle quote elevate, dove la pressione atmosferica e la temperatura sono molto basse, l’umidità dell’aria è minima. 6) E questo spiega perché, in assenza di tali condizioni, le perturbazioni atlantiche possano entrare tanto facilmente nel Bacino Mediterraneo e flagellare con così inusitata frequenza le nostre regioni. [Scarica l’opuscolo: CLIMA 1 (PDF 0,4 MByte)