E’ piuttosto una montatura grossolana… per fare soldi!
Sotto il crescente influsso culturale proveniente da Oltreoceano, aumentano ogni anno di più gli eccessi comportamentali dei giovani (ma non sono pochi anche gli adulti che si adeguano a tale moda) messi in atto l’ultimo giorno di ottobre e nella notte del primo novembre, tanto che, sempre più spesso, le cronache riferiscono di sballi micidiali, danneggiamenti gratuiti e addirittura di feroci aggressioni, il tutto in un’atmosfera di crescente orrore sollecitata entusiasticamente dalle vetrine dei negozi addobbate con scheletri e maschere di teste umane in putrefazione avanzata, atmosfera animata poi da personaggi che spesso si muovono a gruppi per le vie cittadine camuffati in modo macabro da zombi più o meno putrefatti, i morti che camminano della tradizione wudu.
In una simile atmosfera, poi, sembra naturale che, forse per vincere lo schifo per la propria rivoltante acconciatura, qualcuno di quegli zombi si ubriachi e si droghi fin quasi a morirne e, purtroppo, sono sempre più frequenti le occasioni in cui quel quasi si annulla al punto, che qualche finto morto finisce davvero all’obitorio!
E sono sempre più frequenti gli episodi, in cui la buffa minaccia espressa dalle parole “dolcetto o scherzetto” si trasforma in un tentativo di estorsione e, nei casi peggiori, in violenta aggressione.
Sapientemente promosso ed orchestrato da produttori di gadget e da negozianti privi di buon gusto interessati solo a fare cassetta, tutto questo rivoltante trambusto inscenato alla vigilia della tradizionale giornata del ricordo dei Defunti è presentato come un rituale di tradizione celtica, cosicché viene furbescamente spacciato per manifestazione culturale.
Ebbene, questo tipo di manifestazioni, prodotte dall’oculata mescolanza dei sempre più diffusi (in Occidente) rituali satanici con gli aspetti più deteriori delle culture animiste portate in America dagli schiavi africani, come vedremo non ha nulla a che vedere con le civili tradizioni legate al culto dei morti comuni a tutti i popoli dell’antichità… e tanto meno ha attinenza con la tradizione celtica!
Questa affermazione così categorica è giustificata dall’autorevole testimonianza dello storico greco Polibio, secondo il quale, per usanze e costumi, gli antichi Veneti erano in tutto simili ai Celti, dai quali si distinguevano solo per la lingua.
Ebbene, se gli antichi Veneti praticavano culti simili a quelli dei Celti, per conoscere come questi ultimi ricordavano i loro Antenati basta andare a vedere quali erano le analoghe tradizioni funerarie venetiche.
Come è noto, i Veneti antichi hanno lasciato una notevole mole di testimonianze materiali riguardo alle loro credenze: in particolare, in una stipe rinvenuta a Vicenza, hanno lasciato numerose laminette votive in bronzo, alcune delle quali riguardano esplicitamente il culto dei morti, culto che nulla aveva in comune con le attuali, rivoltanti manifestazioni pseudo-folcloristiche di Halloween.
A sostegno di quanto vado dicendo, invito il Lettore a dare una scorsa all’articolo che segue, il quale espone con documentata chiarezza la sobrietà e la sorprendente diffusione delle modalità, con cui le antiche Popolazioni Venete e Celtiche ricordavano i loro defunti.
L’articolo riguarda un studio condotto in relazione alle insoddisfacenti interpretazioni fornite dagli Studiosi riguardo ad alcune laminette venetiche decorate con figure del tutto inusuali; così, avvalendomi dei confronti con documenti analoghi risalenti a varie epoche e provenienti anche da regioni lontane, giunto infine a conclusioni soddisfacenti, nel settembre 1982 pubblicai le mie idee sull’argomento col terzo opuscolo degli Appunti di Archeologia della FAAV (la Federazione delle Associazioni Archeologiche Venete) e successivamente, in data 12 giugno 1992, sulla pagina della Cultura de Il Giornale di Vicenza.
Ebbene, data la crescente attualità dell’argomento, ritengo utile pubblicare detto studio anche su queste pagine, per sfrondare l’alone di pseudo-cultura col quale è proposto al Pubblico il rituale di Halloween, rituale che, come attesta la foto qui a lato, tratta da un sito web dedicato allo stesso argomento, può produrre effetti traumatizzanti molto negativi sulla psiche dei bambini e delle persone immature in genere.
NB: tutte le foto presenti su questa pagina sono tratte dal sito “bing. com/images immagini di Halloween”
Gianni Bassi:
CULTO DEGLI ANTENATI NELLE LAMINETTE PALEOVENETE DI VICENZA
Premessa
Negli anni ’50, durante lo scavo per la costruzione di un edificio presso piazzetta S. Giacomo, nel cuore di Vicenza, vennero alla luce circa duecento laminette in bronzo di età venetica databili, secondo gli esperti, intorno al V sec. A.C.
Buona parte delle laminette è ora custodita nel Museo Civico di Vicenza e le più balle sono esposte al pubblico corredate da ottimi ingrandimenti fotografici, che permettono di goderne appieno l’ornamentazione.
Le laminette, infatti, sono decorate con figurine sbalzate sommariamente ma chiaramente comprensibili, le quali danno una panoramica piuttosto vasta sui costumi della gente che viveva nella Regione Veneta duemilacinquecento anni fa.
In mezzo a tanto materiale interessante, spicca un certo numero di pezzi che fanno categoria a sé: essi, infatti, recano delle figurine straordinarie (fg 1), per le quali, se sarebbero fuori luogo i voli di fantasia degli scrittori di archeologia fantastica o di fantascienza, che in esse potrebbero vedere dei palombari o addirittura degli astronauti, è certo immotivata anche la superficialità con cui sono state trattate dagli Studiosi all’epoca del rinvenimento.
Tali laminette, infatti, costituiscono una testimonianza eccezionale in relazione ad un culto antichissimo, che affonda le proprie radici nella notte dei tempi.
Processione di nudi?
Per niente impressionati dalla stranezza dei personaggi raffigurati su queste laminette, gli Studiosi li hanno semplicemente definiti nudi o processioni di nudi (1), così come hanno (in verità più propriamente) definito
processioni di guerrieri e processioni di donne numerosi altri gruppi di personaggi sbalzati in stile verista su altre laminette provenienti dallo stesso sito.
Tuttavia, poiché in alcune laminette la figura umana è resa in modo inconfondibile, come ad esempio nella laminetta con la teoria di signorotti barbuti (fg 2), le caratteristiche somatiche delle figurine simili a palombari non sono, a mio avviso, una semplificazione della figura umana ma la rappresentazione fedele di qualcos’altro.
Vediamo innanzitutto le caratteristiche di queste figurine misteriose (fg 1a): la testa è rotonda sormontata da una vistosa cresta di pennacchi e presenta, all’altezza degli occhi, una larga fessura orizzontale a forma di spicchio; il corpo è contrassegnato da attributi sessuali schematici ma inconfondibili; le braccia pendono lungo i fianchi e terminano in mani senza vita, come guanti vuoti; le gambe sembrano accennare un passo di danza, e questa impressione è rafforzata dalla vicinanza degli altri personaggi sbalzati nell’identico atteggiamento.
Sciolto l’enigma
Una figura così singolare non doveva essere il frutto dell’imperizia dell’artista o dovuta al caso ma, soprattutto per la presenza della cresta di pennacchi, doveva al contrario avere un significato preciso e ben noto alla gente dell’epoca, anche se ai nostri occhi la cosa non appare evidente.
Ad avvalorare questa impressione è una figura pressoché identica, che appare nelle pitture rupestri del Tassili, nel deserto del Sahara (fg 3), la quale, però, è alquanto più antica delle nostre laminette, poiché gli Studiosi la attribuiscono al periodo Neolitico, dunque ad oltre quattromila anni fa: tale figura ha la stessa testa rotonda, gli stessi pennacchi, la stessa fessura per gli occhi e giganteggia quasi orizzontale su una scena di caccia di dimensioni piccolissime, su un arcere di dimensioni quasi pari alle sue e su altri due individui, due lottatori, (2) pure di analoghe dimensioni, tutti dotati di testa rotonda, priva però di pennacchi e di aperture di qualsiasi tipo. (3)
Il significato della grande figura con pennacchi è difficile da comprendere, ma il fatto che sia così diversa dalle altre, e soprattutto la sua posizione quasi orizzontale, sembrano definirla non appartenente al mondo dei vivi; tuttavia, l’atteggiamento del suo braccio, che sembra volersi intromettere nella contesa fra i due lottatori, lascia intendere che essa abbia il potere di intervenire nelle vicende umane: dunque, potrebbe trattarsi non di una semplice figura umana con testa rotonda, come è definita abitualmente, ma di una ben caratterizzata figura di divinità o di antenato.
Tornando più vicini a noi nello spazio e nel tempo, troviamo un personaggio simile a quelli delle nostre laminette fra le migliaia di figure incise sulle rocce della Val Camonica: si tratta di un individuo dalla corporatura tozza caratterizzato dalla testa rotonda munita di vistosi pennacchi (fg 4) la quale, però, è priva della fessura all’altezza degli occhi. Tuttavia, data la rudimentale tecnica di esecuzione (basata sulla percussione della superfice rocciosa anziché sulla vera e propria incisione), la mancanza di questo elemento è comprensibile, giacché il personaggio è raffigurato in posizione frontale.
Il significato di questa figura non è chiaro, tuttavia, potrebbe essere indicato dall’atteggiamento delle braccia, disarmate e tese verso l’alto nella caratteristica posa del cosidetto orante.(4) Anche questo individuo, dunque, sembrerebbe appartenere alla sfera spirituale dell’Uomo: forse si tratta di uno sciamano in atteggiamento di preghiera, oppure è una divinità o, ancora, un antenato, chissà?
Che queste straordinarie figure possano essere la rappresentazione di qualche personaggio non appartenente al mondo dei vivi, è confermato da una scena funebre dipinta su un grande vaso greco decorato in tardo stile geometrico e risalente all’ottavo sec. a.C. (fg 5), nella quale appare un defunto disteso su un catafalco e attorniato da una folla di persone piangenti.
Di statura nettamente superiore a quella dei circostanti vivi, il morto, e solo lui, è caratterizzato da una cresta di pennacchi che parte dalla fronte e va fino alla nuca.
Finalmente, la cresta di pennacchi sulla testa assume un significato preciso, essa infatti ha una funzione pratica quale segno distintivo dei morti.(5)
Tale funzione è confermata da un altro vaso greco tardo geometrico, che risale alla fine dell’VIII – inizi del VII secolo a.C. proveniente dalla colonia greca di Pitecussai (l’attuale isola di Ischia, fg 6). Su tale vaso è raffigurata una scena che costituisce l’incubo dei naviganti, il naufragio: in essa infatti, appare una nave capovolta circondata dai corpi dei marinai affogati che fluttuano in mezzo ai pesci, uno dei quali si appresta a divorare un annegato.
Ebbene, tutti gli uomini (affogati e dunque “morti”) hanno sul capo una cresta di pennacchi!
Altra conferma ci viene da una stele funeraria della Daunia del VII – VI sec. A.C. (fg 7), sulla quale è incisa una navicella che trasporta nel Regno dei Morti tre defunti o le loro anime, ed anche in questo caso i tre personaggi, raffigurati rozzamente con un viso appena abbozzato, recano sul capo la solita, inconfondibile cresta di pennacchi!… Data la relativa vicinanza geografica e culturale dei Dauni (stanziati nella Puglia settentrionale) con gli antichi Veneti,(6) i tre personaggi della stele (anteriore alle laminette vicentine di solo un secolo) consentono di collegare anche le figurine misteriose delle nostre laminette al culto dei morti.
Rimano però ancora da spiegare la strana forma della testa, che trova riscontro solo nella pittura rupestre del Tassili (la quale, tuttavia, è più antica di ben duemila anni) e si differenzia nettamente dagli analoghi documenti quasi suoi contemporanei, quali le pitture sui vasi greci e le incisioni sulla stele dauna.
Dalla notte dei tempi ai giorni nostri
Una spiegazione, forse addirittura quella definitiva, sul significato delle misteriose figurine crestate sbalzate sulle laminette venetiche di Vicenza, ci viene da uno strano rito, significativamente legato al culto dei morti, rito praticato ancora ai nostri giorni da una piccola popolazione montanara, che vive isolata in una remota valle dell’Himalaia.(7)
Durante gli interminabili inverni imalaiani, infatti, quella popolazione si diletta con una infinità di feste e di cerimonie, in una delle quali appare una piccola processione di danzatori abbigliati in maniera straordinaria (fg 8): la loro testa è nascosta in un mascherone tondeggiante a forma di teschio, dalla cui bocca, formata da una fessura a forma di spicchio, i danzatori possono vedere all’esterno; il cranio è sormontato da una fila trasversale di creste vistose, mentre tutto il corpo è rivestito da una rudimentale tuta bianca attillata, le cui maniche terminano in larghi guanti flosci, vuoti di vita, mentre le brache si prolungano fino a coprire i piedi e terminano con grosse dita vuote. Sul busto e sulle ginocchia sono dipinte in rosso alcune ossa dello scheletro, un po’ come appare in una delle nostre laminette, in cui gli Studiosi pensano di vedere un tentativo, di studio anatomico.
Questi personaggi sono i “Tur-tod Dakpo”(8), il cui nome significa “Signori della città (o torre?) della Morte”, i quali, con la loro danza, esprimono le movenze della Morte, che miete le vite e getta le anime nel “Bardo”, un luogo in cui gli spiriti sosterebbero in attesa della loro destinazione definitiva, la quale verrebbe stabilita in base ai meriti acquisiti in vita.(9)
Osservando il profilo delle figure dei danzatori, appare evidente la loro perfetta somiglianza con la figura dei personaggi sbalzati sulla nostra laminetta, il cui significato, a mio avviso, ora è chiaro al dilà di ogni ragionevole dubbio: le nostre cosidette processioni di nudi sono in realtà processioni di danzatori abbigliati con mascheroni a forma di teschio piumato e impegnati in qualche cerimonia relativa al culto dei morti(10). (fg 9)
Tale tipo di cerimoniale, praticato già nel Neolitico (come attesta la pittura rupestre del Tassili), ancora oggi ha una larghissima diffusione. Oltre che nella già citata valle imalajana, infatti, danzatori o figuranti che nascondono ogni parte del corpo sotto mascherature raffiguranti i defunti(11) si possono notare lungo le coste occidentali dell’Africa, come ad es. in Costa d’Avorio, presso la popolazione dei Kotò (fg 10) e nelle isole Canarie, dove si usa nascondere il volto con un fitto velo e le mani, spesso, addirittura con moderni guanti di gomma(12).
Tale usanza, ormai scomparsa da noi, ma della quale io serbo ancora il ricordo vivo dalla mia infanzia quando, alla vigilia del giorno dei morti, noi ragazzini ci divertivamo a ritagliare le zucche vuote, all’interno delle quali mettevamo un mozzicone di candela accesa, che al buio faceva risaltare i tratti della maschera (fg 11) sembra sia ancora praticata in varie località dei Paesi anglosassoni, e costituisce l’estremo ricordo di un rito universale dedicato agli Antenati, rito che affonda le proprie radici nella notte dei tempi.
CONCLUSIONE
Come abbiamo visto, dunque, per quanto ci è dato sapere dalla iconografia venetica, nelle tradizioni degli antichi Veneti inerenti al culto dei morti non appare alcun particolare aspetto che possa far pensare al gusto del macabro e dell’orrido.
Di conseguenza, grazie alla testimonianza di Polibio, possiamo ritenere che nemmeno presso i Celti venissero praticati rituali dagli aspetti rivoltanti, come quelli che si vedono celebrati per le nostre strade nelle sere precedenti la giornata del ricordo dei Defunti.
Pertanto, possiamo affermare senza timore di smentite, che le macabre mascherate di Halloween, importate da oltre oceano e con tanto entusiastico impegno scimmiottate in Europa ai giorni nostri, nulla hanno a che vedere con la Cultura, ma costituiscono la realizzazione di una ben orchestrata operazione finanziaria finalizzata allo scardinamento dei valori tradizionali della nostra Socetà per favorire determinati commerci.
Commerci, che trovano mercato solo nell’oscurità e nel disordine.
- Da “Paleoveneti di Vicenza” ed. Comune di Vicenza 1963
- L’ipotesi, secondo cui i due individui sarebbero dei lottatori, è basata sul loro atteggiamento, che richiama quello dei lottatori dipinti nella tomba etrusca degli Àuguri, a Tarquinia.
- Anche in dipinti egizi di epoca predinastica appaiono figure simili.
- Gli “Oranti” sono personaggi raffigurati con le braccia sollevate a “U”, in atteggiamento ritenuto di preghiera. A volte, come in Val Camonica, di tali individui è raffigurato solo il busto (detto “busto di orante”) il quale, però, era forse già un ideogramma per indicare lo “spirito del defunto”.
- Nell’iconografia antica i defunti sono sempre riconoscibili: oltre che per la presenza di pennacchi sul capo, come appare dalle immagini espresse da numerose culture, altro indicatore di stato sono le fisionomie dei volti, le quali possono essere fortemente alterate o del tutto assenti, come appare nell’impugnatura in avorio del cosidetto Coltello di Gebel el Arab (alto Egitto) dove, tra una folla di combattenti perfettamente scolpiti in tutti i particolari, si distinguono due personaggi su una barca, la cui testa è senza volto a significare che sono le anime di due caduti imbarcate per l’Aldilà.
- Sembra ormai accertato il fatto, che Dauni e Veneti costituissero due diversi rami della medesima orda dei Cavalieri Nomadi (definiti così dagli Autori d’oltralpe) provenienti dalle pianure a Nord del Mar Nero, da cui furono cacciati dall’avanzata degli Sciti fra X e IX sec. A.C.
- La distanza di tempo e di spazio non deve impressionare, poiché gli Indoeuropei raggiunsero le falde meridionali dell’Himalaya già verso la fine del terzo millennio a.C. e l’influenza della loro presenza è attestata dal nome dell’immensa catena montuosa: Himalaya, infatti, deriva dalle parole “hiem”, che in latino significa “inverno”, e “palaja”, palazzo, a significare “Palazzo dell’inverno”, con chiaro riferimento alle nevi perenni che ne ricoprono le cime.
- Si noti l’affinità di Tur con la parola latina Turris e la germanica Turm, che significano entrambe Torre, e Tod, che significa morte anche in tedesco.
- Da: La danza dei monaci, articolo di Olga Ammann e Franz Aberham pubblicato sulla rivista Airone n. 31 pag 114.
- L’uso di maschere rituali a forma di teschio per raffigurare defunti o divinità dei morti è frequente in molte civiltà anche assolutamente estranee tra di loro, come nel caso della dea precolombiana Coatlique venerata oltre Atlantico.
- Presso gli Induisti, subito dopo la morte i defunti vengono avvolti in un telo che copre anche la testa; questa però viene stretta al collo con un laccio, che conferisce alla salma l’aspetto di una spece di bozzolo con la testa tondeggiante ben distinta dal corpo.
- Anche in Sardegna c’è un costume rituale che copre tutto il corpo (il viso è nascosto da una maschera dorata e le mani da guanti bianchi): si tratta