Clima 8: La genesi di deserti e uragani

(Assemblaggio del materiale di alcuni articoli pubblicati negli anni ‘90)

Tornando ad esaminare le cause del clima in generale, diamo ora un’occhiata a delle circostanze particolari legate alla presenza delle Correnti Oceaniche in determinate zone della Terra, circostanze che condizionano la formazione dei deserti e degli uragani.

Panoramica sul Sahara

Fg. 1.  Panoramica sul Sahara

Osservando le mappe climatiche dell’intero pianeta, si può notare che le aree desertiche sono sempre situate ad Oriente delle zone interessate dalle Risorgive Fertili: così il Sahara si trova ad Est del comprensorio vulcanico sottomarino delle Azzorre e delle Canarie, il deserto della Namibia è ad Est delle risorgive al largo del Sudafrica, il deserto di Atacama è ad Est delle risorgive che danno origine alla Corrente Sudequatoriale del Pacifico, il deserto della California è ad Est delle sorgenti della Corrente omonima.

Come abbiamo visto nell’articolo precedente, perché questo avvenga è presto detto: la velocità di rotazione della superfice oceanica attorno all’asse terrestre è notevolmente inferiore rispetto a quella dell’aria alle alte quote, poiché questa nelle 24 ore deve percorrere una circonferenza maggiore; calando quindi di quota all’interno di un gorgo anticiclonico, la massa d’aria in discesa si avvantaggia verso Est portando sul vicino continente la sua calura (acquisita per compressione durante la discesa) e la sua aridità, calura e aridità che caratterizzano le brezze torride che succhiano la vita alla vegetazione favorendo la progressiva avanzata del deserto.

Arbusto di tamerici usato per tentare di fermare l’avanzata del deserto.

Fg. 2. Arbusto di tamerici usato per tentare di fermare l’avanzata del deserto.

Da tale sequenza, sembrerebbero discostarsi i deserti del Medio Oriente e dell’Arabia, il deserto australiano ed il deserto della Mongolia: in realtà, però, anche quei deserti rientrano nella norma: i deserti del Medio Oriente, infatti, si trovano ad Est dell’estesa area idrotermale sottomarina collegata ai vulcani dell’Egeo, il Deserto Arabico è ad Est delle risorgive fertili del Mar Rosso, i cui 33° d’estate e 26° d’inverno sono ben poca cosa a confronto con le temperature infernali che affliggono l’interno dell’Arabia e dell’Egitto, ed è appunto tale divario che produce la discesa di aria asciutta dalle alte quote, la quale, giunta al suolo ed espandendosi, produce le micidiali brezze torride che portano alla desertificazione quella parte del pianeta.

Uragano visto dal satellite

Fg. 3.  Uragano visto dal satellite

Quanto al deserto australiano, esso si trova a Sud-Est del vasto bacino idrotermale a Meridione di Giava e immediatamente ad Est della fredda Corrente Australiana Occidentale, la cui temperatura superficiale genera l’anticiclone che desertifica l’Australia.

Infine, il vastissimo deserto della Mongolia, che comprende importanti porzioni della Cina e della Siberia meridionale, deve invece il suo clima arido all’enorme distanza che lo separa dall’umidità esalata dai mari occidentali  (Mediterraneo, M. Nero e M. Caspio), allo sbarramento delle correnti monsoniche operato dalla Catena Imalajana ed alla vicinanza  con la sede  dell’Anticiclone (continentale) Siberiano.

Per quanto riguarda l’origine degli Uragani (detti anche Tifoni e Cicloni), pur essendo note le aree in cui essi si formano, non risulta che siano mai state individuate le cause che determinano la loro formazione.

Ebbene, analizzando le mappe climatiche, notiamo che quegli spaventosi fenomeni nascono sempre ad Ovest dei bacini oceanici lungo l’asse terminale delle Correnti calde: il fenomeno si spiega con l’allargamento del corso di dette correnti in prossimità degli ostacoli che ne frenano o bloccano la corsa, ostacoli come catene di isole o coste continentali, a causa delle quali avviene l’allargamento del fronte della Corrente, il quale aumenta enormemente la superfice di contatto con l’aria soprastante alla quale la Corrente cede calore.

Per aggravare la situazione, poi, fondamentali sono il sopraggiungere di sempre nuova acqua calda in sostituzione di quella raffreddata dall’evaporazione, e l’enorme spessore delle  correnti stesse, spessore che garantisce una scorta energetica inesauribile.

Così, nell’Atlantico gli uragani si formano lungo il corso della calda Corrente della Guiana, che diventa poi Corrente dei Caraibi allargandosi nell’intrico delle isole; nel Pacifico i tifoni si formano sulle scie finali delle calde Correnti Nordequatoriale (con obiettivo il Giappone) e Sudequatoriale (con obiettivo le Filippine, l’Indonesia e la Cina) e sulla scia della calda Corrente Australiana Orientale (che colpisce duramente soprattutto il Nord-Est del Paese).

Autonome rispetto alle condizioni termiche delle superfici oceaniche sono invece le meno spettacolari Trombe d’aria, che in determinate condizioni danno luogo ai paurosi vortici noti anche col nome di Tornado, tutti fenomeni pericolosi e spesso letali, i quali si manifestano per lo più sulla terreferma, dove prendono origine da concentrazioni di calore in zone limitate immerse in aree più fresche ma ricche di umidità nell’aria, umidità portata dalle correnti d’aria di provenienza marina, la quale costituisce il carburante di cui il tornado si nutre fino all’esaurimento.

Abbiamo dunque compreso il ruolo fondamentale sostenuto dalle correnti oceaniche e marine in relazione all’andamento del clima, e questo, come raccomandavo in un mio articolo del 31 agosto 1990, ha consentito di produrre previsioni meteo soddisfacenti, pur se di massima, su tutto il globo a sei mesi. Tele spazio temporale, tuttavia, non basta ancora per la programmazione su vasta scala delle colture agricole al fine di fronteggiare con successo la fame nel mondo, occorre aumentare ancora di qualche mese l’anticipo delle previsioni, ma come?

I punti caldi attivi negli ultimi 10 milioni di anni. Essi sono concentrati lungo le dorsali medio-oceaniche e, in particolare, sulla Dorsale medio-atlantica (da Burke e Wilson, 1976).

Fg. 4.  I punti caldi attivi negli ultimi 10 milioni di anni. Essi sono concentrati lungo le dorsali medio-oceaniche e, in particolare, sulla Dorsale medio-atlantica (da Burke e Wilson, 1976).

Ebbene, anche se sembra che, come di consueto, Climatologi e Geologi non siano interessarsi a scambiarsi informazioni, visto che già esistevano le mappe degli assembramenti vulcanici sottomarini (vedi figura a lato), ancora nel 1990 proponevo di estendere il monitoraggio a detti assembramenti ed ai loro apparati idrotermali, cosa non impossibile con i moderni mezzi di rilevamento subacqueo già disponibili allora: in tal modo, sarebbe possibile monitorare l’andamento dei fenomeni sottomarini e collegarlo col successivo andamento del clima al fine di costituire l’indispensabile archivio dati necessario per dedurre il futuro del clima in base alla situazione subacquea in corso: ciò renderebbe possibile prolungare ancora di qualche mese il tempo delle previsioni meteo di massima, in modo da consentire agli agronomi di attuare una programmazione mirata delle colture agricole, programmazione che, dapprima ovviamente, avverrebbe in via sperimentale e poi, costituito il relativo archivio dati per i raffronti, potrebbe avvenire su scala sempre maggiore a vantaggio di tutta l’Umanità.

Utopie? Mah!… Anche la mia proposta sul controllo delle Correnti Oceaniche in superfice ed in profondità sembrava un’utopia, e invece, qualcuno poi ne ha colto la fondatezza ed i risultati, pur se ancora con un anticipo di soli sei mesi, sono arrivati!… Perché non tentare anche con le “radici più profonde” del clima?

Pennacchio di acqua caldissima, carica di minerali, sgorga da una “bocca sorgente calda” (detta anche “fumatore nero”) fotografato sul Rialzo del Pacifico Orientale. (Da D.B. Foster, Woods Hole Oceanographic Institution).

Fg. 5.  Pennacchio di acqua caldissima, carica di minerali, sgorga da una “bocca sorgente calda” (detta anche “fumatore nero”) fotografato sul Rialzo del Pacifico Orientale.
(Da D.B. Foster, Woods Hole Oceanographic Institution).

A questo punto, visto che l’Uomo dispone di conoscenze adeguate sulla fisiologia della Terra[1] e di mezzi tecnici e finanziari sufficenti, viene da chiedersi se sia mai possibile intervenire sull’ambiente  per dominare in qualche modo gli eccessi del clima[2] e la risposta è «» e il “come” sarà l’oggetto dei prossimi due articoli, perché riguarderà “I disastri del clima: ciò che si potrebbe fare subito” e “Controllo del clima: ciò che richiederebbe tempi lunghi, studi approfonditi, progetti faraonici e volontà politica a livello globale”.

 


Note

[1] Parlo di fisiologia della Terra perché sembra proprio che il nostro pianeta costituisca un organismo vivente e si comporti come tale, un organismo in cui tutte le parti sono legate da una interazione intima e indissolubile.

[2] Questa domanda mi è stata rivolta spesso nel corso delle mie conferenze sul clima, e la risposta è positiva.